Roberta Camesasca, varie, 20 settembre 2010
SOUVENIR DALLE VACANZE, PER VOCE ARANCIO
Foodies. I turisti che a casa, come souvenir, si portano prodotti enogastronomici. Solo in Italia sono 4 milioni e mezzo.
L’anno scorso, dopo il concerto allo stadio Puchoz di Aosta, Paul Young si portò via il lardo di Arnad. «Mi è piaciuto molto con le castagne glassate al miele».
Massimo Gargano, presidente regionale Coldiretti: «E’ l’era del turista che vuole come oggetti ricordo oli, formaggi e vino».
Secondo un sondaggio di Coldiretti, sei italiani su dieci rientrando dalle vacanze porteranno con sé un prodotto alimentare tipico: dalla mozzarella di bufala della Campania al formaggio Asiago del Veneto, dal pecorino della Sardegna al prosciutto San Daniele delle montagne del Friuli, dal vino Barolo del Piemonte alla Fontina della Valle d’Aosta, dal limoncello campano al Caciocavallo del Molise.
Apprezzati anche i prodotti artigianali locali (ceramica, oggetto in legno, tessuto, ecc.), scelti dal 25 per cento dei vacanzieri, mentre i ricordi più commerciali come cartoline, gadget e magliette sono stati acquistati solo dall’8 per cento dei turisti.
Un italiano su dieci ha rinunciato a qualsiasi tipo di ricordo della vacanza.
Il giro d’affari del souvenir del gusto è di 5 miliardi di euro l’anno: piace ai turisti svedesi (70%) e americani (58%), contro cinesi (31%) e russi (28%) che preferiscono capi d’abbigliamento.
L’Italia offre prodotti tipici con ben 210 denominazioni di origine riconosciute a livello comunitario e 4.511 specialità tradizionali censite dalle regioni, mentre sono 498 i vini a denominazione di origine controllata (Doc), controllata e garantita (Docg) e a indicazione geografica tipica (320 vini Doc, 41 Docg e 137 Igt).
La metà degli italiani in vacanza non si fa mai mancare la degustazione delle specialità enogastronomiche locali. Nel nostro Paese ci sono 142 strade dei vini e dei sapori, 18mila agriturismi, 63mila tra frantoi, cantine, malghe e cascine dove acquistare specialità alimentari garantite direttamente dal produttore.
Siamo la prima destinazione per vacanze enogastronomiche a livello internazionale, venduta quest’anno dal 22,7% dei tour operator europei e dal 43% di quelli statunitensi.
Da uno studio promosso dal mensile “Vie del gusto” è emerso che il simbolo assoluto del Made in Italy è il parmigiano (69%), seguito dalla pasta (63%), il Colosseo (58%), la Torre di Pisa (55%), la pizza (52%) e la mozzarella (48%).
Parmigiano Reggiano e Grana Padano sono i prodotti tipici più imitati al mondo.
Tante le contraffazioni: pane fatto con farine diverse da quelle specificate nell’etichetta, olio di semi spacciato per extravergine d’oliva, tartufi cinesi con l’etichetta del Made in Italy, marmellate, succhi e pomodori di terza categoria rispetto al marchio di primissima qualità, falsi salumi dop al posto del Culatello o del prosciutto di Parma, i funghetti «shiitake» made in China spacciati per cardoncelli pugliesi. E ancora, mozzarelle, olive, aglio e verdure varie che arrivano in Italia dall’Asia, Cina e Vietnam in prima fila.
Il prosciutto più contraffatto al mondo è quello di Parma.
Sul mercato globale, il fatturato dei prodotti Made in Italy taroccati raggiunge gli oltre 50 miliari di euro.
Le esportazioni di prodotti agroalimentari Made in Italy potrebbero quadruplicare se venisse uno stop alla contraffazione alimentare internazionale.
L’export di prodotti agroalimentari trasformati in Italia nel 2009 ha sfiorato i 19 miliardi (Fonte: Centro Studi Federalimentare).
Nell’acquisto dei prodotti controllare sempre che sulle etichette ci sia il logo caratteristico (Dop/Igp) a cerchi concentrici blu e gialli con la scritta per esteso nella parte gialla “Denominazione di origine protetta” oppure “Indicazione geografica protetta”, mentre nella parte blu compaiono le stelline rappresentative dell’Unione Europea.
Milly Moratti, moglie di Massimo, con la scusa di andare a trovare la figlia a New York, approfitta per visitare il farmer market di Union Square, comprando carne e formaggi.
Secondo un’indagine dell’Osservatorio Nestlé Professional, prima di ripartire, i vacanzieri mettono sempre in valigia anche un souvenir dell’hotel: dall’accappatoio (28,9%) ai teli bagno (26,8%), saponette, bagnoschiuma e kit bagno (23,5%), menù e carta dei vini (9,6%), piatti e ciotole (5,3%).
Secondo un sondaggio del 2008 del travel network Trivago, l’11% degli italiani in vacanza ha il “vizietto” di rubare gli accessori dell’hotel. Primato in Europa per categoria di vizio.
«Di solito portano via oggetti di cortesia, come accappatoi o ciabattine. È capitato che qualcuno si prendesse anche un cuscino, ma è raro», ci dice Stefano Risolé dell’Hotel Carlton Baglioni di Milano. Ma chi ruba di più? «E’ indifferente. Forse gli europei e chi viaggia spesso per lavoro. Gli oggetti di cortesia in valigia fanno sempre comodo». Avete mai sorpreso qualcuno? «No. È capitato invece che qualche cliente ci chiedesse di poter prendere qualcosa, magari proprio l’accappatoio. Da noi è in vendita a 50 euro, ma ai clienti abituali lo diamo senza problemi». Questi furtarelli hanno un prezzo? «Guardato annualmente il costo di questi oggetti può essere rilevante, ma non tale da incidere sui costi complessivi di gestione dell’hotel». Forse perché già calcolato all’interno del costo del soggiorno… «Sì, certo».
«L’oggetto sottratto gli albergatori lo hanno già messo in conto. Nel nostro» (Mariolina Iossa).
L’Hotel Mayflower di Washington spende 300 mila dollari l’anno per sostituire le cose sparite. Nel 1948, dalle sale furono sottratti 4 mila cucchiaini d’argento con il logo della casa.
Secondo l’American Hotel Lodging Association, nel solo 2000 i furtarelli negli hotel sono costati agli albergatori americani 100 milioni di dollari.
Nell’agosto 2003, Holiday Inn aveva lanciato il Towel Day, il giorno dell’asciugamano: chi restituiva quello rubato, ne riceveva un altro, a strisce verdi, prodotto in 60 mila esemplari, a condizione di raccontare come e quando se lo era portato via. Tutte le storie sono poi state pubblicate in un libro illustrato.
Durante le cene alla Casa Bianca, gli ospiti si portano via i tovaglioli o gli asciugamani del bagno con lo stemma del presidente. A volte spariscono anche i segnaposti a forma di aquila.
Nel 1922, dall’hotel Ritz di Londra, sparì un pianoforte a coda.
«Si portano via tutto: posaceneri, accappatoi, candele, appendiabiti, set per scarpe…», confida a VoceArancio Elisabetta Pantano, assistente di direzione dell’Hotel Excelsior di Roma. «Spariscono tazze personalizzate, posateria d’argento, ma anche cuscini e lenzuola. Persino i termos per il caffè. Tutto ciò che entra in valigia è papabile». Perché lo fanno? «Qualcuno lo fa per portarsi a casa un ricordo della vacanza, qualcun altro perché colleziona un certo tipo di oggetto». Avete mai scoperto qualcuno? «Sì, certo». In quel caso cosa si fa? «Con molta nonchalance mettiamo l’oggetto sul conto. Il cliente, quando capisce di essere stato sorpreso, non replica. Certo, essendo il nostro un albergo a cinque stelle, questa cosa viene fatta chiaramente con attenzione e discrezione». Ma qualcosa si potrà pur prendere, no? «Sui saponi e sui vari set di cortesia chiudiamo un occhio». Quanto costa questo fenomeno all’hotel? «E’ impossibile fare delle cifre precise, ma di certo è un costo notevole. La nostra oggettistica e i nostri corredi sono quelli di un albergo a cinque stelle e hanno un valore non indifferente».
Parecchi turisti, in fila fuori dalla Galleria dell’Accademia di Firenze, si portano via pezzi di intonaco come ricordo della visita al David di Michelangelo. A Roma sono stati segnalati turisti stranieri che nottetempo staccavano pezzi dalle mura esterne del Colosseo. In Sicilia, tessere di mosaico dal pavimento del Duomo di Monreale. A Genova, le lampade e decori dal cimitero monumentale di Staglieno.
«Portare via un ricordo lo capisco, ma senza esagerare: una volta un turista siciliano mi ha chiesto se poteva prendere una bustina di zucchero con il nostro logo. Sono rimasto talmente colpito dell’onestà - perfino eccessiva - che l’unica cosa che mi è venuta in mente è stato di invitarlo a prendere anche quella di zucchero di canna...» (Luca Ciattaglia del Caffè Platti di Torino alla Stampa).
A Roma, i cinesi hanno venduto ombrellini colorati con sopra impresso non l’Anfiteatro Flavio, ma il Partenone. «Parthenon? Is in Rome, isn’t it?», si domandano i turisti.
A Portofino, Paris Hilton è entrata in un negozio di souvenir ma solo per specchiarsi.
Prezzo medio di una statuina del Duomo di Milano: 6 euro. Anche se qualcuno la vende a 8, 11 o 12 euro «Quella che costa di più è stata fatta in Italia», dicono.
Ogni anno, l’aeroporto di Parigi vende 500mila modellini della Tour Eiffel.
A pochi metri da Città del Vaticano un negozio di souvenir mise in vendita medaglie contenenti un pezzo di tessuto strofinato contro la tomba di Giovanni Paolo II (prezzi: 5.25, 4.50 e 3 euro secondo la grandezza). «Reliquie non riconosciute».
«Tu parte? Puorte Napule cu tiche!». Sul sito www.souvenair.it, la lattina con l’aria di Napoli, “accorta miscelazione di aria di Posillipo (più ricca di ossigeno), aria del Vomero (con alte dosi di gas di scarico) e aria della Sanità (con più CO2, per l’elevato numero di abitanti per mq). Con smog e senza smog. «La stessa che i napoletani inspirano ed espirano».
«Ti lascio, paese di sogni, paese d’amore, e porto con me questo piccolo tuo souvenir. E’ solo una bianca conchiglia con l’eco del mare e dice all’orecchio sommessa: "Non devi partir"…. L’ascolto perchè mi ricorda le frasi più care, Le frasi che ormai sono l’eco di un bel souvenir… Souvenir, souvenir d’Italie!» (Souvenir d’Italie, Luttazzi-Scarnicci-Tarabusi, 1954).