Varie, 18 settembre 2010
Tags : Daayie Abdullah
Abdullah Daayie
• Stati Uniti 11 gennaio 1954. Imam • «[…] La comunità Al Fathia di New York […] esiste dal lontano 1998, anno in cui fu fondata da Daayiee Abdullah, un signore di colore residente a Washington. Dove sta la notizia? Semplice: l’uomo in questione è dichiaratamente gay tanto che la sua comunità, appunto Al Fathia, sta suscitando scalpore ed indignazione tra i musulmani di tutta America, rivolgendosi indistintamente a islamici e islamiche gay, lesbiche, bisessuali, travestiti, transessuali e insomma a tutti coloro che nutrono un qualche dubbio rispetto alla loro inclinazione sessuale […] Lo scopo del contestatissimo imam […] ex avvocato ora funzionario di un’impresa tecnologica, è promuovere le nozioni islamico - progressista di “pace, uguaglianza e giustizia”. Convertitosi all’Islam negli Anni ’80, già trentenne, ma scopertosi omosessuale fin dall’adolescenza, la sua Al Fathia punta non solo a tutelare le minoranze nell’ambito dell’Islam ma anche a contrastare in qualche modo il monopolio culturale dei bianchi all’interno della cultura omosessuale. “Spesso - ragiona - i gay bianchi hanno verso noi musulmani omosessuali gli stessi pregiudizi degli eterosessuali”. Peggio: “Essere gay non è mai stato facile in America, ma essere omosex e musulmano dopo i fatti dell’11 settembre è un atto di sfida che richiede di difendere la nostra identità religiosa di fronte ad un governo americano sempre più conservatore”. Un’impresa non facile, considerando che gli stessi religiosi islamici non riconoscono l’omosessualità. “Ed è sbagliato - prosegue - perché si tratta di un’interpretazione eminentemente politica che non deriva per forza dal Corano. Meglio. La proibizione dell’omosessualità nel mondo islamico deriva dall’interpretazione della storia coranica di Lut che corrisponde a quella di Lot nell’Antico Testamento. Secondo alcune interpretazioni, infatti, Dio avrebbe distrutto la città di Sodomia dopo che i cittadini avevano chiesto a Lut di consegnare gli uomini in visita in modo che potessero fare sesso con gli stranieri”. Ma l’imam Abdullah, appunto, non concorda con questa interpretazione. Secondo lui non è importante chi tu sia bensì venerare Dio. “Mentre gli imam voltano le spalle ai musulmani gay, io voglio aiutare la comunità. Dio accetta tutti”. Di qui le reazioni roventi piovutegli addosso dall’Islam più istituzionale. […] Abdullah, però, non si scoraggia. Anzi. La sua comunità fa proseliti a vista d’occhio: “Attraverso la nostra attività di comunicazione capillare molti islamici gay stanno uscendo dalla clandestinità per riconoscersi nel nostro movimento”. Dove? Pescando non solo nella comunità dei neri ma anche nelle colonie di palestinesi, giordani, egiziani presenti negli Stati Uniti grazie alle diverse sedi aperte nelle principali metropoli americane, da New York ad Atlanta, da Los Angeles a San Francisco, da San Diego a Washington, senza contare alcune filiali nelle maggiori città canadesi. Il che dà una capacità di penetrazione al suo credo semplicemente impensabile fino a qualche anno fa. […] Altra crociata impugnata dall’imam eretico, infine: la battaglia contro la doppia morale islamica che in alcuni Paesi a maggioranza musulmana (vedi la regione del Maghreb) legittima e pratica diffusamente l’omosessualità in chiave di attrattiva turistica, salvo poi sobillare i religiosi per attaccarne i comportamenti ritenuti “perversi e blasfemi”. E tutto questo per dire di quanto sia difficile l’azione di verità del nostro imam eretico. […]» (Klaus Davi, “La Stampa” 28/4/2005).