Marco Lillo, il Fatto Quotidiano 18/9/2010, 18 settembre 2010
DON VITO
& SILVIO - “Siamo figli della stessa Lupa”. Fa impressione leggere il documento che accomuna il sindaco di Corleone, il senatore palermitano e - indirettamente - il premier sotto le mammelle dello stesso sistema politico-mafioso. Se il documento che Il Fatto pubblica sarà attribuito dai periti a Vito Ciancimino, come sostiene la sua famiglia, questa frase entrerà nella storia dei rapporti tra mafia e politica. I documenti sono stati consegnati nelle scorse settimane ai pm Antonio Ingroia e Antonino Di Matteo dalla signora Epifania Scardino in Ciancimino. Decine di fogli scritti a macchina e in parte annotati con una calligrafia che somiglia a quella del consigliori di Bernardo Provenzano. Don Vito ricostruisce i suoi rapporti imprenditoriali con Dell’Utri e Berlusconi e si scaglia contro i magistrati, colpevoli di avere condannato lui mentre Dell’Utri è stato prosciolto e Berlusconi è addirittura divenuto Cavaliere. Secondo Ciancimino Jr quei fogli risalgono al 1989 e ora sono studiati con attenzione dalla Scientifica per verificarne l’attendibilità. Dopo mesi di interviste e verbali sugli investimenti del padre e dei suoi amici costruttori Franco Bonura e Nino Buscemi (poi condannati per mafia) nei cantieri milanesi di Berlusconi ora arrivano le carte. E si scopre che il figlio di don Vito era così spavaldo quando parlava dei tempi lontani in cui Berlusconi girava per Milano armato (vedi foto in prima pagina) perché aveva ben presenti gli appunti del padre. Basta rileggere le vecchie interviste per scoprire che le sue parole ricalcano quelle uscite all’improvviso dai cassetti di mamma Epifania. Vito Ciancimino nelle lettere racconta di avere investito nelle imprese di Berlusconi ricavandone miliardi di vecchie lire. I magistrati hanno chiesto alla scientifica di fare presto. Se gli appunti fossero riscontrati, in teoria, il nome di Berlusconi potrebbe tornare sul registro degli indagati.
di Marco Lillo
Ora che Il Fatto pubblica le carte su Berlusconi consegnate ai pm di Palermo dalla famiglia Ciancimino, si comprende perché Massimo Ciancimino, l’infamone come lo chiama Totò Riina, non deve andare in Rai. Il direttore generale Masi non gradisce le sue interviste. “C’è un veto contro di me”, dice al Fatto il figlio di don Vito. “Fin quando parlavo di Provenzano e dei mafiosi mi sopportavano. Ora che ho cominciato a parlare dei documenti su Berlusconi, la Rai mi vuole oscurare”.
Gli appunti presentati recentemente da sua madre ai magistrati di Palermo contengono rivelazioni su Silvio Berlusconi. Davvero sono stati scritti da suo padre?
Sì. Sono scritti a macchina e annotati di pugno da mio padre. Mia madre li ha presentati quando i pm di Caltanissetta mi hanno perquisito. Probabilmente il procuratore Sergio Lari dubitava di me e mia mamma ha pensato di aiutarmi portando queste carte ai pm perché confermano quello che avevo già dichiarato.
Nell’appunto consegnato ai pm, che Il Fatto pubblica, suo padre punta il dito contro Berlusconi e Dell’Utri e parla dei soldi siciliani investiti nei cantieri milanesi del Cavaliere. Cosa ci può dire?
Nulla, c’è un’indagine in corso. Comunque non scrivete che mio padre accusa Berlusconi. Il suo obiettivo polemico è la magistratura. L’appunto è uno sfogo nel quale don Vito, dopo la conferma in appello della confisca dei suoi beni, si infuria per il trattamento diverso ricevuto rispetto a Berlusconi.
Nell’appunto consegnato da sua madre si legge una frase di questo tipo: ‘Sia io, Vito Ciancimino, che altri imprenditori amici abbiamo ritenuto opportuno su indicazione di Dell’Utri investire in aziende riconducibili a Berlusconi. Diversi miliardi di lire sono stati investiti in speculazioni immobiliari nell’immediata periferia di Milano’.
Mio padre era arrabbiato perché lui e Berlusconi avevano subìto un trattamento diverso solo e unicamente per motivi geografici. Papà quindi non invocava la condanna di Berlusconi ma era convinto che se anche lui fosse stato indagato a Milano, come Dell’Utri, sarebbe stato assolto.
Al Fatto risulta che l’appunto si conclude con una considerazione sui soldi investiti a Milano da suo padre nei cantieri di Berlusconi. Quei soldi, si legge nell’appunto, hanno fruttato miliardi a don Vito che poi sono stati sottoposti a confisca. Mentre a Berlusconi - secondo l’appunto di suo padre - nessuno contestava nulla. A che anno risalirebbe questo scritto?
Probabilmente il 1989. In quel tempo Berlusconi era celebrato da tutti e mio padre si vedeva privato dei suoi miliardi. Papà considerava ingiusta questa disparità.
L’avvocato Niccolò Ghedini ha già smentito le indiscrezioni su queste carte. Il Cavaliere sostiene di non avere mai conosciuto suo padre.
In un secondo appunto consegnato ai magistrati da mia madre si parla di finanziamenti elettorali di Caltagirone, Ciarrapico e Berlusconi a mio padre. Mia mamma ha ricordi diversi su Berlusconi. Saranno i magistrati a stabilire la verità.
Forse è di queste rivelazioni che ha paura il Direttore generale della Rai Mauro
Masi?
C’è un bando nei miei confronti da quando ho cominciato a parlare di Berlusconi. Le mie rivelazioni fanno paura perché permettono di ricostruire la continuità del rapporto tra imprenditori e mafia dai tempi del banchiere Sin-dona a quelli dei palazzinari legati alla Dc. Fino ai rapporti finanziari del 2000.
Il veto di Masi non sembra il problema più grande per lei in questo periodo. L’espresso ha raccontato ieri la conversazione intercettata in carcere tra Totò Riina e il figlio Giovanni. Il boss dice che lei e suo padre siete degli infami e che lei mente per salvare il patrimonio.
Riina, sapendo di essere intercettato, dice tre cose. Innanzitutto smentisce che Provenzano lo abbia tradito e in questo modo mantiene la pax mafiosa all’interno di Cosa Nostra, utile a tutti per fare affari. Poi dice che è sempre lui il capo dei capi. Infine, punta il dito contro di me lanciandomi le stesse accuse di Dell’Utri. Entrambi dicono che mento per salvare il tesoro di mio padre.
Lei ha paura?
Non sono un incosciente e capisco i messaggi di Cosa nostra. Riina e i suoi amici, a sentir lui - sarebbero vittima dei pentiti. Eppure non se la prende mai con uno di loro ma punta sempre il dito contro di me. Quello che sto dicendo colpisce al cuore Cosa Nostra perché ho rivelato il tradimento di un boss all’altro. Il giudice Falcone diceva che la mafia non dimentica. Non sarà oggi e non sarà domani, ma arriverà il giorno in cui me la faranno pagare.