Antonio Airò, Avvenire 18/9/2010, 18 settembre 2010
HEYDRICH, L’ARCHITETTO DELLA SHOAH
Il 20 gennaio 1942, a Wannsee, una conferenza ad alto livello dei maggiori esponenti del nazismo pianificava la ’soluzione finale’ mettendo in cantiere la deportazione (e la sicura morte della gran parte di essi) degli undici milioni di ebrei, uomini, donne, bambini, giovani e anziani, residente in Europa. La decisione del maggior genocidio della nostra storia era stata anticipata in un discorso di Hitler nel novembre precedente (senza alcun atto ufficiale successivo) e confermata sostanzialmente dopo la scelta di dichiarare la guerra agli Stati Uniti. «Il conflitto mondiale incombe su di noi: l’annientamento degli ebrei è la conseguenza necessaria». Ma la conferenza (il cui verbale sarebbe stato rielaborato da Adolf Eichmann) sanciva il ruolo e l’autorità di Reinhard Heydrich, personaggio ai vertici delle SS, interprete fedelissimo delle intenzioni del Führer, dietro Himmler «intellettuale antisemita e razzista fanatico ». Personaggio quasi sconosciuto al mondo degli storici, Heydrich, come risulta dal documentato saggio di Édouard Husson, docente di Storia contemporanea alla Sorbona, è invece l’’architetto’ che darà sostanza ad un progetto inumano che nasceva da lontano e che la guerra avrebbe portato a compimento con la vittoria del Reich, ponendo fine con la conquista della Russia «al complotto ebraico mondiale ». Nelle pagine del libro – con un ampio ricorso alle fonti, molte inedite e la cui interpretazione non sempre è di agevole lettura – emerge come la soluzione finale della questione ebraica sia per Heydrich quasi un’ossessione che affondava le sue radici nelle ripetute affermazioni di Hitler fin dal 1919 e che egli, con uno zelo e un’obbedienza assoluta che coinvolgeva tutti i settori del partito e del regime (militari compresi), portava avanti. Un genocidio che negli anni Trenta sarebbe stato avviato con il ricorso all’eutanasia con la quale si eliminavano i soggetti più deboli della società tedesca, ebrei in testa. «Le uniche autorità che si mobilitarono contro i metodi genocidi dei nazisti furono le Chiese», osserva Husson. All’inizio della guerra lo zelo di Heydrich arrivò a proporre l’arresto di tutta una serie di personalità cattoliche e il loro invio nei campi di concentramento. Il suggerimento rientrò perché Hitler aveva deciso di rinviare la questione a dopo la vittoria germanica nel conflitto e «il cristianesimo fosse sradicato» nel popolo tedesco.
La soluzione finale si sarebbe riproposta con l’occupazione della Polonia. Questa sarebbe divenuta un laboratorio con l’inclusione degli ebrei nelle diverse fasi di eliminazione fisica della classe dirigente di quel Paese e la deportazione generalizzata nei ghetti realizzati nelle città. L’occupazione della Francia – e l’armistizio con Parigi – faceva emergere il progetto di deportare la gran parte degli ebrei nel Madagascar. Il 3 luglio 1940 Hitler faceva intendere in un discorso che se la Gran Bretagna avesse cooperato a questo piano «non avrebbe più avuto la preoccupazione di uno Stato ebraico in Palestina». Hitler continuò a pensare alla lontanissima colonia francese come sede obbligata degli ebrei sopravvissuti per per lunghi mesi. Ma la resistenza degli inglesi faceva saltare questa ipotesi e Heydrich riponeva in primo piano un ’genocidio lento’ con il trasferimento degli ebrei nei Paesi dell’Est europeo. La conquista della Russia, accompagnata dalla ’liquidazione’ di ebrei, zingari, funzionari politici di quella nazione – conseguenza di una rapida vittoria delle truppe tedesche – avrebbe risolta la questione ebraica. Intanto un decreto del settembre 1941 imponeva agli ebrei l’identificazione con la stella gialla, secondo le indicazioni di Heydrich. E decine di convogli di deportati partivano verso l’Unione Sovietica.
La rapida vittoria del Reich non si verificava. L’entrata in guerra degli Stati Uniti allargava il conflitto. La conferenza del 20 gennaio poneva quindi le basi per la soluzione finale con la deportazione generalizzata degli ebrei europei. Quelli residenti nell’Unione Sovietica sarebbero stati lasciati morire nei campi di lavoro forzato. Nel maggio 1942 Heydrich sarebbe stato ucciso dai partigiani a Praga. Il genocidio degli ebrei non si sarebbe però fermato: sei milioni di morti il bilancio.