Francesco Saverio Alonzo, La Stampa 19/9/2010, 19 settembre 2010
Lo avevamo sempre detto, mia moglie ed io, che Oslo era la città più cara del mondo, ma, dopo un primo posto assegnatole nel 2003, la capitale norvegese si era vista sorpassare da altre città, soprattutto da Tokyo
Lo avevamo sempre detto, mia moglie ed io, che Oslo era la città più cara del mondo, ma, dopo un primo posto assegnatole nel 2003, la capitale norvegese si era vista sorpassare da altre città, soprattutto da Tokyo. Durante l’estate, come sempre, abbiamo fatto una puntata in auto in Norvegia, ma con un programma ben preciso: visitare Oslo durante le luminose e lunghissime giornate estive, ma rientrare in serata (si fa per dire, perché praticamente il sole non tramonta mai) nel villaggio di minicasette di legno che si possono affittare a 10 euro al giorno, a pochi chilometri di distanza. Avevamo avuto, finalmente, la conferma che Oslo era la città più cara del mondo. Quindi di albergo non c’era da parlarne. Uno di categoria media costa 220-250 euro per notte e rispecchia, sia pure secondo una logica assurda, un livello di prezzi che fa rabbrividire chi non è un miliardario del petrolio o un armatore. Eppure i norvegesi vi sembrano abituati e quando mia moglie si ferma in un negozio della grande via centrale Karl Johan per comprare un paio di calzini bianchi e sobbalza vedendo il prezzo (9 euro), facendo notare al commesso che a Stoccolma, città di per sé già cara, con quei soldi se ne prendono tre paia, costui risponde altezzosamente: «Perché venite ad Oslo se non avete denaro sufficiente?». Ciò che più mi irrita è che la dolce cadenza della lingua norvegese, dal tono così sommesso, fa sembrare una carezza anche le frasi più offensive. Ma allora sono tutti ricchissimi qua? No. Gli stipendi sono alti, al netto della salatissime tasse una volta e mezzo quelli italiani, ma il loro potere d’acquisto, in relazione al costo della vita concede tutt’altro che un’esistenza da nababbi. E in più, come mi fa notare un collega del giornale Aftenposten un’alta percentuale di norvegesi si trascina mutui che pesano sul bilancio familiare: per la casa e l’auto, oltre al debito contratto con lo Stato per pagarsi gli studi. Sì, perché è vero che si ricevono ampi aiuti finanziari durante i corsi universitari o specialistici, ma ogni corona deve essere poi restituita a rate fisse e con gli interessi. Le pensioni sono modeste e il partito xenofobo di Siv Jensen ha acquistato una valanga di simpatizzanti esigendo che una parte del fondo pensioni costituito con gli introiti petroliferi ed ammontante a 330 miliardi euro venga impiegato per alleggerire la vita dei pensionati bisognosi. Essi godono tuttavia di tutti i servizi efficienti garantiti da un welfare generale. Ma il governo tiene duro e risparmia quei soldi in previsione di tempi peggiori, quando cioè finirà il petrolio. «Fanno come con i merluzzi che mettevano a seccare per ridurli in stocccafisso!», ci dice un’amica svedese di mia moglie che lavora in un ospedale di Oslo dove guadagna quasi il triplo rispetto agli stipendi di Stoccolma. Sempre parlando del costo della vita, ci sediamo a mangiare in un ristorante coi tavoli all’aperto, davanti al porto illuminato dal sole che offre una vista da levare il fiato. Scegliamo dal menù del lunch, quello a minor prezzo, un piatto che qua dovrebbe essere comune: trancio di merluzzo con insalata. Ci azzardiamo ad ordinare due bicchieri di vino bianco. Per concludere, due caffè. Quando la biondina che ci ha servito porta il conto, faccio finta di non restare stupito vedendo la cifra: 500 corone norvegesi pari a 75 euro. Nel pomeriggio, passo a salutare un amico che lavora al giornale Verdens gang e il discorso cade sul livello dei prezzi della capitale norvegese. «Ma come fate?» gli domando. «Be’, sai com’è, - mi risponde. - quando abiti in una città impari a conoscere i posti dove si compra a buon mercato. Io mi reco spesso in Svezia, a Strömstad, a fare gli acquisti settimanali. Si risparmia il trenta per cento. Le sigarette costano quasi la metà. E poi conosco gente qua nei paraggi dove posso comprare viveri, ma anche capi di vestiario e altro, a prezzi ragionevoli. Ma chi è costretto a rimanere in città perché non può muoversi deve sopportarne i prezzi o rinunciare. E i più colpiti sono i turisti che giungono qua impreparati ad un livello di prezzi così alto». Nel pomeriggio prendiamo l’autobus per andare a visitare il Frognerparken dove si trova la stupenda sequenza di statue inneggianti alla vita dello scultore Gustav Vigeland. Ma anche qua, dopo aver sborsato 7 euro in due per quel breve tragitto, ci arriva la doccia fredda del caffè bevuto in piedi davanti a un piccolo chiosco: 6 euro! In serata, ci divertiamo a passeggiare per le vie di Oslo, studiando i prezzi nei negozi del centro. Sono salati, ma la gente entra, compra e tutti sembrano soddisfatti e sorridenti. Chiudiamo la giornata in una modesta pizzeria, ma due «margherite», due birre e due caffè fanno salire il conto a 400 corone, circa 60 euro. Il tramonto lunghissimo che accende di oro il fiordo ci vede ripartire a bordo dell’auto che, dopo il riposo nella nostra minicasetta di legno a buon mercato, ci porterà altrove, lontano da questa incantevole, ma cara Oslo.