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 2010  settembre 20 Lunedì calendario

ALLARME CONCESSIONARI: AUTO IN CRISI, NOI IN GINOCCHIO


La crisi dell’auto è una delle più dure di sempre. Da oltre due anni i mercati crollano un po’ ovunque. Alcuni costruttori hanno dovuto dichiarare il fallimento per ripartire con i soldi dello Stato, altri si sono ridimensionati in maniera drastica, in pochi ce l’hanno fatta senza chiedere aiuti a nessuno. Tutti comunque stanno provando a ripartire.
Molto più difficile e con meno prospettive è invece la situazione di chi le auto deve venderle, ovvero i concessionari. L’intero sistema, almeno in Italia, è in ginocchio. O meglio «in profondo rosso», come sostiene la Federauto.La Federauto è l’associazione di categoria che rappresenta 3.800 aziende della distribuzione. Al vertice, da pochi mesi, è arrivato un giovane imprenditore, Filippo Pavan Bernacchi, concessionario Fiat ed ex alpino. Il suo linguaggio è diretto, le sue denunce precise: «C’è innanzitutto un problema di mercato. Al di là dei dati ufficiali, il crollo reale è di circa il 30 per cento e in alcune zone addirittura del 50. Siamo ben oltre la soglia di sopravvivenza. Il sistema sta per crollare. Entro la fine dell’anno avranno chiuso circa mille concessionarie con 15 mila persone destinate a perdere il posto di lavoro e altre 30 mila dell’indotto che rischiano altrettanto». Numeri drammatici che aprono nuovi scenari. Fino a quello dello sciopero: «Siamo pronti a fermare le nostre aziende. Faremo presto un’azione dimostrativa di un solo giorno, pronti ad estenderla anche per una settimana, bloccando quindi tutta l’assistenza, i tagliandi. Attività che svolgiamo anche per conto di molte amministrazioni».
È dunque finita l’epoca dei concessionari ricchi grazie agli ottimi margini di guadagno. Imprenditori dalla vita facile, insomma. A guardare questi dati, infatti, sembra tutto il contrario. Talmente diverso che si fatica a credere che sia davvero così.
«L’utile netto delle nostre aziende — dicono sempre alla Federauto — nel 2003 era dello 0,3 per cento sul fatturato, nel 2008 (ultimo dato disponibile, ndr) è sceso a meno 0,5». Significa quindi che nella media queste aziende hanno lavorato in perdita. Dati che trovano riscontro anche nella percentuale dei dealer che nel corso degli anni ha finito per rimetterci un bel po’ di soldi: il 26,2 per cento nel 2005 e addirittura il 47,3 nel 2008. Una cifra destinata a crescere con la conseguente chiusura e fallimenti di molte aziende.
Su questo fronte è quasi un bollettino di guerra. Con saracinesche abbassate un po’ ovunque per l’Italia anche se la zona più colpita resta quella del nord est, dove le piccole e medie imprese sono cresciute in fretta. A Padova e Treviso ha già chiuso la Sartori United con circa 70 dipendenti. Stessa sorte per la Marazzato e la Rizzato, aziende multimarche sempre del Triveneto fino a poco tempo fa in piena attività e ora scomparse dalla scena insieme a diverse centinaia di lavoratori.
A Roma, il gruppo Colaneri è passato, negli ultimi due anni, da 170 a 90 dipendenti e da 13 mila vetture vendute a non più di 6 mila. Il motivo? «Troppe tasse sull’auto, mancanza di interlocutori e case sott’accusa per l’altissimo numero di versioni e di accessori che portano in alto i listini».
Segnali evidenti di un sistema che non sta più in piedi. Ma come si è arrivati a questo? Possibile che improvvisamente aziende con ottimi fatturati (la media è di 25 milioni di euro) si trovino a dover gettare la spugna? «La situazione è davvero grave — dicono sempre alla Federauto — basta guardare l’incredibile aumento della cassa in deroga, un ammortizzatore sociale che sostituisce la cassa integrazione. Ci sono concessionarie importanti che operano con oltre il 50 per cento di contratti di solidarietà che significa accordi interni col sindacato, ratificati dal ministero del Lavoro. Garantiscono il posto di lavoro per altri 1218 mesi ma con stipendi ridotti e poche certezze per il futuro».
Già il futuro. Quali sono le prospettive per i prossimi anni? Come andrà a finire? «Senza interventi governativi sarà sempre peggio sentenzia Pavan Bernacchi ci piacerebbe proporre una serie di interventi a costo zero al nuovo ministro dello Sviluppo economico. Ci avevano detto che in poche settimane sarebbe stato nominato ma ora sono passati più di quattro mesi e non sappiamo a chi rivolgerci».
La riflessione è amara ma le richieste restano: «Intanto bisognerebbe tornare a sostenere le vendite di auto a Gpl e metano con incentivi ecologici che si ripagherebbero con il fatturato aggiuntivo. Le aziende più colpite dalla crisi sono proprio nelle zone dove questi carburanti si sono diffusi rapidamente insieme alla rete di distribuzione. Poi occorre, con urgenza, mettere mano al sistema di defiscalizzazione delle auto aziendali, in Italia le tasse su queste vetture pesano il 20 per cento in più rispetto ai principali mercati europei. Ci chiedono sempre di essere in linea con l’Europa, perché non lo fanno in questa occasione?».
Poi ci sono le case costruttrici: «Qualcuna ci aiuta, altre meno. Per esempio, gli standard richiesti per le nostre aziende (dal layout degli immobili agli spazi per la vendita) sono spesso troppo onerosi. Così come fanno poco o nulla per regolamentare l’attività dei rivenditori indipendenti che non hanno obblighi nei confronti di chi gli vende le macchine e offrono poche o quasi nessuna garanzia al cliente».
Le case, dal canto loro, non stanno a guardare. Il problema esiste anche se ognuna lo vede a modo proprio, in base ai risultati e alla quantità di nuovi modelli messi in campo in questo ultimo anno. Giuseppe Tartaglione, numero uno del gruppo Volkswagen (vendite a +6 per cento nei primi otto mesi dell’anno) butta acqua sul fuoco: «Una cosa è certa, non si guadagnerà mai più come una volta perché tutto è cambiato. Bisogna, però, tenere ben presente che sono calate le vendite delle auto nuove ma contemporaneamente è aumentata quella delle auto usate dove la capacità e l’organizzazione delle singole aziende è molto importante. Quindi chi ha saputo strutturarsi in maniera adeguata soffrirà meno, per gli altri sarà più difficile».
Per Gaetano Thorel, presidente di Ford Italia (—2,7% sempre nei primi otto mesi) «è un allarme giustificato ma il business deve essere presto rimodellato su un mercato di 1,8 milioni di auto l’anno». La sua ricetta? «La rete deve eliminare costi inutili e trovare altri canali di fatturato oltre a quello della vendite di vetture nuove, quindi usato, assistenza e servizi finanziari».
Che le aspettative generali siano nerissime è pronto a giurarlo Roberto Matteucci, Ad di GM Italia (—7,39%). I "suoi" concessionari sono preoccupati per il mercato che si sta restringendo e non vedono miglioramenti a breve. Su una cosa, però, possono contare: «Negli ultimi due anni, i più difficili soprattutto per la Opel, la nostra rete di vendita non ha avuto grandi problemi e nell’ultimo addirittura ha incassato un risultato positivo. A fine agosto siamo sopra di duemila unità rispetto al 2009». Per fortuna, qualcuno che ancora ci guadagna a fare il concessionario esiste ancora. Ma per quanto?