Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 21 Martedì calendario

LA CINQUECENTO A RUBA SU INTERNET

Dall’America alla Cina, la Fiat gioca tutta all’estero la sua partita con il futuro. Per questo, delle varie buone notizie che ieri l’hanno riguardata (per esempio un bel rialzo in Borsa grazie a un report positivo della banca americana Bernstein, o la ripresa della produzione a Melfi) l’unica che ha scaldato il cuore ai vertici è stata quella della vendita-lampo on-line della prima serie, numerata, di Fiat Cinquecento sul mercato americano.
Al quartier generale del Lingotto John Elkann, presidente del gruppo, e Sergio Marchionne, totipotente amministratore delegato, hanno brindato.
Il primo tentativo di vendita della Cinquecento negli Usa ha fatto bingo: 500 esemplari di una serie speciale ribattezzata «Prima Edizione» sono stati venduti via Internet, sul sito della Chrysler, in appena cento minuti. Tanto che nei prossimi giorni verrà organizzata una lista d’attesa per dare priorità a chi si prenota in vista del lancio in grande stile sul mercato. Niente di significativo, per carità, ma senz’altro un buon auspicio.
Perchè il day-after del Lingotto dopo la scissione votata giovedì 16 dall’assemblea dei soci è ormai senza mezze misure quello di un gruppo globale, che guarda all’Italia soltanto come a uno dei mercati importanti, dal quale attendersi però più grane che soddisfazioni.
I punti chiave per cercare di capire il futuro del gruppo sono infatti tre: 1) La Cina: mentre in Italia ci si divide su Pomigliano e Termini, Marchionne ed Elkann guardano al Brasile per l’oggi (e lì la nuova Fiat Uno, prodotta in loco solo per il mercato interno, ha ripreso a macinare vendite e profitti) e soprattutto alla Cina per il domani, dove finalmente il nuovo partner Gac (Guangzhou Automobile Group) promette di fare sul serio nella joint-venture paritetica che sta realizzando i suoi impianti a Hunan, la provincia il cui segretario del partito Zhou Qiang ha incontrato a Torino Elkann in visita ufficiale. È la Cina il mercato di sbocco cruciale per le utilitarie Fiat. Avrebbe già dovuto essere attiva, la prima alleanza (con la Gaic) è naufragata, la seconda dovrebbe funzionare bene, dal 2012.
2)L’azionariato: la famiglia Agnelli è saldamente al comando del gruppo e non ha alcuna intenzione di diluire la propria quota di controllo sull’altare della Chrysler, che (se i piani saranno rispettati) a fine 2011 controllerà con il 51%.
Se poi qualche super-alleanza internazionale rendesse necessario muovere la leva finanziaria al di là delle forze degli Agnelli, una diluzione sarebbe anche pensabile, ma su una scala dimensionale che da sola rappresenterebbe una difesa anti-scalata: la gigantesca conglomerata Samsung, i cui vertici hanno incontrato nel giorno stesso dell’assemblea John Elkann per parlare di batterie per auto, e che vale in Borsa 200 miliardi di dollari, ha la famiglia fondatrice azionista al 10%. Ma in un simile colosso quel 10% basta per avere un controllo di fatto.
3) La centralità di Sergio Marchionne nel gruppo è sicuramente ai massimi del possibile, e non a caso le ultime nomine (Andrea Formica, come responsabile del brand Fiat e Lorenzo Sistino per le «international operations», cioè la direzione operativa internazionale) vanno nel segno di una maggiore delega. Ma le voci che addebitano al manager il progetto segreto di scalzare l’azionista e sfilargli l’azienda, sono ad oggi totalmente prive di riscontro: il rapporto di Marchionne con John e con i suoi collaboratori non potrebbe essere migliore.
È chiaro però che la pressione psicologica sul capo-azienda è oggi fortissima.
La rispostaccia ai sindacalisti di Arese che gli chiedevano conto, ripetendo a pappagallo frasi fatte, del suo compenso di 400 volte superiore alla paga di un operaio («Vorrei vedere chi sarebbe disposto a fare una vita come la mia») dimostra una sbavatura da nervorsismo: lo stipendio del capo di una multinazionale non si misura a ore lavorate... Ma per il momento il miracolo regge. E la metamorfosi di Fiat da gruppo strapaesano in azienda globale dell’auto si sta compiendo.