Claudio Del Frate, Corriere della Sera 20/09/2010; Giuseppe Spatola, ibid., 20 settembre 2010
2 articoli - IL SINDACO: VIA I SIMBOLI SE LO CHIEDE BOSSI — Non ha dato retta a chi (ad esempio il provveditore agli studi di Brescia) gli ha detto che stava facendo un uovo fuori dal cesto; ha fatto orecchie da mercante di fronte alle maestre della scuola del paese che gli avevano chiesto di tornare sui suoi passi, ha fatto orecchie da mercante (figurarsi) davanti alle proteste dell’opposizione
2 articoli - IL SINDACO: VIA I SIMBOLI SE LO CHIEDE BOSSI — Non ha dato retta a chi (ad esempio il provveditore agli studi di Brescia) gli ha detto che stava facendo un uovo fuori dal cesto; ha fatto orecchie da mercante di fronte alle maestre della scuola del paese che gli avevano chiesto di tornare sui suoi passi, ha fatto orecchie da mercante (figurarsi) davanti alle proteste dell’opposizione. Aveva addirittura preso tempo di fronte al richiamo del ministro Mariastella Gelmini; ma quando il «cartellino giallo» gli è stato sventolato da Umberto Bossi, il capo supremo, anche Oscar Lancini, il sindaco di Adro che aveva consacrato la scuola del paese all’Olimpo padano ha fatto marcia indietro. «Se è lui a chiedermelo, tolgo i simboli contestati dalla scuola». Leghista prima ancora che italiano, fedele al verbo del Carroccio sopra ogni cosa, Lancini oggi sarà a rapporto da Bossi: appuntamento alle 15 nella sede di via Bellerio a Milano, per studiare come uscire dal vicolo cieco in cui Lancini ha cacciato il paese, il suo movimento e soprattutto se stesso. Sabato, non appena il ministro Gelmini aveva detto che una scuola pubblica non può essere tappezzata con gli emblemi di un partito, i leghisti si erano preparati a una sorta di «resistenza passiva». Il messaggio che arriva dal ministro infatti è un «invito» non un ordine perentorio e quindi sembrava ci potessero essere margini per svicolare. Ma ieri, a cascata, alle parole di Bossi hanno fatto seguito quelle degli altri capi leghisti. Ha cominciato Roberto Maroni: «Intitolare la scuola di Adro a Gianfranco Miglio è stata una grande idea — ha detto il ministro dell’interno — perché è stato il padre del federalismo, ma io mi sarei fermato lì». A ruota ecco le parole di Roberto Calderoli, che ne fa un problema di quantità: «Mettere 700 soli delle Alpi è stato un po’ troppo. Uno sarebbe bastato». Alle parole del vertice della Lega, anche le granitiche certezze di Lancini hanno cominciato a vacillare: «Se me lo chiede il capo tolgo i soli delle Alpi non domani, ma ieri; prima che sindaco, sono un militante della Lega a cui ho giurato fedeltà» diceva ieri sfoggiando un maglioncino con la scritta «Ader» (Adro in dialetto bresciano). Ma subito il borgomastro trova il guizzo d’orgoglio: «La gente continua a essere dalla mia parte, mi incoraggia, mi dice di tenere duro». Chi non è disposta ad accettare una soluzione pateracchio è l’opposizione: «Adesso quei simboli devono essere cancellati al più presto — dichiara Emilio del Bono, esponente del Pd e capogruppo in consiglio comunale, a Brescia — perché sono una palese violazione della legge. A questo proposito ci domandiamo come mai fino a oggi il prefetto di Brescia abbia osservato sull’argomento un rigoroso silenzio. Un suo intervento sarebbe auspicabile, visto che è il rappresentante dello Stato sul territorio». Paradossalmente, il messaggio del ministro Gelmini anziché svelenire i toni, li ha surriscaldati; se da un lato il paese è schierato con il sindaco (e contro la sovraesposizione del caso), nella cassetta postale di Lancini è stato ritrovato un messaggio poco rassicurante: «Tra quattro anni non sarai più sindaco e vengo a trovarti...». Claudio Del Frate DIECIMILA EURO SOLO PER IL TETTO QUANTO COSTA CANCELLARE TUTTO — La domanda che comincia a circolare con una certa insistenza ad Adro adesso è la seguente: se davvero il sindaco sarà costretto a rimuovere i simboli leghisti dalla scuola elementare, quanto costerà lo «scherzetto» alle casse comunali, cioè alla comunità dei cittadini? La risposta al momento non può che essere approssimativa, perché la delibera che assegnava l’appalto (vinto dalla società «Chiara Immobiliare») e che risale al 2009, parla solo di una cifra complessiva, che è di 6 milioni e 600 mila euro, il valore complessivo dell’edificio. Come è noto, tuttavia, i soldi effettivamente sborsati sono molti meno perché il comune di Adro ha ceduto all’impresa l’edificio delle vecchie scuole consentendo di trasformarle in appartamenti: un’operazione immobiliare che aveva ottenuto numerosi apprezzamenti. Va detto poi che cancellare molte delle immagini incriminate non equivale a comprare ex novo pezzi della scuola. Ad esempio, alcune immagini sono semplicemente appiccicate alle finestre e dunque sarà sufficiente strapparle, a costo zero. Il valore di alcune singole voci può essere però già estrapolato. Ad esempio, per acquistare gli arredi (su molti dei quali è impressa l’immagine del Sole delle Alpi) il comune di Adro ha sborsato 230 mila euro; ad essi vanno aggiunti altri 350 mila euro frutto di una sottoscrizione a cui hanno aderito 30 famiglie del paese. Per «bonificare» i banchi, tuttavia, forse sarà sufficiente coprire le immagini oggetto della contestazione. Sorprendenti, invece sono le cifre spese per alcuni dettagli; ad esempio i dieci zerbini all’ingresso dell’edificio sono costati ben 7.500 euro, cifra a cui si è arrivati perché è stato indispensabile fabbricare ex novo lo «stampo» con il simbolo della Lega Nord. Più o meno identico è invece il valore stimato per i cestini dell’immondizia, quelli per la raccolta differenziata e quelli normali: 6.500 euro. Se l’invito del ministro Mariastella Gelmini troverà accoglimento, tutti questi denari finiranno come si suol dire «in cavalleria». Una prima stima invece è stata avanzata per il rifacimento del tetto, su cui campeggiano due giganteschi soli delle Alpi del diametro di otto metri ciascuno: per cancellarli e ritinteggiare la copertura la spesa prevista è di circa 10 mila euro. Questo «surplus» graverà sul bilancio del comune e come è facile aspettarsi verrà usato da entrambe delle parti in lite come arma dialettica contro l’avversario. Giuseppe Spatola