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 2010  settembre 20 Lunedì calendario

FEDUN, L’OLIGARCA COLTO CHE SOGNA LA ROMA MA PARLA DI FILOSOFIA


Nato a Kiev il 5 aprile 1956, Leonid Fedun si è laureato a Rostov nel 1977 alla Scuola Superiore di Comando Militare. Nel 1984 si diploma all’ Accademia Militare dove poi lavorerà come insegnante di scienze politiche ed economia. Nel novembre 1992, entra in affari, fondando la LLP Neftkonsult. Lascia le Forze Armate della Russia nel 1993 per diventare amministratore delegato della LukoilConsulting. Dal marzo 1994 è vicepresidente e membro del consiglio di Lukoil e dal 1996 Vicepresidente del gruppo, nonché responsabile di sviluppo e investimenti. La regione di produzione più importante del gruppo è la Siberia occidentale. Nuova regione in rapida crescita è il TimanPechora, dove negli ultimi cinque anni, la produzione di petrolio è aumentata di oltre 1,6 volte. Lukoil sta inoltre attuando una serie di progetti per l’esplorazione e la produzione al di fuori della Russia: in Kazakhstan, Egitto, Azerbaijan, Uzbekistan, Arabia Saudita, Iran, Colombia, Venezuela, Iraq.

Niente a che vedere con gli sceicchi spendaccioni e nemmeno con il solito campionario di miliardari russi pieni di soldi e voglia di stupire con il loro portafoglio. Leonid Fedun, il petroliere che sta pensando di comprare la Roma di Totti e Ranieri non è tipo da fanfaronate da bar sport. Semmai un amministratore oculato che ama i progetti a lunga scadenza, la solidità dei bilanci, i passi sempre un po’ meno lunghi della gamba.
Se dovesse sciogliere i suoi dubbi e catapultarsi nel mondo del pallone italiano stupirebbe certamente gli addetti ai lavori per il suo profilo ostentatamente basso, da finto dilettante del calcio, che lascia sempre la parola definitiva ai tecnici, ai giocatori, persino ai pareri dei tifosi. Adora il football e ci investe coscienziosamente tempo e denaro da quando, nel 2003, è diventato proprietario di una società gloriosa e amatissima come lo Spartak di Mosca. Va a quasi tutte le partite casalinghe allo stadio Luzhniki, ex Lenin, con tanto di cappellino biancorosso, ma è difficile sentirgli esprimere un parere, tantomeno un pronostico. Altre sono le sue passioni ufficiali, quelle su cui concede fiumi di dichiarazioni che raramente i cronisti sportivi registrano sui loro giornali. Suoi cavalli di battaglia, perfino un tantino maniacali, sono il retaggio filosofico dell’adorato Nikolaj Rerjkh, pittore e orientalista russo di inizio Novecento, e il sincretismo delle religioni mondiali. Altro che fuorigioco e rigori non concessi.
Perchè pur essendo il vicepresidente del più grande colosso petrolifero di Russia, la Lukoil, e uno degli uomini più ricchi del Paese, questo cinquantacinquenne "oligarca per caso" ci tiene alla sua immagine di uomo di cultura dai mille non banali interessi. Ci tiene a distinguersi dal branco dei miliardari sguaiati e tanto cafoni che ostentano fuoriserie e modelle ingioiellate e una fedeltà senza limiti al premier Vladimir Putin. Ma è probabile che al premier russo, tanto interessato alla gestione dei rapporti con i miliardari del Paese, questo singolare nuovo ricco, dal sorriso ironico e l’aria modesta piaccia molto più di quanto si possa immaginare. Di certo, ragionano gli esperti di economia e finanza moscoviti, il premier vedrebbe di buon occhio uno sbarco di Fedun nell’ambiente dal più grande riflesso mediatico che esista in Italia. Un modo per esportare una figura diversa e assai più presentabile del mondo del business russo.
Come per tutti i miliardari venuti dal nulla nei primi anni dell’era post sovietica anche nella biografia di Fedun restano delle zone d’ombra tutte da chiarire ma è certo che il suo passaggio al mondo inarrivabile dei ricchi e potenti è quanto di più nobile esista su piazza. A cominciare dall’infanzia passata nelle campagne di Bajkonur, terra di cosmonauti e di rampe missilistiche nel lontano Kazakhstan. Nato a Kiev era finito nel grande cosmodromo dell’Unione Sovietica al seguito del padre capo chirurgo della base militare. Costretto a vivere, studiare, giocare all’ombra dei missili che fecero l’epopea dell’Urss negli anni Sessanta. Ma anche questo sarebbe troppo facile. Nelle sue rare concessioni ai ricordi di gioventù, Leonid Fedun ama raccontare come abbia sempre preferito restare con i piedi per terra. "Più che il cosmonauta – ha raccontato con un certo distacco – sognavo di diventare archeologo. Gli altri ragazzi guardavano solo alle navicelle lanciate nello spazio. Io ero incantato dai tumuli di terra tutto intorno alla base che nascondevano chissà quanti tesori di antiche civiltà". Sognatore sì, ma con una certa visione pratica delle cose. Questo è il suo marchio di fabbrica, confermato anche dalle sue scelte di adulto: accademia militare come il padre e la scelta della facoltà "politica".
Fedun diventò uno di quei giovanissimi ufficiali che curavano il cosiddetto indottrinamento ideologico. Ore di lezione teorica in cui ai soldati veniva spiegata la giustezza e la mancanza di alternative agli ideali comunisti e soprattutto il ruolo fondamentale dell’Armata Rossa nella difesa del Paese che, in piena Guerra Fredda, si considerava costantemente nel mirino dell’Occidente.
Per svolgere una simile attività non era tanto necessaria una fede convinta in questi valori quanto un talento nel conquistare l’interesse di una truppa svogliata e spesso ignorante e insofferente alla durezza del servizio militare. Le doti di conferenziere e colto intrattenitore avrebbero fatto la sua fortuna.
Per arrotondare il misero stipendio da tenente cominciò a svolgere conferenze per conto di varie associazioni culturali pan sovietiche fino al magico incontro che diventa la chiave di tutta la sua favola. Incaricato di un ciclo di conferenze nella lontana e gelida Kogalym nella Siberia Occidentale fa colpo sulla nascente classe dirigente di quelle parti costituita dai petrolieri che stavano cominciando da pionieri lo sfruttamento delle immense risorse di quei territori. La sua amicizia con Vitalij Shmidt vice direttore generale della società Kogalymneftegaz nasce probabilmente proprio così. Per il piacere del dirigente arrivato da Mosca di intrattenere conversazioni di un certo livello nella desolata periferia in cui era costretto a vivere. In Siberia il giovane ufficiale fa il salto di qualità che cambierà la sua vita. Diventa amico del direttore della società, Vaghit Alekperov che quando crolla l’Urss diventa viceministro dell’Industria e del Petrolio e se lo porta con sé a Mosca. La metamorfosi è rapida e vantaggiosa. Fedun abbandona la divisa, si iscrive alla neonata scuola per la privatizzazione e l’imprenditoria ed entra nel giro vorticoso e oscuro della destatalizzazione delle ricchezze dell’Urss dove tutti coloro che stavano vicini al potere del momento riuscivano ad ottenere vantaggi e posizioni economiche in circostanze non sempre chiarissime.
Di certo che già nel ’93 Fedun è direttore generale della Lukoil consulting. Solo un anno dopo vice presidente della Lukoil stessa. Manager invisibile, ignorato da giornali e tv, ma fondamentale. Per l’azienda e per sé stesso. Nel 2004 la rivista Forbes ne scopriva per la prima volta l’esistenza e gli accreditava un patrimonio personale di 1,3 miliardi dollari. Oggi lo stesso patrimonio si aggirerebbe sui sei miliardi.
Nel suo stile a tutti i costi "low profile" Fedun lascia che siano gli altri a raccontare i suoi meriti. Tutti ad esempio gli attribuiscono il contratto che lega la Lukoil come fornitore numero uno di prodotti petroliferi a tutte le strutture di polizia e al ministero della Difesa. Tra le medaglie che i suoi colleghi gli conferiscono quando ne raccontano le imprese, c’è tutta una serie di contratti ottenuti per conto dell’azienda tra i quali quello per il giacimento TimanoPeciorskoije strappato ad una nutrita concorrenza interna e straniera.
Sua dote particolare, e questo dovrebbe interessare molto i suoi potenziali futuri colleghi presidenti di squadre di calcio, è la cosiddetta "ottimizzazione della tassazione". Per molti sarebbe un vero mago nel destreggiarsi nella complessa, e non aliena da corruzione, macchina fiscale russa. Insomma una serie eccellente di referenze che non ha subito smentite nella sua avventura calcistica. Lo Spartak, chiamata dai rivali "la squadra della carne" con riferimento all’era sovietica in cui era di proprietà del consorzio dei commercianti di generi alimentari, non ha acquistato campioni stellari né annunciato sfracelli. In perfetto stile Fedun, ha risanato i conti che erano disastrosi. Ha ricostruito campi d’allenamento, e rilanciato un settore giovanile inesistente. Obiettivo, la conquista di una qualificazione in Champions’ League puntualmente arrivata due anni fa. Adesso è terza in campionato a due punti dallo Zenith dell’ex romanista Spalletti. Prospettive rosee, non solo per il torneo ma per un grande ciclo futuro. Grazie anche allo sponsor che ovviamente è quello degli amici della Lukoil disposti a qualsiasi sacrificio economico per le iniziative sportive del loro vice presidente. Non a caso, nello smentire un interessamento diretto all’acquisto della Roma la Lukoil ha già fatto capire che non sarebbe contraria a sponsorizzare la squadra giallorossa nel caso Fedun dovesse decidere l’acquisto. Lui intanto studia i conti che si è fatto mandare dall’Italia. Ed evita dichiarazioni: "Sempre pronto a parlare ma solo di arte o filosofia".