Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 19 Domenica calendario

GIANFRANCO QUAGLIA

CASALE MONFERRATO
Alto, maestoso, slanciato. E’ il simbolo della Pianura Padana: il pioppo. Davanti a lui ora s’inchina anche la Cina, benché sia la patria mondiale del settore, con quasi otto milioni di ettari coltivati e un museo dedicato nella città di Syang. Pechino ci invade con il concentrato di pomodoro (82 milioni di quintali), i pesci, i crostacei, la frutta e persino l’aglio: un «business» che sfiora i 300 milioni di euro. Ma importa l’«oro verde» dall’Italia, per rivitalizzare i suoi impianti. Il pioppo made in Italy è sostenibile e certificato, nel senso che rappresenta quello che di meglio esiste nel panorama mondiale sotto il profilo delle tecniche di coltivazione, con un ricorso minimo agli agenti chimici di difesa antiparassitaria. Possibile grazie alla ricerca e alla produzione di cloni indenni e resistenti. Arrivano dall’ex Istituto per la sperimentazione in pioppicoltura (oggi Consiglio per la ricerca e la sperimentazione) di Casale Monferrato. Un «santuario» del settore, diretto da Giuseppe Nervo, che con i suoi collaboratori dedica tempo e anima all’allevamento in vitro e in campo di nuovi, super pioppi. «I risultati ci sono eccome, basti pensare che un terzo dei cloni piantati e cresciuti in Cina arriva dall’Italia».
Una bella soddisfazione, una rivincita presa dopo anni di abbandono e incertezza. Anche da parte degli agricoltori, che avevano confinato il pioppo tra le coltivazioni marginali, sollecitati da prezzi più remunerativi di colture come il mais, il grano e il riso. «Chi coltiva pioppi - dice Edoardo Zogno di Morano (Alessandria) - deve guardare avanti e in prospettiva. Un albero cresce ed è pronto mediamente dopo dieci anni. Prima di allora non si può ricavare nulla. C’è stato un momento in cui l’industria di trasformazione si rivolgeva all’estero, perché il materiale costava meno. Ma negli ultimi tempi ha rivalutato le nostre produzioni, che danno maggiore affidabilità e sono più valide. E l’industria paga la qualità». Riccardo Ferrero, componente della commissione pioppicoltura di Confagricoltura Piemonte, punta il dito contro la concorrenza: «C’è ancora troppa importazione di materiale scadente dall’Est, competitivo per i prezzi bassi. Noi possiamo controbattere soltanto con i nostri esemplari selezionati e la passione».
Insomma, pioppo per investimento di lungo periodo. Un po’ come comprare Bot, solo che in questo caso il titolo è nel campo e necessita di manutenzione e cura costanti. «Il rapporto costo-ricavo - dice Nervo - è interessante. I trattamenti di un ettaro coltivato a pioppeto costano nell’arco di un decennio circa 6 mila euro, la remunerazione può variare fra gli 8 e i 14 mila». Ma l’«oro verde» può avere un ciclo più breve per le fonti energetiche. Il vivaista cuneese Enrico Allasia: «L’utilizzo per le biomasse può rappresentare la nuova frontiera e dare un impulso notevole al settore che negli ultimi anni ha segnato un rallentamento e una riduzione di superficie. C’è fame di legno ed esistono i presupposti per colmare i vuoti proprio con le energie alternative».
L’Italia è stata scelta dalla Fao per un progetto mondiale sulla ricerca del pioppo. A Casale Monferrato, dove il 24 e 25 settembre si terrà un simposio internazionale, è custodita anche la banca mondiale di pioppicoltura: una specie di cassaforte a cielo aperto, con cloni provenienti da tutti i continenti. Un riconoscimento al livello raggiunto dai nostri ricercatori e forse anche un po’ alla storia e all’arte: non a caso Leonardo da Vinci dipingeva su tele ricavate da pioppi e la Gioconda conservata al Louvre è l’esemplare più efficace. Il pioppo del futuro? «Quello che risulterà più resistente agli attacchi dei parassiti, certificato e sostenibile» risponde Nervo e non nasconde affatto che a Casale si stanno sperimentando anche cloni geneticamente modificati. «Sono in una serra, tanti cloni in vaso. Per il momento non sono in commercio, ma la scienza non può trovarsi impreparata di fronte a un eventuale via libera».