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 2010  settembre 20 Lunedì calendario

CRONISTI E BUOI DEI PAESI TUOI (IN RAI)

Donne, cronisti e buoi dei paesi tuoi. Mentre il resto del mondo si spalanca sempre di più, la Rai ha deciso che ognuno deve stare nel suo angoletto. I nuovi assunti in Piemonte devono essere piemontesi, in Calabria calabresi, in Molise molisani. Nell’attesa, si capisce, di assumere solo pantanellesi a Pantanelli e rettorgolesi a Rettorgole. Per poi passare all’assunzione di tiburtini in via Tiburtina e casilini in via Casilina. E finire con l’apoteosi: l’assunzione condominio per condominio, scala per scala, pianerottolo per pianerottolo. Ognuno a casa sua. Barricato con triplo chiavistello.
Lo sbalorditivo messaggio, una specie di traduzione pratica di un iper-federalismo separatista al cubo in coincidenza con il centocinquantenario dell’Unità d’Italia, è contenuto nel «Bando delle selezioni per la TgR» sventolato in bella vistasull a prima pagina del sito aziendale. Dove si spiega che «la Rai — Radiotelevisione Italiana S.p.A. effettuerà una selezione riservata a giornalisti professionisti di lingua italiana da utilizzare, per future esigenze, con contratti di lavoro subordinato a tempo determinato, in qualità di redattore ordinario, nelle redazioni giornalistiche regionali delle seguenti regioni e province autonome». E giù un elenco con le realtà locali, tranne Lazio. Come mai? Lo si legge alla sesta riga del verbale di incontro fra l’azienda e il sindacato: perché «come di consueto, eventuali esigenze di personale potranno essere soddisfatte mediante il ricorso a tutte le risorse già utilizzate a tempo determinato a Roma». Traduzione: sono già talmente in tanti a Saxa Rubra, spesso lasciati malinconicamente inutilizzati per motivi extra professionali, che non si può mettercene ancora.
Il bando, in realtà, come spiega il consigliere nazionale dell’Ordine dei giornalisti e sindaco dell’Inpgi Pierluigi Roesler Franz, trabocca di «incongruenze». Un esempio? Per la redazione di Aosta è «prevista oltre a una buona conoscenza della lingua inglese anche una fluente conoscenza del francese la cui valutazione avverrà con apposite prove di merito, mentre stranamente ci si è dimenticati di inserire nel bando la buona conoscenza della lingua tedesca per la redazione di Bolzano!». O dello sloveno per quella di Trieste.
Un altro? Chi aspira a essere assunto deve essere nato dopo il 30 giugno 1974, nonostante per tutte le società pubbliche, Rai compresa, valga «l’art. 3, comma 6, della legge n. 127/1997 che stabilisce che l’assunzione ai pubblici impieghi non è più soggetta a limiti di età, salvo il caso di deroghe previste da regolamenti delle singole amministrazioni per esigenze particolari».
Di più: all’aspirante redattore non basta il tesserino da professionista, che si ottiene superando un esame statale a prescindere dal titolo di studio. No: deve avere anche un «diploma di laurea (DL) "vecchio ordinamento"; oppure laurea specialistica (LS), o laurea magistrale (LM) "nuovo ordinamento"; oppure diploma rilasciato dalle Scuole di Giornalismo riconosciute dall’Ordine dei Giornalisti purché acquisito dopo il conseguimento della laurea breve o triennale (L)». Un limite che, tanto per dare un’idea, consentirebbe di assumere ingegneri nucleari, veterinari, agronomi e architetti paesaggisti, ma taglierebbe fuori, per citarne solo tre, fuoriclasse quali Giorgio Bocca, Enzo Biagi o Oriana Fallaci. I quali, a dispetto di chi si attacca ai timbri, si dedicarono al mestiere giovanissimi con tanta passione da non aver proprio il tempo per prendersi il pezzo di carta. Esattamente come non potrebbe essere oggi assunto con queste regole da Mauro Masi (ammesso e non concesso che a Masi interessasse) un professionista coi fiocchi e libero quale Enrico Mentana. Auguri.
La chicca, però, è la precisazione Rai che gli aspiranti redattori, come le «donne e buoi dei paesi tuoi», potranno «candidarsi alla selezione» solo «per la redazione coincidente con la propria regione o provincia autonoma di residenza». Di chi è stata l’idea? Boh... Forse di qualche testa fina decisa a mettersi in luce agli occhi di quei leghisti che spesso si sono lagnati come Calderoli («la lingua italiana è il dialetto romanesco che ci passa la Rai») o Castelli: «C’è troppo romanesco nell’informazione in tv». L’unico precedente che si ricordi di apartheid redazionale, diciamo così, è quello che tentò l’attuale ministro degli Interni Roberto Maroni il giorno in cui fu candidato alla direzione dell’Indipendente e tuonò: «Voglio fare un giornale del Nord per i nordisti con giornalisti rigorosamente del Nord». Direzione tramontata. Ma non è detto che sia andata in questo modo. Le sciocchezze a volte nascono così, per inerzia...
Fatto sta che, come sostengono Pierluigi Roesler Franz, l’avvocato dell’Associazione Stampa Romana e della Fnsi Bruno Del Vecchio e il Codacons in un ricorso al Tar del Lazio, i concorsi per le aziende pubbliche, dal Portogallo alla Finlandia, dalla Gran Bretagna alla Romania, dovrebbero essere aperti a tutti gli europei, dai francesi agli svedesi, dagli scozzesi ai greci. E vincano i migliori. Starà poi al greco decidere se gli interessa un posto a Edimburgo o a un polacco un posto a Palermo. Punto. È una questione di regole. Che minacciano di far scattare contro la Rai miriadi di ricorsi se è vero, come ricorda Del Vecchio, che «la provincia di Bolzano aveva recentemente indetto un bando di aggiornamento straordinario delle graduatorie provinciali degli insegnanti di Trento» che «prevedeva, tra l’altro, un maggiore punteggio per chi aveva lavorato nella provincia ed era residente in loco da almeno due anni» e «l’Unione europea ha contestato all’Italia tale discriminazione».
Ma più ancora è una questione di buon senso. I giornalisti non si dividono in calabresi e valdostani, friulani e sardi. Ma in fuoriclasse, bravi, decenti, schiappe, liberi o servili. A meno che non si pensi che ogni giornalista deve essere schierato al servizio non del Paese ma della propria regione, della propria città, della propria contrada, del proprio condominio... Ma nel testo unico sulla radiotelevisione non c’è scritto che la «società concessionaria del servizio pubblico generale radiotelevisivo» è istituita «al fine di favorire l’istruzione, la crescita civile e il progresso sociale, di promuovere la lingua italiana e la cultura, di salvaguardare l’identità nazionale?».
Gian Antonio Stella