Giovanni Bianconi, Corriere della Sera 18/09/2010, 18 settembre 2010
CACCIA AL TESORO DEL PENTITO BRUSCA «PAGATE O TORNO PIU’ BESTIA DI PRIMA»
Il boss pentito era tornato a fare il boss. Voleva indietro quelli che considerava soldi suoi, e per averli si diceva pronto a tornare agli antichi metodi. Quelli di quando era uno dei più affidabili killer di Cosa nostra, alle dirette dipendenze di Totò Riina: «Se il tuo consorte non torna a trovare il buon senso della ragione, la spinta per farlo entrare in cose che non lo riguardano gliela do io. E non mi riferisco sul piano giuridico, ma ai miei ex accoliti, che nel nome del dio denaro non guardano in faccia a nessuno». Così scriveva, con la sua approssimativa sintassi, Giovanni Brusca, l’ ex mafioso che premette il pulsante del radiocomando che il 23 maggio 1992 fece esplodere l’ autostrada di Capaci uccidendo Giovanni Falcone, sua moglie e tre agenti di scorta. Si rivolgeva alla moglie dell’ uomo dal quale pretendeva il denaro, un imprenditore col quale aveva avuto rapporti ai tempi della latitanza, e per questo oggi si ritrova indagato di tentata estorsione. Secondo l’ inchiesta condotta dal procuratore aggiunto di Palermo Ingroia e dai sostituti Buzzolani, Del Bene e Sava (che coinvolge anche la moglie, il cognato, la madre e altre persone per reati come ricettazione, riciclaggio e falsa intestazione di beni) il pentito aveva messo da parte un «tesoro» di illecita provenienza, dal quale nelle perquisizioni di ieri sono saltati fuori 188.000 euro in contanti, una ventina di quadri e altri beni da valutare. Ieri, interrogato nel carcere romano di Rebibbia, Brusca s’ è difeso spiegando che i soldi erano «risparmi di famiglia», ma ora rischia l’ estromissione dal programma di protezione che gli garantisce uno stipendio e la casa in cui vive la moglie. Il pentito è detenuto dal 1996, la collaborazione gli è valsa sostanziosi sconti di pena e il permesso di uscire di tanto in tanto dal carcere. Ma la gestione del patrimonio occulto avveniva anche dalla cella, attraverso la corrispondenza indirizzata al cognato ma diretta ai due coniugi Santo e Maria Concetta Sottile. Brusca rivendicava il denaro proveniente dalla vendita di un appartamento acquistato con soldi suoi - sostiene lui - prima dell’ arresto; così almeno si capisce dai contenuti della missiva di inizio settembre, in cui il pentito era tornato a usare toni mafiosi. Al punto che la Procura di Palermo gli contesta l’ aggravante di «avvalersi delle condizioni di cui all’ articolo 416 bis»; cioè l’ associazione mafiosa. Non perché Brusca sia tornato a farne parte, ma perché per risolvere le controversie di oggi mostrava di fare ricorso ai sistemi d’ un tempo. In una delle lettere recapitata qualche settimana fa al cugino Giuseppe ma destinata alla signora Sottile (una busta chiusa nascosta in un’ altra busta, intercettata, fotocopiata e fatta ripartire dai carabinieri che stavano svolgendo l’ indagine) Brusca si rivolgeva alla donna per parlare al marito con un linguaggio che - accusano inquirenti e investigatori - trasuda mafiosità: «Non so se a tuo marito gli hanno messo i galloni e l’ hanno fatto diventare boss, o forse li frequenta e ne vuole assumere la funzione. Comunque a me di come stanno le cose non interessa, e neanche mi intimoriscono. Neanche se diventasse il nuovo Totò u curtu (il soprannome di Totò Riina, ndr). Anzi, se così fosse mi fa incavolare di brutto». E subito dopo, ecco la sfida: «Appena ne avrò la possibilità sarà il primo che vado a trovare, poi vediamo se ha i galloni da boss». Stando al contenuto della lettera, l’ ex mafioso pretendeva la restituzione non solo della somma investita a suo tempo, ma pure gli interessi: «Non ho mai approfittato delle disavventure altrui, ma ora la situazione è cambiata totalmente, e non mi accontento più di avere indietro solo il capitale uscito a suo tempo... Maria, qualora non l’ avessi capito, voglio quello che è mio, perché non li faccio godere a nessuno i miei sacrifici, specialmente a quelli come tuo marito». Dall’ uomo dal quale reclama i soldi Brusca scrive che si aspettava un altro atteggiamento. E nel rinfacciare la nuova situazione alla moglie, finisce per gettare qualche ombra sulla sua collaborazione coi giudici: «Se non vi avessi dato i soldi per togliervi dall’ impiccio sotto ogni punto di vista, ossia economico, legale e morale, come vi trovereste oggi? E se avessi fatto il pentito anche su questo punto, come vi trovereste oggi?». Pare di capire che il killer di Cosa nostra abbia volutamente tenuto fuori dai guai giudiziari l’ ex amico e signora, forse anche per proteggere i beni che considerava suoi, e adesso batte cassa pure per quei silenzi: «Sinceramente non pensavo di essere ripagato in questo modo da voi, e la cosa mi fa molto male e mi fa diventare una bestia, più di quanto non lo sia stato in passato. Perché sapere che mantenete un tenore di vita agiata con i miei sacrifici, senza nessuna riconoscenza, non ci sto proprio. Anche perché mio figlio non va in giro in Bmw, ma per mantenersi agli studi va a lavorare per 35 euro al giorno quando gli capita». Nelle ultime righe della lettera che ha fatto scattare l’ accusa di tentata estorsione aggravata, Giovanni Brusca quasi tenta di giustificarsi, ma per gli inquirenti la sostanza non cambia. «Ho usato toni forti - scrive l’ ex mafioso - che non vogliono essere una minaccia anche perché, ai miei tempi, prima la facevo, la minaccia, e poi la discutevo. Il mio vuole essere un monito forte e chiaro per farvi tornare la memoria».
Giovanni Bianconi