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 2010  settembre 18 Sabato calendario

Intervista a Roberto Cavalli: «E pensare che volevo chiudere tutto» - «Ciò che fa l’originali­tà di un uomo è che egli vede una cosa che tutti gli altri non vedono», diceva Nietzsche

Intervista a Roberto Cavalli: «E pensare che volevo chiudere tutto» - «Ciò che fa l’originali­tà di un uomo è che egli vede una cosa che tutti gli altri non vedono», diceva Nietzsche. E Roberto Cavalli ne ha viste di cose in quarant’anni di carrie­ra. I successi li racconterà at­traverso la sfilata di Milano, il 27 settembre all’Arco della Pace, mandando in passerel­la i pezzi iconici del suo stile. E in occasione della cena di gala a Parigi, Ecole Superieu­re des Beaux Arts, il 29 settem­bre, con la presentazione di un elegante volume che ripro­pone gli abiti più straordinari del suo archivio fotografati da Mert&Marcus. Nei negozi arriverà, invece, una lunga te­oria di prodotti ’Anniver­sary’: dai jeans Saint Tropez al nuovo orologio in edizione numerata. Lo incontriamo al­la vigilia delle celebrazioni e la verve, il carattere forte, ci consegnano l’immagine di un uomo appassionato, visio­nario e sorprendente, metà artista metà poeta. Quarant’anni di successi: chi ringrazia? «Il minimalismo e mia mo­glie. Il primo ha aperto la stra­da alla mia moda sensuale. Eva non è mai stata una sem­plice musa ma una donna ver­so la quale nutro un profon­do affetto». Quando ha cominciato? «Nel 1970 quando, trenten­ne, ero un disgraziatello fio­rentino senza una lira, felice d’aver inventato la stampa su maglieria. Cominciai a lavo­r­are venti ore il giorno e a gua­dagnare. Dopo alcuni anni avevo una bella fabbrica e co­minciai a ’scarabocchiare’ sulla pelle». Si sentiva arrivato? «Fu un periodo meraviglio­so: belle ragazze, sfilate a Pari­gi e tanti bravo. Dal punto di vista economico, però, la si­tuazione era tragica: ciò che guadagnavo con la stampe­ria lo rimettevo con la moda. Poi mi venne l’idea di unire pezzi di jeans vintage alla pel­le stampata. Da qui una serie di modelli che ebbero un suc­cesso strepitoso. Cominciai a sfilare nella Sala Bianca di Pa­l­azzo Pitti a Firenze con i gran­di ». Poi arrivarono gli anni Ot­tanta… «E con loro gli stilisti giap­ponesi, fautori di linee archi­tettoniche ma a torto chiama­ti minimalisti. Certo le mie stampe erano lontane anni lu­ce da quel mondo. Nel frat­tempo avevo conosciuto Eva. Ero felice con lei, mi aveva re­galato dei figli, avevo con la mia moda e la mia stamperia quel tanto che mi consentiva di vivere bene. Nei primi anni Novanta, quando lo stile giap­ponese si trasformò in vero minimalismo e in marchi che mortificavano la femminili­tà, ne soffrii». E pensò di smettere… «Sì, perché ero frustrato dall’idea che la moda non riu­scisse a valorizzare la donna. Chiamai i sindacati per con­cordare la chiusura. Ma quel­la mattina Dio mi regalò l’in­contro con un produttore di Prato che avrebbe cambiato il mio futuro: gli chiesi di fare ricerche per applicare il trat­tamento stretch al denim. Do­po giorni arrivarono i campio­ni: mi piacquero, li stampai e li invecchiai con la carta vetra­ta. Presentai questi jeans al Modit di Milano: era il 1994. Grazie al tam tam, il secondo giorno c’era la coda fuori dal­lo stand. Un successo strepi­toso ». Già, il successo… «Non l’ho mai voluto e seb­bene ora non me ne lamenti, ne avrei fatto a meno perché è come una droga: ti distrug­ge la vita, la possibilità di esse­re un buon padre e la fami­glia. Tornassi indietro, rifarei ciò che ho fatto perché è un’ esperienza meravigliosa, ma gestirei in maniera diver­sa… » Cadere e rialzarsi: come si ricomincia? «La vita è tutta un up and down. Dopo quarant’anni di lavoro, però, non meritavo un down per colpa d’altri. Par­lo della vicenda indecente di Ittierre. Nonostante l’inter­vento dei commissari del Go­verno, l’azienda e tutto quel­lo che girava intorno compre­so la mia linea Just che regi­strava incrementi di fattura­to del 100 per cento ogni an­no, sono stati rovinati da chi non ha saputo gestire. In Ita­lia va in galera chi ruba una mela per fame, ma circola li­beramente chi ruba miliardi: dov’è la persona che ha causa­to questo disastro?» È vero che parla con Dio ogni sera? «Veramente lo faccio ogni minuto ma non prego perché sono anti-religione e apoliti­co. Parlo con Dio, il miglior designer dell’universo, quan­do ammiro la meraviglia del­la natura, i tramonti e i gero­glifici che formano le nuvo­le ». È felice? «Sono consapevole. Sento molto calore e molta amici­zia intorno a me e penso che l’amore che ho dato, alla fine mi ritorna».