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 2010  settembre 21 Martedì calendario

LA STRADA GLOBALE; STESSI NEGOZI, STESSI BAR E CAFFÈ , STESSI SUPERMERCATI: LE VIE DEL MONDO SONO SEMPRE PIÙ UGUALI. ECCO UN VIAGGIO NELLE CITTÀ CLONATE

Un caffè, un bar, un paio di ristoranti, un supermercato, una farmacia, una libreria, un´edicola, qualche negozio di abbigliamento. Questo è quello che troviamo più o meno in tutte le strade di tutte le città del mondo, perlomeno nel nostro mondo, nell´Occidente globalizzato. Ma provate a immaginare che quel caffè, quel bar, quel supermercato, siano ovunque gli stessi. Provate a immaginare che un marziano, sbarcato a Londra o a Parigi, a Chicago o a Milano, in una cittadina di provincia inglese, americana o italiana, veda intorno a sé le medesime insegne, le medesime vetrine, i medesimi prodotti. Tutto uguale. Tutto identico. Tutto indistinguibile. Al punto da non poter riconoscere il luogo in cui si trova. Un incubo? No, la realtà odierna. Quel marziano, secondo il rapporto di un think tank britannico, siamo noi. E se ancora non lo siamo, presto lo diventeremo, perché le città occidentali stanno subendo un processo di clonazione che ne cancella gradualmente ogni segno di diversità, originalità, autenticità.
Non si possono clonare soltanto le pecore, o magari, un giorno, gli esseri umani. Si può fare anche con le strade. L´espressione "città clonate" è stata usata per prima dalla New Economics Foundation (Nef), una fondazione di studi del Regno Unito che cinque anni fa ha dato l´allarme. In realtà il fenomeno, senza che nessuno gli avesse dato un nome, esisteva già da tempo. É partito, come quasi tutto, dagli Stati Uniti, cioè da un paese in cui le città hanno una storia assai meno lunga di quelle europee, in cui i centri storici, al posto delle piazze, hanno la "main street", la strada principale, una via soprannonimata così in tutte le città americane. Come i villaggi del Far-West descritti dal cinema, la "main street" aveva il barbiere, l´emporio, il saloon, e da questa trinità si è sviluppata una crescita uniforme, massificata, priva di fantasia. Le catene di ristorazione, di alimentari, di ogni genere commerciale, sono nate e si sono moltiplicate negli Usa perché in una nazione così grande, i cui abitanti erano abituati a muoversi molto più di quelli della vecchia Europa, l´uniformità era considerata un pregio, non un difetto: trovare lo stesso ristorante, lo stesso hotel, lo stesso bar, lo stesso supermarket, a Dallas come ad Atlanta, a Los Angeles come a Boston, era ed è tuttora un motivo di conforto, di rassicurazione, per il viaggiatore. Senonchè, a un certo punto, la McDonaldizzazione dell´America ha attraversato l´oceano ed è arrivata in Europa. La si può individuare dappertutto, perché le grandi catene di ristorazione e distribuzione sono ormai multinazionali, ma è in Gran Bretagna, il paese culturalmente più simile agli Usa, che la tendenza si è manifestata fino in fondo. Un nuovo rapporto della Nef, il think tank che coniò il termine, afferma che oggi il 41 per cento dei centri urbani del Regno Unito sono "città clonate" e un ulteriore 23 per cento è in procinto di diventarlo: in pratica, due terzi delle città britanniche hanno la stessa, identica "high street", come si chiama qui la strada principale, la via dello shopping e del passeggio, equivalente della "main street" americana. Il caffè è uno Starbucks o un Costa. Il pub è un Wheterspoons o un All Bar One. Il ristorante è un McDonald per il fast food, un Wagamama per il cinese, Domino´s per la pizza, Nando´s per il pollo, T. G. F. (Thanks God is Friday - grazie a Dio è venerdì) per le uscite del week-end e così via. Il supermercato è un Tesco, un Sainsbury o un Waitrose. La farmacia è Boot, la libreria è Waterstone, l´edicola è W. H. Smith. E il negozio di abbigliamento è Gap o Top Shop. Aggiungeteci un negozio di telefonini Vodafone, uno di elettronica ed elettrodomestici Curry, uno di arredamento Conran, e la strada è completa. La città è fatta. Anzi, clonata. Il rapporto 2010 della Nef indica in Cambridge la città più clonata di Gran Bretagna: proprio Cambridge, con la sua università ottocentenaria, le sue stradine medievali ornate di guglie, torri e pinnacoli. Eppure sulla sua "high street" convivono soltanto nove varietà di negozi, nove "brand" differenti. Richmond, un quartiere di Londra, è ancora più in basso nella classifica della clonazione urbana: nel suo intero territorio sopravvivono solamente cinque botteghe indipendenti. Soltanto un terzo delle città britanniche resiste all´avanzata costante dei "chain stores", le catene di negozi tutti uguali; e per trovarne una veramente sgombra di insegne clonate bisogna andare a Whitstable, un porticciolo del Kent, dove il 92 per cento dei negozi sono indipendenti.La clonazione non riguarda solo l´Inghilterra. Un negozio alla volta, sono anni che anche le altre città di Europa diventano più simili fra loro. É la filosofia dei centri commerciali, che eliminano la concorrenza dei negozietti a gestione familiare e tolgono originalità al panorama urbano del vecchio continente, per cui la Spagna comincia a somigliare alla Svezia e una strada di Copenaghen a una di Dusseldorf o di Atene. «Ma non è solo una questione estetica», osserva Paul Squires, co-autore del rapporto sulle città clonate per la New Economics Foundation. «I nostri dati dimostrano che le città più dipendenti dalle grandi catene di ristorazione e distribuzione sono le più vulnerabili in tempi di recessione. Le catene sono le prime ad andarsene quando l´economia va male, perché non hanno alcun legame reale con il territorio». Non tutti concordano. Altri studi sostengono che le catene di negozi, disponendo di maggiori fondi, possono permettersi più forti investimenti nella realtà locale. E se le catene hanno successo, è perché i prodotti che offrono costano meno e piacciono di più ai consumatori. Come che sia, una cosa è certa: l´espansione delle città clonate ha devastato i piccoli esercenti. Tra il 1997 e il 2002, i negozi indipendenti di alimentari in Gran Bretagna hanno chiuso al ritmo di uno al giorno e quelli di prodotti specializzati al ritmo di 50 alla settimana. Tra il 2002 e il 2010, secondo una stima, il ritmo è raddoppiato. Nell´ultimo anno in Inghilterra hanno chiuso 700 pub nei villaggi, ed è scesa la saracinesca su quasi altrettanti negozi indipendenti. La scelta è sempre di più tra il nulla e il commercio clonato. «É la clonazione della nostra esistenza quotidiana», dice Elizabeth Cox, anche lei autrice del rapporto della Nef. «Vuol dire che ci sono meno prodotti tra cui scegliere, meno concorrenza tra produttori, meno convenienza per il pubblico. É anche un rischio per la democrazia, perché quando avremo una sola catena di edicole o una sola catena di librerie in tutto il paese, queste diventeranno gli arbitri dei giornali e dei libri che leggiamo. Così come i supermercati sono gli arbitri di quello che mangiamo». Le città clonate non sono, tuttavia, un´esclusiva del capitalismo globalizzato. Esistevano anche nell´Unione Sovietica comunista. Dove ogni anno, a Capodanno, la tivù trasmetteva (e lo trasmette ancora, anche nella Russia post-comunista) un delizioso filmetto su un tale che il 31 dicembre si ubriaca con gli amici in una sauna di Mosca, sale per sbaglio su un aereo invece che sul bus, finisce a Leningrado, all´arrivo dà il suo indirizzo di casa a un tassista e viene portato in una strada identica alla sua di Mosca, davanti a un palazzone uguale al suo, dove c´è un appartamento come il suo, che lui può aprire con la sua chiave. Dentro, trova la donna dei suoi sogni. Ma se fosse bello vivere così, l´Urss sarebbe ancora al suo posto.