Elio Silva, Il Sole 24 Ore 20/9/2010, 20 settembre 2010
GLI SPONSOR IN SOCCORSO ALL AMBULANZE, COSÌ CAMBIA IL NO PROFIT
Elio Silva Preparatevi all’idea: se chiamate un’ambulanza potrebbero venire a prendervi George Clooney o Belen Rodriguez, oppure Francesco Totti e Ilary insieme. Non proprio di persona, sfortunatamente, ma con i loro volti appiccicati sulle fiancate dell’automezzo. E se vi chiederete come mai anche un veicolo di soccorso possa essere diventato una sandwich car, come talvolta sono i taxi nelle grandi città, cercate la risposta nel nuovo Codice della strada, che prevede (articolo 5, comma 4) la possibilità per le Onlus, le associazioni di volontariato e le società sportive dilettantistiche iscritte ai registri Coni di "ospitare" su tutti i propri automezzi (comprese le auto di servizio) cartelli sponsorizzati o scritte pubblicitarie, purché non luminose. Saprete così che si tratta di una chance offerta alle organizzazioni no profit per diversificare le entrate.
La novità, inizialmente segnalata dal Sole 24 Ore il 23 agosto scorso, ha stupito lo stesso mondo associativo e sta sollevando un corollario di dubbi sul piano fiscale, dato che le Onlus non pagano l’Ires e i ricavi da sponsorizzazioni non sono considerati attività istituzionali, né connesse. L’ultima parola non è ancora scritta (serve un decreto regolamentare entro il 12 ottobre, termine di 60 giorni dall’entrata in vigore della legge). Ma la mini-riforma, comunque vada, è la spia di una più generale tendenza del legislatore all’innovazione normativa per dare ossigeno al Terzo settore. Il cantiere delle leggi presenta la scritta «lavori in corso» per il no profit, non necessariamente all’interno di un disegno unitario, anzi con l’ormai consueta prevalenza di norme-spezzatino. L’orientamento generale, però, è quello di rafforzare i margini di azione nella sfera economica.
Il segnale più recente è arrivato, al riguardo, con il decreto legislativo 141/10, che recepisce la direttiva europea sul credito al consumo. Accanto ad altri interventi, il provvedimento innova anche la disciplina del microcredito e, in particolare, consente alle associazioni senza fini di lucro, purché iscritte a uno specifico elenco di futura costituzione, di erogare finanziamenti a persone fisiche, società di persone o cooperative in condizioni di disagio o difficoltà, senza garanzie reali e sempre che i tassi applicati siano più favorevoli di quelli «prevalenti» sul mercato. Il tetto è fissato a 25mila euro e le erogazioni dovranno essere accompagnate da «servizi ausiliari» di sostegno, per assicurare il raggiungimento dell’inclusione.
Come afferma Andrea Olivero, presidente nazionale delle Acli e portavoce del Forum del Terzo settore, «si tratta di una prospettiva importante per l’associazionismo, che da tempo chiede di poter operare direttamente in campo finanziario a sostegno delle fasce sociali più vulnerabili, in genere soggetti non bancabili. È vero che erano e sono già in atto molte collaborazioni, soprattutto con le fondazioni di origine bancaria, ma ora, grazie a questa riforma, le partnership saranno più forti e agevoli». A ciò si aggiunge il valore delle istruttorie di accompagnamento per l’inclusione lavorativa e sociale dei beneficiari, «dove il ruolo degli enti - afferma Olivero - può davvero rivelarsi decisivo». Per questo «si stanno valutando alcuni progetti-pilota, da utilizzare poi come prassi di riferimento».
La posta in gioco, tuttavia, è ancora più alta: «Il credito al consumo è buona cosa – dichiara Stefano Zamagni, presidente dell’Agenzia per le Onlus – ma è un aspetto ancora marginale, che non risolve la questione di fondo: nel nostro paese serve credito agli investimenti, per far decollare l’economia civile». Per questo le aspettative maggiori sono legate alla riforma del Libro primo del Codice civile, il cui testo è stato avviato all’esame del Consiglio dei ministri nel giugno scorso e, dopo il coordinamento tra i ministeri della Giustizia e del Lavoro e politiche sociali, dovrebbe vedere la luce in autunno.
La riforma prevede l’esercizio di attività di impresa anche per associazioni e fondazioni, purché strumentali agli scopi sociali. Per evitare "sfondamenti" in campo commerciale verranno previste, tra l’altro, una contabilità separata tra la gestione sociale e quella imprenditoriale, la totale devoluzione degli eventuali utili d’esercizio ai fini istituzionali e la facoltà di creare patrimoni separati per le attività d’impresa.
Non solo. «Ciò che più conta – fa notare Zamagni – è che, per il riconoscimento della personalità giuridica, verrà abbandonato il regime concessorio, in base al quale è lo Stato a decidere questa attribuzione, per passare a un modello nel quale l’intervento pubblico si limita a riconoscere l’esistenza dei soggetti e, naturalmente, a esercitare i poteri di controllo». Un’altra conseguenza della futura riforma sarà l’incardinamento nel Codice dell’impresa sociale, figura introdotta ex novo nel 2005 con disciplina ordinaria (legge 118/05 e successivi decreti di attuazione), ma rimasta finora in una sorta di limbo. Si tratta di una galassia che, con 15mila imprese, 350mila addetti, 5 milioni di utenti e un volume d’affari annuo di 10 miliardi di euro può offrire un contributo non marginale alla ripresa nel nostro paese, come è emerso nell’ultimo fine settimana da un workshop promosso a Riva del Garda (Trento) dal consorzio di istituti di ricerca Iris Network. Il nodo di fondo resta, però, l’imponderabilità degli effetti delle norme-spezzatino. «Bisogna arrivare a una legge-quadro sul Terzo settore, senza la quale rischiano di esplodere le mille contraddizioni di questo mondo», invoca Zamagni. Più che l’annuncio di una novità in arrivo, la sua sembra essere una profezia.