Giovanni Cerruti, La Stampa 19/9/2010, 19 settembre 2010
Al tavolino di questo bar che si chiama «Sani e Salvi» racconta che tutto è cominciato per colpa di un parroco
Al tavolino di questo bar che si chiama «Sani e Salvi» racconta che tutto è cominciato per colpa di un parroco. «Quello di Bagnoli di Sopra, il mio paese. Non mi piaceva e mi son detto che l’avrei fatto in maniera diversa. L’ho fatto». E più diverso di così è difficile. Dall’altare al camion, dalla chiesa ai cantieri edili, dalla canonica alla cascina. E in mezzo una compagna, un figlio, «un altro che speriamo arrivi presto». E poi un libro sulla sua avventura da prete innamorato e poi spretato, le comparsate in tv. Passati appena tre anni se lo ricordano solo qui. Dove tutti lo conoscono, lo salutano e lo chiamano ancora così, Don Sante. «Sono sano e salvo - dice -, io ce l’ho fatta». Un succo di frutta alla fine della solita giornata, 150 chilometri tra magazzini e cantieri, carico e scarico. Quando era parroco a Monterosso, provincia e Diocesi di Padova, 20 km da qui, aveva qualche chilo in più. «Mi è bastato passare il confine, per 200 metri questa è provincia e Diocesi di Vicenza». Di là ha lasciato il Vescovo Antonio Mattiazzo e un’inchiesta partita da lettere anonime alla ricerca di un qualche bottino sparito. «Meno male che ho sempre tenuto tutto, perfino gli scontrini delle feste. E’ il Vescovo che dice di continuare a cercare, ma prima o poi si stuferanno». Sante Sguotti, 44 anni, ha gli scarponi, i pantaloni di tela pieni di tasche, la maglietta grigia e sudata. «Ne sono successe di cose, in questi tre anni». Anche una messa con monsignor Milingo, anche l’imitatore di Lele Mora che se lo porta in giro e gli mette finti occhiali da vista «perché stai meglio». Errori, dice. «Era agosto, i giornali mi hanno usato, ma ammetto che anch’io ne ho approfittato». Non solo per qualche esclusiva venduta in tv, precisa, ma per la sua battaglia contro Diocesi e Chiesa. Da prete innamorato per tutti gli altri preti innamorati. O per chi, come Don Sante, ha figli e li deve nascondere. Anche questa domenica, ad Abano, tirerà su le due saracinesche del negozio preso in affitto. E’ la sua parrocchia abusiva, la "Chiesa Cattolica dei Peccatori". Messa ogni prima e terza domenica del mese. «La Chiesa è dedicata a San Felice Papa, il Pontefice del secondo secolo dopo Cristo. Aveva tre figli. E’ il nonno di San Gregorio Magno». Monsignor Antonio Mattiazzo ha fatto sapere che questa parrocchia non esiste, e chi partecipa alle funzioni rischia la scomunica. «Ma se neppure io sono stato scomunicato? Suvvia, sono intimidazioni d Medio Evo. Magari mi scomunicassero, con questa Chiesa sarebbe una medaglia d’onore!». A messa lo accompagnano Tamara, la sua compagna, e il loro bimbetto che ora ha quattro anni. «Non è che venga con grande entusiasmo, però viene. Troppo piccolo per far domande, ma quando verrà il momento gli racconterò tutto. Gli spiegherò perché non l’ho battezzato e perché all’asilo non frequenta l’ora di religione come gli altri amichetti. Non voglio che me lo rovinino con idee sbagliate, con il demonio e la paura del peccato». Con la Chiesa e il Vescovo, si capisce, ha rancori che non se ne vanno. «Mi hanno riportato allo stato laicale. Per loro dovrei dichiararmi pazzo o mascalzone. E comunque sparire». Sono bastati quei 200 metri, invece. E questi tre anni lontano da giornali e tv. «Ma non smetto di battermi contro una Chiesa che vieta ai sacerdoti la paternità e il confronto con la donna. E’ follia. A quarant’anni, più che a venti, capisci che è fondamentale. E’ successo a me e succede ai sacerdoti che non vivono chiusi nelle canoniche, ma stanno tra la gente». Don Sante abbassa la voce: «E’ un problema che le gerarchie conoscono, però loro sono uomini peggiori degli altri, mirano a soldi e carriera, funzionari freddi che diventano criminali perversi. Come può, un Vescovo, trasferire un prete pedofilo in un’altra parrocchia?». La parola che più ripete è paura. «E’ quella che mi ha accompagnato, la paura che si prende gli altri che vivono la realtà che ho vissuto io. Se sei prete con tutta probabilità hai una famiglia supercattolica, e per loro un figlio che si mette contro la Gerarchia e la Chiesa non sarà mai un onore, non sarà mai un vanto. Vivranno malissimo lo scontro. E poi a quarant’anni che fai, che t’inventi? Con una laurea in teologia non mangi, se come nel mio caso hai una compagna e un figlio. A me è andata bene, ringraziando San Felice Papa. Camionista, amministratore di due condomini, rappresentante di pannelli fotovoltaici...». Lontano da tv e giornali Don Sante ammette che ogni tanto gli arriva qualche buona notizia. L’ultima è di appena un mese fa. «Riguarda il parroco di Cervarese, il paese qui accanto», come spiega Gianni Biasetto, il corrispondente de «Il Mattino di Padova». Don Romano che a Ferragosto se n’è andato. «Tre anni fa diceva che dovevo andare a fare il camionista e basta, e adesso ha la morosa pure lui», commenta Don Sante. E non è l’unico, tra Padova e Vicenza. «Negli ultimi anni sono almeno 16 - li ha contati Biasetto -. Dal monsignore che si è innamorato di una ginecologa al prete che ora sta con la ragazza di strada nigeriana». Ma non erano come questo Don Sante, che ha resistito contro il Vescovo, è andato in tv, ha mobilitato gli 800 parrocchiani di Monterosso. «Se 40 cresimati mi chiedono di andar via me ne vado - diceva allora-: si son fermati a 14». Rifarebbe tutto, Don Sante. «Mi sono lasciato coinvolgere dalla mia compagna e da mio figlio, un’esperienza emotiva molto forte, carica di tenerezza. Mi ha cambiato molto, e in meglio». Alle sette del pomeriggio ha fretta. Lo aspettano a casa per cena, e deve preparare la sua messa in negozio da prete spretato. Nella sua mini parrocchia abusiva. «La Chiesa di San Felice Papa per un Felice Papà...».