Giulio Genoino, ItaliaOggi 18/9/2010, 18 settembre 2010
ORO, UNA FEBBRE LUNGA TRE ANNI
Cinquecento negozi di oreficeria e gioielleria chiusi soltanto in Veneto, tra il 2002 ed oggi, schiacciati dal prezzo dell’oro, lievitato a dismisura, che ha reso molto più gravoso finanziariamente il sostegno del ciclo di cassa: comprare oggi il metallo per rivenderlo magari tra un anno dopo aver sostenuto i costi della produzione dei gioielli e della loro custodia.
Al posto dei tanti orafi estinti, nella stessa regione, ben 250 insegne «Compro oro» spuntate come funghi per rispondere a un’offerta impazzita di gente che vuole vendere i propri gioielli, o magari qualche vecchia sterlina, qualche antico marengo, per riuscire anche così ad aggirare l’emergenza di una crisi economica senza precedenti o per finanziarsi un consumo diverso.
È la fotografia del mercato al dettaglio dell’oro e dei preziosi come risulta dalle ultime stime delle associazioni di settore, tra cui Confindustria-Federorafi (presieduta da Antonio Zucchi).
Che proiettano su scala nazionale un vero e proprio boom dei «compro-oro» sotto varie insegne, alcune molte esplicite, come «Orocontante», o «Viror» o «Orocash». Che si calcola ammontino ormai, in totale nazionale, a quasi 8000 punti vendita. È il classico microfenomeno economico innescato da un fenomeno macro: la lievitazione del prezzo dell’oro, triplicato in tre anni, dai 10 euro al grammo del 2007 agli attuali 30.
Tanto che se è lecito riscontrare nel boom delle vendite di gioielli usati un segno della crisi, per cui molti cittadini si vendono, appunto, i gioielli di famiglia, per sbarcare il lunario è anche doveroso allargare il censimento a quelli che realizzano volentieri una simile plusvalenza non per bisogno ma per scelta. È chiaro che si realizzano valori spesso molto inferiori a quelli agognati: i negozi pagano il prezzo dell’oro puro, mentre i gioielli sono realizzati con leghe che hanno un «titolo», cioè una percentuale di oro, inferiore: di solito 18 carati (750 millesimi), insomma tre quarti rispetto al metallo puro. Inoltre, l’acquisto del monile antico sconta il costo dello smontaggio e della fusione: ma tant’è, soprattutto per i preziosi ereditati, la convenienza della vendita è evidente. L’importante è che l’acquisto del metallo, al netto della rettifica dai 18 ai 24 carati, non sia inferiore alla quotazione ufficiale sui mercayi di londra e di New York più del 30-35%: chi offre ancora meno, tenta di speculare.
Per essere sicuri di non cadere in cattive mani, bisogna sincerarsi che il negozio che ritira i gioielli usati segua la procedura prescritta dalla legge: cioè il pagamento contestuale al ritiro e alla compilazione di una scheda contenente i dati di chi vende, il peso del metallo ritirato, presuntivo nel caso di gioielli con pietre, e un numero di serie: insomma, un tracciamento completo, che consenta alla transazione di essere in futuro distinta da eventuali ricettazioni di gioielli rubati.
I negozi che comprano oro legittimamente devono infatti avere, oltre alla licenza commerciale, una speciale autorizzazione di pubblica sicurezza. Prima di vendere il gioiello al prezzo del semplice metallo, infine, è bene sincerarsi presso un gioielliere amico se non si possa ricavarne di pià vendendolo come monile da rivendere intero: ma questo dipende da caso a caso.
Quel che, al punto al quale sono arrivati i prezzi del metallo, sarebbe invece sano che accadesse sempre, e non accade, è che i promotori finanziari smettessero di suggerire nuovi investimenti in oro e monete auree: e invece non smettono.
Sarebbe molto più prudente suggerire un sano alt: è improbabile che la corsa all’insù delle quotazioni possa continuare ancora per molto. Eppure i consigli continuano, in una sorta di nuova febbre dell’oro, sospinti dalla sfiducia ormai diffusa verso le forme di investimento finanziario classiche e dalla ricerca di alternative miracolistiche.