Roberto Capezzuoli, Il Sole 24 Ore 18/9/2010, 18 settembre 2010
ORO E ARGENTO AI MASSIMI
La marcia dell’oro ha scelto un ritmo graduale, ma all’apparenza implacabile. Ieri al bullion market di Londra il metallo ha toccato durante la sessione il picco mai visto prima di 1.282,75 dollari per oncia, per poi fissarsi nel pomeriggio a 1.274 $.
Anche l’argento trattato nella City non è stato da meno, con un fixing a 20,85 $/oz, ma solo dopo aver fermato gli schermi sulla cifra 20,99 $, la più alta da quasi trent’anni. A impedire la correzione del primato assoluto è stata unicamente la disastrosa scommessa che alla fine degli anni settanta portò i fratelli texani Hunt ad accaparrarsi un terzo della produzione mondiale annua d’argento. L’operazione naufragò con costosissimi strascichi legali per gli Hunt, ma lasciò il record storico dell’argento alla inavvicinabile soglia di 48,70 dollari per oncia. A sostenere le quotazioni dei preziosi sono le considerazioni emerse già nei mesi scorsi. Gli ordini d’acquisto vengono soprattutto da investitori e speculatori, convinti che sia opportuno proteggersi contro le incertezze dell’economia, contro l’instabilità finanziaria, contro le ricorrenti fasi di debolezza del dollaro e dell’euro, contro la crisi dei debiti sovrani (leit motif che aleggia sui mercati dell’oro dalla primavera scorsa).
Da mesi e mesi la liquidità immessa nel sistema finanziario internazionale inonda i mercati e spinge alla ricerca di una sorta di giubbotto di salvataggio. Il ruolo è stato conquistato dall’oro, considerato la vera e unica moneta "forte". Però nessun giubbotto di salvataggio, reale o figurato, riesce a tenere a galla per sempre, come lasciava intendere nei giorni scorsi il finanziere George Soros.
Così il graduale aumento delle quotazioni accentua le difficoltà degli orafi e crea perplessità anche agli investitori, che devono valutare quale sia il momento più opportuno per monetizzare i guadagni. Attualmente, con le previsioni di un deficit statunitense quest’anno al livello record di 1.470 miliardi di dollari e con le ipotesi sussurrate di svalutazione sincronizzata per il dollaro e altre monete, chi ha l’oro non pare intenzionato a liberarsene. Però gli analisti delle grandi istituzioni finanziarie si sono fatti più cauti: Goldman Sachs, per esempio, ha appena lanciato un pronostico sorprendentemente poco aggressivo, di 1.300 dollari per oncia di qui a sei mesi. Il traguardo sembrerebbe a portata di mano già la settimana prossima, se la Federal Reserve martedì allenterà nuovamente la propria politica monetaria.
Per gli investitori, nemmeno le azioni di società aurifere possono rappresentare un’isola sicura. Il numero 3 del mondo, la sudafricana AngloGold Ashanti, come si è visto appesantirà i propri debiti per liberarsi dalle operazioni di copertura effettuate in passato a protezione da ribassi che non si sono più verificati. La russa Polyus ha dato ieri risultati semestrali deludenti a causa dell’aumento dei costi, mentre il numero uno, la canadese Barrick, oscilla senza troppe scosse intorno ai valori medi dell’ultimo mese.
Tra i big, le performance migliori quest’anno sono dell’australiana Newcrest e dell’americana Newmont, ma non è detto che la tendenza positiva prosegua a tempo indeterminato.