Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  settembre 18 Sabato calendario

I DISTRETTI ORAFI TEMONO L’IMPENNATA DEI COSTI

Non è tutto oro quello che luccica. Ma quando l’oro, e soprattutto il suo prezzo, luccicano troppo, gli effetti possono diventare devastanti per i conti delle imprese di trasformazione della gioielleria, che nei distretti industriali del nostro paese (i principali sono Vicenza, Arezzo e Valenza Po in provincia di Alessandria) stanno faticosamente cercando di agganciare il treno della ripresa, dopo anni di crisi.

«Siamo molto preoccupati - dice Stefano de Pascale, direttore di Confindustria Federorafi -. Questi livelli di prezzo sono un freno ai consumi, con effetti negativi per tutta la filiera che resta bloccata in attesa di una stabilità». Eppure, nei primi sei mesi del 2010, le esportazioni italiane di oreficeria sono aumentate di oltre il 26% rispetto al 2009 (da 1,6 a 2 miliardi di euro), con un saldo commerciale positivo di 1,4 miliardi. «Attenzione - puntualizza de Pascale - il forte incremento in valore dell’export è drogato proprio dalla crescita del prezzo della materia prima, mentre in termini quantitativi stiamo ripetendo il trend del 2009».

I distretti manifatturieri soffrono, anche se con dinamiche diverse. «Il mercato è piatto e lavorare con una materia prima che è un bene rifugio non aiuta - commenta Giuseppe Corrado, leader della sezione orafi di Confindustria Vicenza -. Le imprese puntano da tempo su materiali alternativi e gioielli con quantità sempre minori di oro, ma la situazione resta difficile e per quest’anno stimiamo un’ulteriore flessione della produzione, dopo il forte calo del 2009». Stessa preoccupazione, anche se attenuata da una dinamica leggermente migliore, a Valenza Po e Arezzo. «Chi fa produzioni medio-basse soffre, mentre resiste ancora abbastanza bene la fascia alta», spiega Bruno Guarona, presidente dell’Associazione orafa valenziana. «Per chi fa il nostro mestiere e per i clienti, servirebbe stabilità di prezzi - aggiunge -. In queste condizioni, invece, diventa difficile programmare e i compratori sono disorientati. Il nostro distretto, comunque, ha puntato da sempre sulla qualità e l’innovazione, e a fine 2010 riuscirà a mettere a segno un leggero recupero sull’anno scorso».

Di «gioielli sempre più leggeri e materiali alternativi» parla anche Dario Micheli, imprenditore del settore e presidente della sezione orafi di Confindustria Arezzo. «La situazione è difficile - conferma -. Nel primo semestre dell’anno il distretto ha segnato un’ulteriore flessione del 7% come valore aggiunto. Ma da luglio le cose hanno preso a girare meglio e pensiamo di poter chiudere il 2010 in linea con il 2009, quando la flessione era stata del 20%. Possiamo dire che la caduta libera s’è arrestata - puntualizza -. Ma senza gli effetti della speculazione sulla materia prima, adesso potremmo davvero parlare di ripresa».

Se le imprese manifatturiere soffrono, il prezzo così alto dell’oro sta facendo fiorire al contrario le insegne di esercizi commerciali "Compro oro": negozi specializzati nell’acquisto di gioielli e preziosi usati. In Italia, ormai, ce ne sono quasi 8mila, con un giro d’affari di 3 miliardi all’anno. È un vero e proprio boom, che vede la crescita e il consolidamento di soggetti sempre più organizzati, come la padovana "Mercato veneto dell’oro" (19 punti vendita tra Veneto e Emilia Romagna) o la lombarda Orocash che ha 350 negozi a gestione diretta o in franchising in tutto il paese. A spingere il business è, purtroppo, in molti casi la necessità economica di chi vende. Ma non sempre. Il valore dell’oro ha reso attuale anche la pratica della "restituzione dell’usato", un po’ come nel mercato delle auto. «È un fenomeno in rapida crescita, favorito dai prezzi dell’oro», spiega Maurizio Merenda, amministratore delegato di Stroili Oro, la maggiore catena di gioielleria italiana, 175 milioni di ricavi nel 2009 (+6%), 350 negozi nei principali centri commerciali e il primo punto vendita "tradizionale" aperto nel cuore di Roma nei giorni scorsi (lunedì è in programma l’inaugurazione ufficiale in via del Corso). «Ritiriamo volentieri l’oro usato e la clientela è contenta di poter abbattere il costo di un nuovo acquisto - commenta -. Con questi valori, molti spendono più volentieri perché ritengono di fare un investimento».

Stroili Oro non soffre per le quotazioni del metallo. «A questi livelli, la situazione è sostenibile - dice Merenda -. Riusciamo a mantenere ancora prezzi al pubblico accessibili e un elevato contenuto moda, secondo un modello di business che ci sta dando ragione. Adesso - continua - con l’apertura del negozio romano, puntiamo ad allargare il pubblico di riferimento, oltre a quello degli shopping mall, e quest’anno cresceremo oltre il 10%». È l’altra faccia della medaglia.