Fabrizio Roncone, Corriere della Sera 18/9/2010, 18 settembre 2010
TENSIONI, ACCUSE E DELAZIONI NEL TG1 SPACCATO
Arriva la notizia che il Tg1 delle 20 di giovedì ha fatto il 23,60% di share. Non è una buona notizia. Altri telespettatori in meno. Altre polemiche fuori e dentro questo corridoio lungo, sempre con questo tanfo di chiuso, le luci al neon anche se fuori c’è il sole, l’ascensore che si apre, quelli che non si salutano, quelli che escono, sbuffano, scuotono la testa, voltano a sinistra, superano la macchinetta automatica del caffè e finiscono qui, dietro l’angolo, davanti alla bacheca. A contare le firme.
C’è un documento con cui si chiede la convocazione di un’assemblea al Comitato di redazione, ritenuto colpevole di aver criticato la decisione aziendale di sostituire il Tg1 di mezza sera con un’edizione flash di 60 secondi. Un’innovazione su cui Augusto Minzolini, il direttore, punta molto. Per questo c’è rimasto male. E per questo, raccontano, Stefano Campagna — il giornalista con il pizzetto che si occupa di previsioni metereologiche e perciò detto «il meteorino», membro dell’esecutivo Usigrai, eletto nella lista vicina ad An — ha iniziato a raccogliere le firme.
Siamo a quota 70, su 169 redattori. Per ora. È una conta estenuante. La cui brutale lettura politica è questa: chi firma sta con Minzolini. Gli esprime solidarietà. È uno dei suoi.
Ti prendono in un angolo, e ti fanno l’elenco di quelli che sono andati alla bacheca con la penna: i quattro vicedirettori (Ferragni, Petruni, Sangiuliano e Fico); i caporedattori: Giorgino, Gaudenzi, Maggioni, Manzione, Sgura. E poi quasi tutti i conduttori e poi gli altri, tutti quelli che nella direzione Minzolini credono e, in qualche modo, si riconoscono. «Alla fine dovremmo arrivare a una novantina di firme». Che sarebbero tante: se si considera che furono 95 quelle apposte nella lettera di solidarietà a Minzolini fatta circolare lo scorso inverno, nei giorni che seguirono il cosiddetto «caso Mills» (il 26 febbraio il Tg1 parlò nei titoli di «assoluzione», e non di «prescrizione», scatenando così un memorabile putiferio).
Poco fa, alla riunione di redazione in cui si prepara l’edizione delle 20, l’aria si sarebbe potuta affettare. Alessandro Gaeta si volta e fa: «Quello che non capisco è perché in un momento in cui c’è una crisi di ascolti, ci si debba concentrare su una raccolta di firme, piuttosto che, come sarebbe logico, sul prodotto». Alessandro Gaeta è in Rai da 23 anni, e da 14 al Tg1: hanno deciso debba essere lui l’unico rappresentante del Comitato di redazione a parlare. Del resto qui si parla a fatica. L’azienda ha vietato ai giornalisti di rilasciare dichiarazioni. C’è un tasso di rancore che toglie il fiato. Volti e firme come Tiziana Ferrario e Paolo Di Giannantonio, dopo essere stati accantonati da Minzolini, stanno valutando l’ipotesi di fare causa. Bruno Mobrici, causa l’ha già avviata. Massimo De Strobel (ex storico caporedattore centrale) entro la fine del mese chiederà alla Commissione di conciliazione sia il reintegro che i danni. Maria Luisa Busi, secondo gli esperti di certo la più brava conduttrice del Tg1, osserva ormai la scena da RaiTre, dove condurrà, dal prossimo ottobre, un programma dal titolo «Articolo 3».
Liberamente possono parlare solo il direttore e i suoi vice. Come Gennaro Sangiuliano, ex direttore del Roma, ex vicedirettore di Libero, anticomunista convinto, studioso di Friedrich Nietzsche, scrittore: capace di fare un tigì un po’ meno leggero di certi in cui c’è l’inviato di punta, Massimo Mignanelli, che informa sul nuovo gelato al peperoncino.
«Vuoi la verità? Potremmo fare certamente ascolti superiori, va bene... e però di una cosa bisogna tener conto: stiamo attraversando una rivoluzione dell’informazione».
Mi n z o l i n i , q u i n d i la colpa è... «Ascoltami. Su una strada prima c’erano sette negozi, oggi ce ne sono settanta. È chiaro che i clienti si sono un po’ divisi». Sì, ma non basta. Voi siete il Tg1: magari hai esagerato dando al tuo tigì una linea editoriale molto marcata, molto filogovernativa. «No, scusa, è il contrario: ho fatto benissimo. Pensa se non avessi portato il tigì al centro, Mentana ci avrebbe sbranato. Invece Mentana a noi non ci sfiora e io sto lì, a dare le carte...». Vuoi dire che a questo punto dobbiamo vederti per forza? «Beh, secondo me, sì. Abbiamo un’anima, un cuore, una faccia». Eppure giovedì siete scesi al 23,60%. «E allora?». Alcuni dei tuoi dicono che è un tonfo. «Ora ti spiego un paio di cosette. Allora: tanto per cominciare l’altra sera avevamo contro le partite. Giocavano il Napoli e il Palermo, che sono nostre piazze d’ascolto. E poi comunque è il concetto di tonfo che non funziona. Perché di tonfi veri, il Tg1, ne ha fatti altri in passato». Tipo? «Il 22-8-2004, con una concorrenza ridottissima, scese al 19,72... e poi, non so: il 16-8-2009, per il Palio di Siena, al 19,29... In ogni caso, dammi retta, un tigì non si misura mai sul dato di un giorno, ma su un periodo». Sento che stai per darmi un dato positivo. «E certo!... Eccolo: dal primo gennaio del 2010 al 15 settembre scorso abbiamo sempre vinto il duello con il Tg5. Sempre. Una performance, fammi usare sto’ termine, va’, che non avveniva dal 1998. Ora, di fronte a un dato del genere, ci sarebbe da stappare qualche bottiglione di champagne, sì o no?»