EGLE SANTOLINI, La Stampa 18/9/2010, pagina 25, 18 settembre 2010
Il gusto del cibo s’impara dall’asilo - Senti un po’, ma allora il gelato al puffo, con tutto quel blu lo possiamo mangiare?»
Il gusto del cibo s’impara dall’asilo - Senti un po’, ma allora il gelato al puffo, con tutto quel blu lo possiamo mangiare?». Quando risuona questa domanda, ed è successo più di una volta, i responsabili dei programmi di Eataly dedicati ai bambini capiscono di aver centrato il bersaglio. «Succede - spiega Simona Milvo, curatrice dei laboratori - quando cominciamo a fargli leggere le etichette. E a spiegargli che nelle merendine industriali ci sono magari 40 ingredienti, e invece solo 10 nel panino col cioccolato che consigliamo per merenda. Anche così si diventa consumatori intelligenti». Con un carrello per ciascuno e con l’invito a metterci quello che vogliono, perché tanto poi ci sarà qualcuno che gli spiegherà che cosa si nasconde dentro ogni confezione, ecco dunque che gli scolari delle elementari di Torino in gita alla città del gusto del Lingotto imparano come si fa la spesa, e anche a fungere da assistenti ai genitori nelle spedizioni al supermarket. «Fin troppo», sottolinea una mamma che è già passata per il trattamento Eataly. «Adesso che mio figlio sa tutto sugli additivi non ce ne passa una liscia». Per ogni anno scolastico capita a 2000 bambini dagli 8 agli 11 anni: partecipazione e, alla fine, la famosa merenda di cioccolato col pane cotto nel forno a legna. Accoppiata di moda E ora che quella fra bambini e cibo è diventata un’accoppiata di moda e con prevedibili risvolti commerciali, vedi la moltiplicazione dei pacchigioco nei fast food, ma anche gli spot pubblicitari della grande marca di pasta con i minichef al lavoro, è bello sapere che c’è chi si preoccupa di instaurare un rapporto sano tra piccoli consumatori e alimenti, perché non è mai troppo presto per cominciare. Maria Grazia Vincoletto, insegnante elementare a San Mauro e formatrice di Slow Food, ai suoi scolari fa mettere in pratica alcune tecniche di agricoltura biologica, e assicura che non c’è neppure bisogno di un orto vero e proprio: «Per la consociazione bastano due vasi per le fragole: in uno le lasciamo da sole, nell’altro le coltiviamo con accanto aglio oppure erba cipollina. Dopo un po’ i ragazzi si accorgono che le fragole del secondo vaso crescono meglio. Idem per la pacciamatura: due piante di peperoncino, una ricoperta di paglia e l’altra no. Indovinate quale si secca di meno?». Rapporto affettuoso Vedendo frutta e verdura nascere dai semi che essi stessi hanno scelto e coltivato, i bambini si abituano a un rapporto col cibo più stretto e affettuoso, conoscono specie che magari in casa non si sono mai viste, si liberano perfino di quel leggendario pregiudizio nei confronti delle verdure che parrebbero così difficili da fargli ingollare. Ai ragazzi degli anni Cinquanta serviva Bracciodiferro per digerire gli spinaci, ora c’è l’orto biologico. Anche se una ragione scientifica c’è, ed è reale. Ancora Vincoletto: «Indubitabilmente i gusti amari sono percepiti in modo tanto più forte quanto più è bassa l’età. Non occorre obbligare i bambini a ingurgitare cavolfiori a ogni cena, ma allenarli un poco alla volta eccome se si può». Si può abituare a poco a poco anche le famiglie, partendo dalla scuola? «Noi l’abbiamo fatto, anche se ci sono voluti tempi piuttosto lunghi. Una mia classe dopo due anni si è finalmente decisa a sostituire, per merenda, i pacchettini confezionati con la frutta. Siamo passati per una fase intermedia fatta di grissini, ma alla fine abbiamo gridato vittoria». È fondamentale anche la manipolazione del cibo, l’esperienza in cucina, vicino alla mamma che abbina all’atto materiale del far da mangiare racconti, storie e proverbi: è così che si apprendono tecniche e sapori che accompagnano per tutta la vita. A quel punto, può servire anche un laboratorio di gruppo, non certo una scuola per piccoli Ferran Adrià ma un modo divertente di socializzare, pasticciando con gli amici per un pomeriggio e portandosi a casa il risultato. Caterina Barbuscia cura le gastroteche per i più piccoli della «Cucina Italiana», il mensile di gastronomia che ha a Milano un laboratorio professionale. «Vengono una volta al mese a gruppi di 12, imparano a fare i salatini e i biscotti di Natale, le mamme aspettano e alla fine regaliamo il grembiule da lavoro che hanno adoperato. Una seduta di due ore costa 30 euro, non è gratis ma non è una cifra proibitiva. Di creare piccoli chef non sentiamo il bisogno, magari il problema qualche volta sono i genitori». Vale a dire? «Per il laboratorio di Pasqua abbiamo insegnato ai bambini a dipingere le uova di gallina con le tempere. Qualche mamma si aspettava che imparassero a fare quelle di cioccolato. Abbiamo dovuto spiegare che non si può temperare il cioccolato a quattro anni».