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 2010  settembre 18 Sabato calendario

Moravia. Sono vivo, sono morto

 «Alberto Pincherle Moravia nato a Roma il 28 novembre 1907» (Dizionario Bompiani degli autori, voce “Moravia”).

• «Avevo tre anni e mi portarono al mare. Dissi: "mare bulo bulo beto ninna", parole che significavano: ‘mare buio buio Alberto ninna’. Mia madre mi vestiva con abiti fatti arrivare dalla Galleria Lafayette di Parigi, in particolare la famosa mise da marinaretto con pantaloncino corto e cappellino. Mio padre passava per il corridoio della nostra casa in via Sgambati, corridoio stretto e buio. Io mi nascondevo con l’intenzione di assalirlo, il cuore mi batteva forte e non avevo mai il coraggio. Per tutta l’infanzia questo proposito di assalire mio padre venne solo immaginato e mai messo in atto» (Moravia).

• «Mia madre aveva la mania del menu abbondante. Cominciavo al mattino con due uova all’ostrica. A pranzo c’era il primo con spaghetti o ravioli o tagliatelle. Poi la carne: la milanese col limone sopra, la bistecca o l’arrosto con gli spinaci trascinati in padella. Poi il dolce... La frutta la distribuiva mio padre» (Moravia).

• «Mamma ci portò dal medico e davanti a lui rimproverò Alberto perchè picchiava le sorelle. "Guardi qua, dottore, sono piene di lividi, glielo dica lei che non deve picchiare le sorelle!"» (Adriana Pincherle, sorella).

• «Aveva le mani dure come il ferro. Alla nipotina Gianna disse: "ogni pizzicotto che ti fai dare ti do mille lire"» (Adriana Pincherle).

• «Quando giocavamo mi batteva col pugno chiuso sul braccio. Ero piena di lividi. Affettuoso non era affettuoso per niente. Era brusco» (Elena Pincherle, altra sorella).

• «La sua specialità erano i pizzicotti a torciglione” (Adriana Pincherle)

• «Voleva più bene ad Adriana che a me” (Elena Pincherle).

• «A scuola non sopportava la disciplina e fece quasi tutte le elementari a casa. In terza lo mandarono all’lstituto Crandon e andò male: fu rinviato a ottobre. Passò l’estate a Olevano Romano, fece gli esami e fu promosso» (Adriana Pincherle).

• «Ero sonnanbulo, allora mi vietarono di leggere Nick Carter» (Moravia)

• «Nel ‘16 andammo a una fiera di beneficenza e stetti tutto il giorno a correre. Era inverno e faceva molto freddo. Al ritorno non mi sentivo bene. Mi visitarono e mi trovarono la polmonite» (Moravia).

• «Da malato faceva spettacoli con le marionette sul letto, finchè non si stancava e le buttava via» (Adriana Pincherle).

• «Dalla polmonite guarii presto, ma avevo dei dolori all’anca, molto forti» (Moravia).

• «Era la prima volta che prendevo il treno, non sapevo come si faceva a pagare il biglietto e mi vergognavo a domandare» (Moravia).

• «Quando avevo undici anni conobbi un’amica di mia madre. Fu l’amore della mia infanzia, acerbo da allegare i denti. Mi diede un bacio e mi fece carezzare i seni. Aveva 19 anni» (Moravia).

• «Un anno capitammo in classe insieme. Mio fratello era sempre insofferente. Riempiva i margini del quaderno con facce, nasi, teste, occhi. Il professor Tambroni se ne accorse, gli si avvicinò in punta di piedi, gli strappò di colpo il quaderno e lo scaraventò via. Solo che gli volò via pure il polsino rigido della camicia, si vide il polsino volare attraverso tutta la classe. Certe risate! Questo Tambroni era strambo assai, dannunziano, ci declamò a memoria l’intera beffa di Buccari» (Adriana Pincherle)

• «Portai a casa la pagella e sopra c’era scritto, invece di "Adriana Pincherle", "Adriana Maria Pincherle". Papà aveva la mania della precisione, si armò di pennino e di inchiostro e corresse il ‘Maria’ in ‘Moravia’. E che cos’è questo ‘Moravia’?, chiedemmo noi. "E’ che abbiamo il doppio cognome, non ci chiamiamo solo ‘Pincherle’, ma ‘Pincherle Moravia". Di questo fatto fino ad allora non avevamo saputo niente e per gioco prendemmo a scrivere il nostro doppio cognome dappertutto, atteggiandoci a persone importanti» (Adriana Pincherle).

• «La professoressa Cutica, direttrice del Crandon, molto bassa di statura, telefonò alla mamma per dire che Alberto andava male, che bisognava dargli qualche libro da leggere. La mamma rispose: "Guardi che io i libri glieli devo strappare di mano". La professoressa Cutica sarà stata alta un metro e venti, un metro e trenta al massimo” (Adriana Pincherle).

• «A Viareggio, sulla spiaggia, la madre gli diceva: guarda Mario quanto è bravo, quanto è buono, prendi esempio... Io avevo questa fama, tra l’altro, perchè si sapeva che avevo salvato uno che stava annegando nel Po...» (Mario Soldati).

• «Sarà stato il ’19 o il ’20. Noi avevamo un ombrellone rosso con le guarnizioni bianche. Facevo spettacoli di marionette. Tutti ridevano, tutti si divertivano. Lui invece sempre zitto, sempre serio. Dirò questi quattro aggettivi: magro, pallido, serio e diffidente. Stavamo tutti e due seduti sulla sabbia, all’ombra della cabina, e non ci scambiavamo che poche parole. Lui dopo due o tre anni già leggeva Dostoevskij» (Mario Soldati).

• «Si divertiva col meccano, con le costruzioni. Nostro padre era architetto...» (Adriana Pincherle).

• «No, i burattini piacevano anche a me, quelli che si tenevano su col fil di ferro. Passavo ore a vestirli e a svestirli» (Moravia).

• «Era stravagante e scontroso e un’amica mia andò a chiedergli: ma tu da grande che farai? E lui subito: lo scrittore di romanzi!» (Adriana Pincherle).

• «Un male all’anca mi perseguitava e nel ‘23 accadde l’incidente decisivo. Mentre passeggiavo per via Po con mio padre, sentii un dolore violento e mi mancarono le gambe. Mi portarono a casa, mi fecero le lastre e lo specialista diagnosticò un’imperfezione del bacino. Tre infermieri nerboruti mi torsero in fuori la gamba e me la ingessarono. La gamba si girava nel gesso provocandomi dolori atroci e febbre alta» (Moravia).

• «La zia Amelia - cioè Amelia Rosselli - si allarmò moltissimo, disse: "Ma non lo vedi che ti sta morendo, ha le mani trasparenti? Bisogna portarlo a Bologna!" A Bologna c’era il professor Putti che la zia Amelia conosceva benissimo perché gli aveva curato il figlio Nello, nostro cugino, dopo un incidente con la motocicletta. Putti, appena vide Alberto, diede un gran pugno sul tavolo: "Ma quale bacino storto, questa è tubercolosi ossea!" Gli tolse l’ingessatura e ci avvertì che non poteva più ridare l’articolazione all’anca. "Questa scatola la devo chiudere, altrimenti non guarirà mai". Da allora Alberto zoppica, ha questa gamba semirigida che fa fatica a piegare» (Adriana Pincherle).

• «Dal marzo 1924 all’ottobre 1925 restai ricoverato al sanatorio Codivilla di Cortina. Stavo solo in camera, il che era un peso e un privilegio insieme. Mi tolsero il gesso e misero la gamba in trazione, otto chili al piede e due al ginocchio. Tolto il gesso, il dolore scomparve immediatamente, ma soffrivo per l’immobilità a cui ero costretto. Avevo paura di morire in un incendio. Ero insofferente e buttai apposta per terra un vassoio, con tutte le tazze e il the. Il professore disse: "Ma questo ragazzo è schizoide!". Così ho capito che il mio destino era di stare solo. Scrissi su un vetro appannato: "solo con il sole"». (Moravia).

• «Per guardare in strada dal letto adoperava degli specchietti. Mamma gliene comprava a pile, lui li rompeva in continuazione» (Elena Pincherle).

• «C’era un altro ricoverato, triestino, sicuro, allegro e pieno di risorse con le ragazze, rideva e scherzava, le infermiere lo coccolavano, lo corteggiavano. Appena possibile feci trasportare il mio letto nella sua stanza, in modo da stare meno solo. Io non ho mai avuto esperienze omosessuali, ma avrei potuto averle, ebbi certamente un’attrazione per il mio vicino di camera al Codivilla» (Moravia).

• «Leggevo anche cinque libri a settimana, me li mandavano dal Gabinetto Viesseux di Firenze. I cugini Rosselli mi regalarono un’edizione francese de I fratelli Karamazov» (Moravia).

• «Con il triestino andammo a Bolzano, prendemmo una carrozza guidata da un vecchio con i capelli bianchi. Quando il triestino gli diede l’indirizzo, quasi quasi non voleva portarci. Arrivammo a questa casa di tolleranza e per me scelse il mio amico, una brunetta seria seria, simile ad un angelo di Dante Gabriele Rossetti. Avevo l’apparecchio ortopedico ed era la prima volta, non sapevo come fare. Facemmo l’amore come marito e moglie, castamente. Poi seppi che era un’ex maestra di scuola» (Moravia).

• «La convalescenza la feci a Bressanone. Andavo a mangiare al ristorante. Per timidezza scelsi il tavolo vicino alla porta, in modo da non dover attraversare tutta la sala, sotto lo sguardo dei commensali» (Moravia).

• «La malattia l’ha costretto nel gesso proprio nel momento di maggior vitalità, e lui, appena guarito, ha reagito con grande violenza, fino a diventare quasi selvatico. Questa potrebbe essere l’origine della sua famosa ‘antipatia’, Moravia ha dovuto come addomesticarsi alla vita. Ma questo è un lato importante del suo carattere: è il segreto della sua vitalità» (Alain Elkann).

• «Al ristorante veniva pure un giovane fascista accompagnato da una ragazza bionda. Ci salutavamo a malapena. Un giomo, con frasi sibilline, questo fascista mi fece capire che potevo far l’amore con la sua ragazza. Andammo a casa sua, lui stesso la spogliò e ci lasciò soli. Da fuori, ogni tanto, suonava il campanello e ci chiedeva se avevamo finito. Dopo io dissi che avrei volentieri pagato qualcosa per il disturbo. Il fascista rispose: "Signor Pincherle, questa non è carne che si vende"» (Moravia).

• «In ospedale aveva nascosto il calamaio sotto il lenzuolo, intingeva la penna e scriveva un rigo. Bastava questo a rendalo esausto per la fatica. Però il contatto con la letteratura lo tenne in vita”» (Alain Elkann).

• «Leggendo ad alta voce le righe, mettevo la punteggiatura un po’ a caso, come si mette il sale nell’insalata, regolandomi con la musica e le pause del parlato» (Moravia).

• «Si trattava de Gli indifferenti che egli scrisse un poco ogni giorno. Da quella volta il suo rapporto giornaliero col lavoro non è mai cambiato. Lui ha capito che un artista vive del suo lavoro e non del successo che ottiene. Se gli chiedi: come va il lavoro?, lui ti risponde: Picasso diceva che il lavoro deve andare sempre bene. Cita sempre una frase di Baudelaire: "Il talento è lavorare tutti i giorni"» (Alain Elkannn)

• «Scrissi un articolo per “La Fiera Letteraria” intitolato C’è una crisi del romanzo. Lo firmai Alberto Pincherle. Dopo la pubblicazione arrivò la lettera di un professor Alberto Pincherle, cortese ma decisa, che negava di essere l’autore del pezzo e chiedeva un chiarimento. Decisi che da allora in poi mi sarei firmato ‘Moravia”» (Moravia).

• «Portai il romanzo all’editore della rivista “Novecento” e quello disse: non va, non va, è una nebbia di parole. Andai a Milano per incontrare Cesare Giardini, direttore della casa editrice Alpes (presieduta da Arnaldo Mussolini). Restai a Milano ad aspettare che mi desse una risposta, ma niente, per parecchio tempo non mi disse né sì né no. Tomai a Roma, passò ancora qualche mese ed ecco che arriva una lettera di Giardini, entusiasta. “Però - aggiungeva - non è possibile presentare in consiglio d’amministrazione un autore completamente ignoto”. Per pubblicare il libro voleva che versassi cinquemila lire, una cifra notevole. Andai da mio padre e gliele chiesi in prestito. Lui me le diede. Il romanzo uscì nel luglio del 1929. Quando ebbi in mano la prima copia mi vennero le lacrime agli occhi» (Moravia).

• «Tirarono 1300 copie, andarono esaurite in poche settimane» (Moravia).

• «Il famosissimo critico Borgese elogiò il libro sul “Corriere della sera”. Moravia andò a trovarlo per dedicargliene una copia. “Lei si chiama Giuseppe Antonio o Giacomo Antonio?” chiese tranquillo con la penna in mano. E Borgese rispose: “Lei è talmente avveniristico da permettersi di non sapere il mio nome”» (Nello Ajello).

• «Nell’episodio Borgese Moravia si chiuse in quel burbero imbarazzo che ancora oggi fa scambiare per superbia quella mancanza di diplomazia che in lui è necessario contrappeso per evitare che l’estrema bontà comprometta la durezza con la quale un artista si tiene fuori dal sentimentalismo» (Vitaliano Brancati).

• «Nonna Amelia, quando ebbe letto il libro, ci rimase male, si sentì tradita. S’arrivò né più né meno ad una pacifica, ma ferma rottura familiare. Pensare che Alberto invece la ammirava tanto» (Aldo Rosselli).

• «Moravia, fresco del gran successo degli Indifferenti, venne a casa nostra a Torino. C’erano mia madre, mia zia e mìa nonna, tutt’e tre bionde. Lui, senza farci caso, da tipico gaffeur, prese a fare tutto un discorso, un giro di parole, la cui conclusione era che le donne bionde non le sopportava...» (Antonio Debenedetti).

• «Nel ’36 Moravia e la Morante si conobbero. Lui aveva 29 anni, lei 24. Li presentò, nella birreria Dreher di Roma, il pittore Capogrossi. La Morante viveva compilando tesi di laurea per conto terzi. Fece credere a Moravia di essere scappata di casa e d’aver conosciuto un omosessuale inglese che proprio davanti a lei aveva ucciso il suo amante. Di questo omosessuale - disse - lei era pazzamente innamorata. Moravia ha creduto alla storia dell’omosessuale fino al 1982» (Enzo Siciliano).

• «Si sposarono nel ’41, il 14 aprile, lunedi dell’Angelo. In chiesa. Lui non era credente, ma volle farle piacere» (“Le Matin des Livres’ 20/11/1984).

• «Ci sposò il padre Tacchi Venturi nella cappella laterale della Chiesa del Gesù a Roma. Testimoni: Longanesi, Capogrossi, Pannunzio e Morra. Dopo la cerimonia andammo a casa mia e mia madre cominciò a predicare davanti a Elsa su come si deve risparmiare, su come si deve tenere una casa, non sapendo che bastava molto meno per mandare Elsa su tutte le furie. Elsa e mia madre dopo quel giorno non si videro più» (Moravia).

• «Andammo per un lungo periodo ad Anacapri, dove vivemmo da squattrinati» (Moravia).

• «Durante una delle stagioni più belle della loro carriera i due scrittori abitarono ad Anacapri, ospiti del sindaco, nella parte alta del paese. In quelle stanze scrissero Agostino e Menzogna e sortilegio. Anche se avevano orari di lavoro diversi, a volte scendevano insieme sulla spiaggia. Al ritorno, risalendo l’interminabile dirupo che portava alla marina, ogni gradino era una tappa della loro via crucis: da una parte un urlo di lei, dall’altra un improperio di lui...» (Elio Pecora).

• «Tornati a Roma, andammo ad abitare in via Sgambati» (Moravia).

• «Lei era capricciosissima, lui burbero, ma disponibile. Una volta ero venuta a Roma a trovare mamma, era estate e faceva un caldo tremendo. Arrivo al Corso e chi ti vedo dall’altra parte del marciapiede? Alberto che cammina a tutta velocità. ‘Dove vai così di corsa?’, dico. E lui: ‘A comprare un tappeto cinese per Elsa”» (Adriana Pincherle).

• «A. è uno snob, e io vorrei soddisfare con la mia persona il suo snobismo, avendo per esempio un’alta posizione sociale o essendo illustre. Niente di tutto questo è, e ieri quella visita alla mostra con la coscienza di non essere una persona importante là dentro, e lui che parlava con la contessa, e io ubriaca con brutti guanti alle mani, e poi non mi presentarono agli Accademici, e il suo racconto di quei giorni passati in quella villa aristocratica, di quella signora dell’aristocrazia amata da lui...» (Elsa Morante).

• «Figuriamoci se Elsa cucinava, per quasi 25 anni Alberto è andato a mangiare in trattoria. Era lui a pensare all’arredamento, a trovare le domestiche e a risolvere le piccole incombenze quotidiane» (Elio Pecora)

• «A. mi ama solo quando fuggo ma io non posso farlo, non ho denari. Lui è celebre e ricco, fra pochi giorni va a Parigi. Inoltre rimane sempre chiuso, cupo. Lui andrà a Parigi per il suo trionfo attuale e io? Una solitudine spaventosa, precipito...» (Elsa Morante).

• «Quello con Elsa è stato il rapporto più coniugale che Moravia abbia mai avuto» (Elio Pecora).

• «L’8 settembre, in piazza di Spagna, mi si avvicinò un tizio, un Pohr, ungherese, che dirigeva l’Associazione Stampa Estera. ‘Guardi che lei è nella lista delle persone da arrestare’. Subito io ed Elsa ci rifugiammo per un paio di giorni in casa Bragaglia...” (Moravia)

• «Avevo cinque anni, 1’8 settembre era passato da tre o quattro giorni, i miei erano sfollati all’albergo Boston di via Veneto, di lì saremmo andati in Toscana. Alle otto del mattino, un po’ più avanti dell’attuale libreria Mondadori, ecco arrivare Alberto e Elsa. ‘Dove andate?’ ‘Abbiamo trovato una casa vicino a quella di Pietro Pancrazi, dalle parti di Cortona, venite pure voi’ dice papà. Moravia a Elsa: ‘Andiamo anche noi? Partiamo subito?’ Elsa a Moravia: ‘Non ci penso nemmeno, devo finire il romanzo’. Quella era la prima volta che vedevo Moravia. Il romanzo della Morante era Menzogna e sortilegio »(Antonio Debenedetti).

• «Volevamo andare a Napoli, incontro agli americani, ma alla stazione Termini ci spiegarono che a Napoli c’erano gli inglesi. Ci consigliarono di andare a Formia, ma a Fondi il treno si fermò e scendemmo. Ci mettemmo in cammino, arrivammo alla montagna delle Fate, prendemmo a salire. Ci tiravamo dietro una valigia, l’avevamo riempita con scatolette di sardine, una copia della Bibbia e I fratelli Karamazov in francese che i Rosselli mi avevano regalato quando stavo in ospedale. Cominciò così uno dei periodi più felici della nostra vita» (Moravia).

• «Prima di partire mi diede il manoscritto di Agostino, perchè lo salvassi nel caso gli fosse successo qualcosa» (Alberto Lattuada)

• «Io nel ’43 ero tranquillo, dei tedeschi non avevo paura, m’avevano esonerato per la vista, perciò che mi potevano fare con le loro retate? Arrivarono qui a S.Agata i signori Alberto ed Elsa e li sistemammo nella casetta nostra piccolissima, ecco si può ancora vedere, tre metri per tre e il soffitto basso. Adesso ci tengo gli attrezzi per la campagna. Loro due dormivano laggiù nell’angolo dove ci stanno i disegni delle anforette col fiore. Il letto stava poggiato sulla rete e ciavèvano il materasso di spoie (foglie secche di granoturco, ndr.). Qui c’era pure il telaio, io filavo e il signor Alberto s’arrabbiava, il rumore gli dava fastidio. Noi contadini lo sfottevamo: ‘Albè, Albè scappa via che arriveno i tedeschi’. Usciva fuori tutto rosso e col fiatone, vedeva che stavamo tutti a ride e s’arrabbiava. ‘Io, se faccio i soldi, ai contadini il bene non glielo faccio!’ gridava. Una volta si mise addosso sette maglie, diceva: meglio così, che se le lascio qualcuno se le ruba» (Davide Marrocco, contadino).

• «A Fondi vorrei sapere come hanno fatto I’amore, c’era il gatto di Elsa, appena Alberto allungava una mano quello ruggiva come un leone» (Aldo Rosselli).

• «Qui fuori c’è la cisterna, il signor Alberto tirava su l’acqua. D’inverno ghiacciava per il freddo, la doveva rompere. Quella è l’altra capanna dove andavamo a mangiare, il tetto a punta è fatto di strame. Cucinava la signora Elsa, strapazzava le uova nella padella. ‘Alberto, Alberto tu sei quello che mangia di più’ gli diceva lei. Noi da mangiare non gli davamo niente, al massimo un bicchiere di vino, ma il mangiare non gli è mai mancato perché il signor Alberto aveva i soldi e se lo poteva comprare. Anche lui a noi di soldi non ci dette molto, giusto qualcosa per accontentarci» (Davide Marrocco, contadino).

• «La mia guerra è stata molto dura dal punto di vista delle comodità. Mangiavo una volta al giomo verso sera e poi basta... Affettavamo molto pane, poi lo mettevamo in una spasetta, aspettavamo che cuocesse una pignatina di fagioli per poi versarla su questo pane in modo che si imbevesse bene. Si mangiava quasi fredda. Ognuno prendeva una parte col cucchiaio, in comune... A Natale, quando ammazzarono i maiali, comprai un prosciutto, dello strutto, avevo dei soldi» (Moravia).

• «Per noi fu comunque troppo lavoro. Mia madre ogni mattina scaldava l’acqua per il bagno della signora Elsa e poi, durante la giomata, l’accudiva. La giomata del signor Alberto era questa. Alle sette di mattina saliva sulla montagna insieme a due o tre giovani sfollati, dove il pericolo d’essere intercettati dai tedeschi che perlustravano la zona era minore. Poi al tramonto tornavano alla capanna. Stava volentieri a parlare con gli altri sfollati, ma la maggior parte del tempo lo passava a scrivere sui suoi quaderni. Si metteva dentro la baracca, a volte anche la signora Elsa gli faceva compagnia. Passò qui tutta l’invernata, fino a maggio. La signora Elsa, invece, appena poteva scappava a Roma. E’ andata via un paio di volte ed è tomata con altri vestiti più pesanti e con qualcosa da mangiare. Passato l’inverno, a primavera inoltrata, se ne andarono. Alberto mi chiese dei sacchi per mettere dentro le sue cose, disse: ‘non vi preoccupate, ve li rimando’. Invece, chi ha visto più niente?» (Davide Marrocco, contadino).

• «Non c’era carta igienica, adoperammo le pagine dei Fratelli Karamazov francesi, quelli dei Rosselli” (Moravia).

• «Mi ripresentai a casa sua con il manoscritto di Agostino, non si possono dire le traversie che avevamo passato io e il libro, prima per raggiungere Comencini, poi il rientro in città, gli spostamenti da un rifugio all’altro, I’evasione col buco nella parete, eccetera eccetera. Arrivo, gli consegno il quademo e che mi dice? ‘Ti ringrazio, ma mica era l’unica copia”» (Alberto Lattuada).

• «Avevo affidato il manoscritto a Elena. Avevo già delle trattative con un editore, si chiamava Valli. Fece uscire il libro nel ’43 a Roma. Cinquecento copie. Era un’edizione con due illustrazioni» (Moravia).

• «Posso dire di essere diventato un uomo fisicamente normale soltanto a partire dal 1943, dopo i trentacinque anni» (Moravia).

• «A casa mia il sabato, Moravia conobbe tra gli altri Nenni e Saragat. Una grande simpatia per lui, accompagnata da stima sincera, I’ebbe lo stesso Berlinguer. Per noi quel giovane che aveva anticipato l’esistenzialismo era un grande maestro e un esempio. Oggi è un uomo di grande dolcezza, molto sensibile all’umorismo» (Elsa De Giorgi)

• «I salotti letterari erano quello di Cecchi a Corso Italia, quello di Ungaretti a piazza Renuria, quello di Angioletti in via Cola di Rienzo. Venivano Gargiulo, Falqui, Moravia. C’era la moda di farsi crescere una barbetta rada rada, abitudine che aveva un senso prima, quando poteva esistere una necessità di camuffamento, ma che niente ora giustificava. Moravia infatti subito mi disse: ‘Ma lei che cosa si propone con questa barbetta?’ Io risposi: ‘È un’ambizione sbagliata...» (Francesco Tentori).

• «La malattia, il fascismo e la guerra sono state le tre principali e involontarie esperienze della mia vita. In particolare il fascismo e la guerra ebbero, tra i tanti effetti, quello di farrni disistimare la classe dirigente italiana che aveva voluto l’una e l’altra e farmi guardare con simpatia al mito proletario” (Moravia)

• «Dopo l’uscita del Conformista (1951) la rottura con nonna Amelia fu definitiva. Ma come, il romanzo presentava un antifascista come Marcello, così cinico, così indifferente? Essa sentì questo come un affronto alla memoria dei suoi due figli Carlo e Nello, che per i loro ideali erano stati ammazzati» (Aldo Rosselli).

• «Nel ’53 avevo quindici anni, Moravia e la Morante mi invitarono a casa. Io ero così innamorato di lui che lo evitavo per .I’imbarazzo in cui mi metteva. M’ero fatto comprare un bel vestito grigio a righe, che a me pareva il massimo dell’eleganza. Ed ecco, com’era accaduto nel ’30 con le donne bionde, anche adesso Moravia infilò la sua bella gaffe, prese a dire che gli italiani erano insopportabili, con la loro mania di mettersi i vestiti a righe come i gangster americani...» (Antonio Debenedetti).

• «Avevo sentito Toscanini provare e dopo, al Bagutta, cominciai a raccontare che esperienza meravigliosa era stata questa, di sentire la voce di un vecchio trasformarsi come d’incanto, assumendo un tono giovanile ed emozionato per far sentire al clarino in che modo doveva imitare l’uccellino di Sigfrido. Moravia, dall’altra parte, rispose secco e incredulo: ‘Ma Fellini non ha una voce da vecchio e poi non canta mai l’uccellino di Sigfrido...’ ‘No, guarda che ho detto To-sca-ni-ni’ ‘Ah, mi sembrava, perché Fellini ha una voce da grillo parlante, Flaiano dice che ha la vocina da medico dei pazzi’ Moravia, capisce, può anche essere simpatico, I’importante è che riesca a sentirti...» (Camilla Cederna).

• «Venni a Roma all’inizio degli anni Cinquanta, studiavo ancora musica, composizione, filosofia. Facevamo lunghissime passeggiate. Moravia aveva avuto la polmonite, c’era stato un altro ricovero in ospedale, ne era uscito con un esaurimento nervoso e i medici gli avevano ordinato di camminare il più possibile. Mi regalò alcuni dei suoi libri più belli. L’incontro con lui è stato tra gli avvenimenti che più mi hanno spinto verso la letteratura» (Amelia Rosselli).

• «Conobbi Moravia una sera in casa di Giacomo Debenedetti. C’erano la Morante, Pasolini e Guttuso. Moravia era in gran forma: dava torto a tutti, con argomentazioni scarne, addirittura meccaniche, con discorsi di una chiarezza assoluta. Ho visto pochissima gente ribadire un argomento con la stessa cocciutaggine. Come se avesse prima meditato così a lungo da esser certo che la sua era la sola soluzione possibile. Poi col tempo mi son potuto confermare nell’idea che Moravia è uno che non ha rinunciato a dire cose vicine a una verità. Pronto magari, il giorno dopo, a riconoscere in questa verità una maschera, un simulacro, a gettarsi - come faceva anche Savinio - sull’assoluto successivo. Quasi fosse un gioco, infantile ma terribilmente serio» (Walter Pedullà).

• «Alberto è capace di rispondere: è così e basta. È sbrigativo come un allievo che creda di saperne più del professore e non possa perciò che aver ragione» (Edith Bruck).

• «Sono stato sposato tre volte: la prima con Elsa Morante in chiesa, la seconda in libera unione con Dacia Maraini, la terza in municipio con Carmen Llera» (Moravia).

• «Nel maggio 1962, alla libreria Einaudi di via Veneto a Roma, si assegnava il premio Formentor e una piccola platea molto accaldata, sul facinoroso, accusava senza mezze parole Moravia di aver favorito - in veste di giurato a quel premio - L’età del malessere di Dacia Maraini, un’autrice a loro avviso modesta, inconsistente. Accusava Berto, accusava Giancarlo Vigorelli. E Moravia gridava di no, di non aver favorito nessuno, di essersi limitato a presentare il libro della Maraini e di essere rimasto lui stesso sorpreso dal verdetto definitivo. "Qui si vuole insinuare che ci sia sotto chissà che cosa - urlava lo scrittore battendo i pugni sul tavolo - e invece non è vero, non c’è assolutamente nulla!" Poi Moravia pronunciò una frase che mi è rimasta precisa in mente: "Dicono che io esercito un’attrazione magnetica, ma se possedessi davvero questo magnetismo mi farei dare il Nobel che mi interessa, gli sto dietro da un pezzo e mi farebbe comodo!" Alle urlate di Moravia il pubblico rispondeva vociando, insultando, battendo i piedi per terra. Intanto Dacia Maraini si asciugava le lacrime sull’uscio della libreria» (Adolfo Chiesa).

• «Nell’estate del ’63 avevano preso una casa a Ischia, li andarmmo a trovare con Pasolini e Ninetto Davoli. Dacia pescò dei ricci, li mangiammo, poi lei si tuffò di nuovo. Noi stavamo lì a chiacchierare, Alberto invece era inquieto, stava zitto e guardava il mare, c’erano le onde, a un certo punto ha interrotto le nostre chiacchiere, "ma dove sarà andata", non la vedeva, alla fine ha preso e s’è buttato in acqua. Così scoprii il suo lato sentimentale, la sua tenerezza, lui che sembrava tutto intelligenza e limpidezza cartesiana» (Lucio Vlllari).

• «Gli dedicai un libro adoperando la parola ‘tenerezza’, mi incontrò a via dei Greci e si mise a gridare: "Ma che tenerezza e tenerezza", infatti non sopporta questa parola, invece è proprio questo che provo per lui, perchè lo sento così solo, mai abbastanza amato e mai abbastanza amabile» (Edith Bruck).

• «No, Moravia non ha mai pensato di insegnarmi niente. Forse perchè è troppo impaziente, non ha l’animo del maestro... Eppure con l’esempio è riuscito a trasmettemmi il suo rapporto di onestà intellettuale con la scrittura. È sempre stato lontano da ogni scambio e traffico losco, da tutto quel sottobosco letterario che sopravvive a forza di favori e false amicizie. Lui è istintivamente alieno da ogni calcolo e cinismo, purtroppo così comuni tra i letterati. Non l’ho mai visto scendere a compromessi. In questo senso lo considero un maestro» (Dacia Maraini).

• «Nessuno ha avuto su Moravia l’ascendente di Dacia, lo placava senza far niente di particolare, una volta che lui si mise a urlare contro di lei perchè era troppo impegnata, non la vedeva mai, lei si limitò a sfiorargli una mano e a guardarlo negli occhi» (Adriana Pincherle).

• «Dicevo a Moravia che sarebbe stato meglio divorziare da Elsa, e lui rispondeva: "Non vuole, non vuole, cosa vuoi che faccia?" Elsa gli diceva: "Mi hai sposato davanti a Dio e solo lui può sciogliere il nostro vincolo". Era una ripicca. Elsa aveva un caratteraccio e a volte scoppiava, gridando. Alberto invece prendeva a balbettare, a straparlare... aveva paura degli sfoghi di lei. Non bisogna fare un mito della Morante, non era certo una santa» (Edith Bruck).

• «Non so se Moravia è così scortese come si dice. Nel ’63 all’Open Gate rimasi senza il presentatore del mio romanzo La dura spina, perchè Bassani aveva fatto tardi, e Moravia senza pensarci tanto lo sostituì e parlò con semplicità e acutezza del libro. Perciò hanno torto quelli che lo dipingono come burbero e arrogante: è asciutto e diffida del pettegolezzo e della chiacchiera» (Renzo Rosso).

• «“Ti piace Arbasino? “ E’ molto intelligente, e poi è uno che prende l’aereo perchè a Rotterdam c’è una mostra di pittura, e poi il giorno dopo va a Londra per sentire un’opera, o un concerto... Così è come un gentiluomo dell’Ottocento che si trovasse improvvisamente a disposizione i viaggi supersonici... È lodevole... Però poi ha quell’idea lombarda, secondo cui bisogna lavorare, continuamente, e si deve fare il più possibile. Io invece penso che bisogna fare nel modo migliore quello che si fa. Comunque...” Però mantiene sempre un certo livello, no? “Ma sì, in fondo sì. Quando è arrivato a Roma si è messo in mostra demolendo i cosiddetti mostri sacri, sai Visconti, De Sica, e tanti altri, anche scrittori, con lo spirito lombardo, di Voghera...’ Di te cosa diceva? “No, niente di male, credo che anche lui abbia simpatia per me... Però sta’ a sentire: una volta in un suo romanzo c’era scritto qualcosa come Moravia è un erotomane, o è noioso, non mi ricordo; allora, siccome siamo amici, gli ho telefonato e gli ho chiesto come gli era venuto in mente di scrivere quella cosa. E lui mi ha risposto tranquillamente che non lo diceva lui, ma un personaggio del suo romanzo, su cui non aveva un controllo assoluto e di cui non condivideva i punti di vista. ‘Ma scusi’ gli ho detto, perchè allora ci davamo del lei, ‘se io scrivo un romanzo in cui un personaggio dice che Arbasino è uno stronzo, a lei fa piacere?”» (Alessandro Gennari)

• «Dopo la prima votazione per lo Strega a Volponi, mi trovai a casa di Parise, e c’era Moravia. Parise era accigliato, ringhioso: ‘Lo dànno a lui perchè lui è buono - (Volponi, figurarsi!) - io invece sono cattivo’. Era patetico. Ma commovente diventò anche Moravia. Usciva in quei giorni un suo romanzo, e lui era ansioso, si domandava come sarebbe stato accettato. Capivo benissimo il malumore del giovane e l’ansia dell’altro, già celebre e notissimo. Era la prova del loro essere artisti: vulnerabili, gelosi e innamorati della loro creatura” (Lalla Romano).

• «Era l’estate del ‘63, stavamo nel Cilento, in un paesino che si chiama Laurito, ci fermammo in un bar a bere qualcosa, io, la mia futura moglie Flaminia, Dacia e Alberto. Il barista lo riconosce subito, gli dice: ‘Ma lei è Moravia?’. ‘Sì, naturalmente’. ‘Lei ha scritto La noia’. ‘Sì, certo’. ‘Ma lei ha scritto anche Il gattopardo’ »(Enzo Siciliano) «La noia di Moravia, mentre se ne sta seduto su una poltrona di vimini coperta di cuscini foderati di cretonne - elementi pratici, razionali e economici e quindi di un gusto indiscutibile -, si manifesta in larghi sbadigli da cui esce un lontano lamento canino, interrotto dalla chiusura fragorosa delle mascelle. Proprio come i cani quando dànno la caccia alle mosche» (Nico Naldini).

• «Gli ho regalato un cane, un bellissimo esemplare di spinone, si chiama Arancio» (Vincenzo Cerami)

• «Lo carezza con veemenza, lo stropiccia, lo prende a piccoli ceffoni sul naso, gli infila le mani nella bocca... Insomma lo tratta come farebbe un bambino nervoso che però adora infìnitamente il suo cane» (Elio Pecora).

• «Moravia porta il cane a spasso dalle parti di viale Carso o al Lungotevere della Vittoria. Quando Arancio lo porta fuori la governante, la gente lo indica: quello è il cane di Moravia...» (Angelo Sferrazza).

• «Ho sempre amato molto i cani e prima, quando stavo con Elsa, i gatti. Amo tutti gli animali perché anch’io sono al 95 per cento un animale» (Moravia).

• «L’aspetto animale più vistoso della personalità di Moravia è senza dubbio la necessità di mangiare a ore fisse, seguendo una dieta abbastanza rigorosa, ma poi anche tutta una serie di abitudini invariate nel corso degli anni. Moravia ha capito che la vita, per essere vissuta bene, deve sottostare a dei rituali e da sempre si porta dietro un certo numero di regole sulle quali non transige» (Alain Elkann).

• «Ore 6.30. Moravia si alza, va nel bagno, si rade con cura, si veste di tutto punto, spesso con giacca e cravatta, anche se non deve ricevere nessuno...» (Testimonianze Varie).

• «Una volta, insieme a Dacia, a mia moglie Rada e a un gruppo di amici comuni abbiamo attraversato per due mesi e mezzo il Sahara con due Land Rover. Nel deserto le notti invernali sono freddissime e noi ci accampavamo in bivacchi come degli esploratori. Quando uscivamo dalle tende, verso le 5,30 del mattino, con cappucci di lana, doppi calzettoni, piuttosto abbrutiti, trovavamo Moravia sbarbato con una magnifica cravatta dai colori perfettamente intonati alla camicia, con la piega impeccabile dei pantaloni, elegantissimo» (Andrea Andermann).

• «Quello che più mi ha colpito nel racconto di un suo compagno di spedizioni nei deserti africani è il fatto che lui è il primo a svegliarsi. Alle prime luci dell’alba, già pronto per ia prossima tappa, passa da una tenda all’altra distribuendo a ciascun componente un certo metraggio di carta igienica ‘Questo mi sembra l’ottimo segno dell’ultimo grande viaggiatore, senza l’alone romantico di Bruce Chatwin ma con un eccellente istinto di conservazione che è la prima caratteristica di questo nostro maggior scrittore’» (Nico Naldini).

• «Ore 7.00. Moravia consuma una colazione abbondante e molto varia: yogurt, miele, marmellata, the, aranciata o caffè. Qualche volta durante la colazione e subito dopo si distrae guardando il suo programma preferito in tv, il canale Videomusic...» (Testimonianze Varie)

• «Gli ho chiesto: ‘Ma perchè ascolti la musica se non ci senti bene?’ E lui: ‘Vedo i colori’... » (Antonio Debenedetti).

• «E’ strano che tu non abbia un buon impianto stereofonico “Perchè? Guarda che per uno scrittore non è indispensabile... Io sono più sensibile alla pittura che alla filosofia’ Secondo te quindi nella musica contano più le strutture e le logiche dei suoni? “Ma guarda, non vedo che cosa ci trovi di musicale per esempio in uno come Heidegger” E io non vedo cosa c’entri la musica con la filosofia, allora, e comunque sarebbe un discorso lungo e complesso. “Sei tu che hai tirato fuori la musica, che con la filosofia non c’entra proprio per niente. Guarda, quando leggo espressioni come ‘la cosità della cosa’ mi sembrano di una banalità sconcertante. E almeno le facesse dire a un personaggio... ci si potrebbe indovinare qualcosa, dietro... ma così ti viene in mente un vecchio professore, con un culo enorme a forza di star seduto’ E la pittura come si collega a tutto questo? “Se permetti credo di conoscere la pittura meglio di te. Non si può sapere tutto, e se tu mi rimproveri di non avere un buon impianto filosofico...’ Stereofonico, stereofonico! Un giradischi, perchè pensavo di regalarti un disco...» (Alessandro Gennari).

• «"La musica mi piace molto, lo sai che una volta, per gioco, ho detto a Barilli, il critico musicale: vuoi vedere che scrivo una recensione uguale alla tua? Gliel’ho scritta su un tavolino del bar, in pochi minuti, lui l’ha letta e poi l’ha pubblicata con la sua firma"»(Alessandro Gennari).

• «Ore 7.30 Moravia scrive dalle due alle quattro ore, tutte le mattine. Lavora su una scrivania solida e massiccia, creazione di un certo Sebastian Shadawer, artista del legno, che tra l’altro progetta e realizza mobili senza chiodi sfruttando solo la tecnica dell’incastro. Sul piano di lavoro non può mancare la risma di carta e la macchina da scrivere (modello Olivetti 32), accanto ai pennarelli neri Pental che a volte - soprattutto in viaggio - usa per scrivere a mano, consegnando poi il tutto a una dattilografa. Quando non adopera la macchina da scrivere tiene le due dita nella caratteristica posizione “a becco”, avendo sofferto del morbo di Putrin...» (Testimonianze Varie).

• «Passammo una vacanza insieme ad Amalfi, Ilaria aspettava Alessandra. La mattina non si poteva dormire più di tanto perchè c’era questo rumore fastidioso e implacabile come quello delle cicale, le macchine da scrivere di Alberto e Dacia, accordate tra loro in un duetto di amore sviscerato per la scrittura. Io rimanevo a letto e continuavo a rigirarmi inquieto per la cattiva coscienza di non lavorare anch’io. Alla fine non resistevo più e mi alzavo» (Raffaele La Capria).

• «Ore 7.30 Moravia scrive. Nei dintomi deve esserci anche un telefono, al quale risponde sempre in prima persona...» (Testimonianze varie)

• «Ha sempre risposto lui al telefono, senza cercar scuse, come fosse un uomo pubblico col dovere della disponibilità» (Edith Bruck).

• «Forse la leggenda dell’antipatia è nata proprio al telefono per il fatto che lui non ci sente. Qualcuno chiama, dice qualcosa, lui risponde: ‘Chi è? Cosa vuole?’. L’altro si intimidisce, pensa d’averlo irritato e s’esprime a voce sempre più bassa...» (Nello Ajello).

• «Il suo essere disponibile alle domande di tutti i giornalisti è sintomatico: lancia un messaggio che invita l’intellettuale a collaborare, a suggerire punti di vista diversi, a prendere coscienza di quanto accade. Sapere che c’è Moravia, capace di essere un artista, uno scrittore e nello stesso tempo un lucido testimone della realtà che stiamo vivendo - mi conforta molto» (Federico Fellini).

• «All’inizio gli facevo io le domande, ma dopo un po’ cominciò a chiedermi della mia vita, dimostrando un interesse abbastanza anomalo, abbastanza strano. I divi intervistati, di solito, ti considerano solo un punto di passaggio tra se stessi e il pubblico. Ma poi mi venne spontanea una domanda: non sarà che si sta procurando materiale umano per il suo lavoro?» (Elena Doni).

• «Ore 7.30 Moravia scrive. Non manca nessuno degli oggetti rituali. Moravia può immergersi nel mondo astratto dell’invenzione letteraria» (Testimoni Vari).

• «E’ la parte celeste della sua giornata, che Alberto divide sempre nettamente da quella mondana e vitalistica cui dedica il pomeriggio e la sera. È un meccanismo di autodifesa a livello esistenziale... e sembra che funzioni» (Vincenzo Cerami).

• «Ore 13.00. Puntuale come un orologio, mangia. Non esistono eccezioni, dovunque si trovi. L’orario è questo e va rispettato» (Testimoni Vari).

• «L’unica cosa che crea panico a Moravia è l’ora del pasto, non quello che si mangia: alle l3.00 deve mettere qualcosa sotto i denti. Tutto questo si metaforizza e si concretizza nel pane e nella continua richiesta di Alberto: ‘Ma c’è il pane? Ma l’avete preso il pane? Dove si può comprare il pane?» (Andrea Andermann).

• «Avendo Moravia a colazione, sarà bene ricordare che non mangia moltissimo anche se è di buon appetito. Preferisce le pietanze semplici e poco condite. Niente intingoli, fritti o pasticci. Andranno benissimo un risotto o una pasta asciutta al sugo (che non prende mai più di una volta al giomo). Sarà molto contento di assaggiare del pesce. La carne va fatta ai ferri oppure è meglio cucinare un polpettone. A cena, comunque, niente carne. A conferma dei suoi gusti spartani c’è l’amore per le verdure bollite e per le insalate (abbondare con l’aceto), come anche per i formaggi. Non beve più di un paio di bicchieri di vino, ma devono essere rigorosamente di un bel color rosso. Una sua battuta scherzosa è: ‘Il vino bianco fa male’. Per dolce andrà benissimo una pastasfoglia di crema e frutta. Non ama i superalcolici, ma qualche volta fa uno strappo alla regola con un bicchiere di whisky» (Antonio Debenedetti, Alain Elkann, Dacia Maraini, Elio Pecora).

• «Una volta che stavamo in un ristorante specializzato in nouvelle cuisine l’unico dell’intera tavolata che fosse capace di decifrare natura e sapore di ciascuna delle decine di portate era Moravia» (Paolo Parlavecchia).

• «Certe volte, con i giovani, c’è il problema del ristorante, perchè quelli non possono certo permettersi locali lussuosi. Allora lui dice: “Andiamo, andiamo lo stesso, tanto i ristoranti che costano meno sono i migliori perchè usano poco condimento e cucinano piatti che si digeriscono prima» (Alain Elkann).

• «Ore 14.00. Siede pigramente sul divano dello studio (creazione Sovani: divani massicci, un po’ tradizionali ma “eterni”) e legge: svogliatamente se si tratta di giornali, con molto trasporto nel caso di libri. Conosce bene sia l’inglese che il francese e ama leggere nelle lingue originali» (Testimonianze varie).

• «Ore 15.00. Quando non dedica il pomeriggio alla lettura - dunque quasi tutti i giorni - va al cinema: accompagnato da un amico o da un’amica. Preferisce il primo o il secondo spettacolo perchè è più facile trovare parcheggio e perchè il cinema è meno affollato» (Testimoni Vari).

• «Il cinema è una delle mie passioni. In primo luogo viene la letteratura, poi la pittura, quindi il cinema» (Moravia).

• «I film che recensisce ce li racconta svagato, perchè dicono che a volte si addormenta. Ma è un altro suo merito di spettatore e di critico. Una volta che gliel’ho detto, mi ha risposto con un sorriso beffardo» (Giuliano Ferrara).

• «Moravia non si interessa alla trasposizione in film dei suoi libri. Sa che cinema e letteratura sono due cose diverse” (Gina Lollobrigida).

• «Stavamo vedendo Ricomincio da tre e Moravia, sarà stato l’udito difettoso, sarà stato che il dialetto napoletano è veramente oscuro, non capiva quello che dicevano sullo schermo e dovetti aiutarlo. Quando lessi la recensione invece aveva capito molto, molto di più di quello che avevo capito io...» (Lucio Villari).

• «Gli inglesi facevano sperimentazioni accanite e venne sul palcoscenico un’attrice completamente nuda, col suo bel pancione in mostra, perchè era incinta. Io e Dacia cominciammo a discutere a bassa voce su che significato potesse avere quella scena, la madre rigeneratrice oppure la moglie prostituta, quando Moravia ad alta voce cominciò a dire: ‘Ma è la Maga Circe’ e benchè noi gli chiedessimo come gli fosse venuta in mente quell’idea tagliò corto e disse a voce ancora più alta, sicchè si girarono tutti, ‘È la Maga Circe!”» (Riccardo Reim).

• «La costanza di Moravia sfiora l’attaccamento maniacale. Non so da quanti anni continua a fare il critico cinematografico, io sarei stato sommerso dal disinteresse già da molto tempo... E poi non è vero, come si dice, che un film per lui diventa pretesto per parlare di un argomento che gli sta a cuore: è uno che ama il cinema, lo conosce e sa giudicarlo. Nelle sue critiche non c’è mai del malanimo, non fa mai stroncature feroci: c’è una tolleranza, una visione rispettosa, che ne fanno uno dei critici più acuti e attendibili» (Federico Fellini).

• «Ore 18.00-18.30. Rientra a casa malinconico. Riposa un po’, magari riprende la lettura interrotta, e si prepara a un’altra costante della sua vita: l’uscita serale» (Testimoni Vari).

• «Ogni volta che Alberto sta per uscire perde le chiavi. E allora comincia la ricerca affannosa. Siccome c’è fretta e lui è impaziente, la cosa ha del comico. Butta tutto all’aria e grida: ‘Dove me le avete messe?’ Naturalmente è lui che le ha ficcate da qualche parte. Ma sono rabbie superficiali, passeggere, Moravia è una persona buonissima» (Dacia Maraini).

• «Ore 20.30. Anche questo orario - scelto per la cena - va rispettato. Preferisce gli incontri informali in casa di amici, ma non è difficile incontrarlo a teatro o a un party. La sua mondanità ha però regole ferree. Tra le undici e mezzanotte se ne va. La sua idea è che ‘dopo un po’ quello che è bello diventa brutto’». (Testimoni Vari).

• «Moravia disse a Eduardo che le sue commedie avevano sempre un difetto, cioè i primi due atti erano di regola migliori del terzo. Eduardo rispose: ‘Che ci vuoi fare, quando penso ad una situazione mi si presenta sempre in tre atti. Se poi uno è più interessante dell’altro dipende solo dalla realtà. Non è colpa mia’. Arrivò infine mezzanotte e, implacabile come al solito, Moravia si alzò e salutò. ‘Alberto è proprio ’nu guaglione’ commentò allora Eduardo» (Lucio Villari).

• «Durante le ferie passate a Sabaudia la sua vita non subisce variazioni di rilievo. Dopo il lavoro mattutino lo si può incontrare al mercatino americano, alla ricerca di jeans o di una maglietta. Più tardi in qualche negozio. Non si tira indietro se c’è da fare la spesa. Però non sopporta la fila, quindi passa davanti a tutti e comincia a ordinare con fare sicuro. All’inizio ha rischiato grosso, ai clienti la cosa non andava bene per niente, ma poi tutti hanno imparato a conoscerlo, insomma in quella piccola prepotenza non c’è arroganza...» (Testimoni Vari)

• «Mi dimenticai di dirgli che la palazzina della Mondadori era presidiata da polizia e carabinieri per via della questione di Salman Rushdie, lui arrivò tranquillo con la sua Lancia Delta, forzò il posto di blocco e puntò dritto sul cancello, esattamente come avrebbe fatto un pasdaran. Non so come non gli abbiano sparato, dev’essere per la velocità con cui fece la manovra» (Sandro Veronesi).

• «Era appena uscito La vita interiore e girava sempre con una bella ragazza slava e un golf rosso. Si tirò su questo golf e mi fece vedere la pistola, nuova di zecca, mormorando scherzoso: ‘Non ho paura di nessuno...’. Effeffivamente Alberto ha una chiara inclinazione alla violenza... i suoi non sono certo libri di pace» (Oreste Del Buono).

• «Lo manda in bestia la macchina, è impaziente, stenta a sopportare le limitazioni imposte dal codice della strada e dal traffico, ama guidare anche in maniera un po’ spericolata e aggressiva. Con la macchina ha un vero rapporto di odio, sembra che il suo unico desiderio sia quello di fermarsi e prenderla a calci, è uno strumento di moltiplicazione all’infinito della sua insofferenza» (Renzo Rosso).

• «E’ brusco perchè ha fretta ed è inquieto, mentre gli altri sono spesso scocciati. Non è burbero con le persone che lo capiscono e non gli fanno perdere tempo» (Elio Pecora).

• «Racconta sempre che i medici gli trovarono una volta un’ombra allarmante nello stomaco e lo convocarono per una visita definitiva. Giunto allo studio c’era da fare la fila tra gli altri pazienti e perciò si stufò immediatamente e se ne andò. Più tardi venne a sapere che i medici erano sicuri fosse un tumore ed erano pronti ad asportargli mezzo stomaco, mentre non si trattava che di un pancreas aberrante, di ben più facile guarigione. Alberto adopera questo aneddoto per dimostrare che l’impazienza tanto deprecata in realtà gli ha salvato la vita” (Dacia Maraini)

• «A Sabaudia, un paio d’anni fa, in risposta alle raccomandazioni amorevoli di Dacia di far colonna tutti insieme con le macchine per tornare a Roma, lui reagì d’impulso, un po’ infantilmente. Disse di sì, e invece alla prima occasione volò via dalla fila, finalmente libero. Era elegante e vestito di fresco e aveva vicino come complice il cane. Delle paure degli amici sorrideva» (Barbara Alberti).

• «Una volta passando con la vespa lungo il muro di cinta dello zoo ho visto Moravia che aveva scontrato con la macchina e agitava il bastone per aria. Stava in mezzo alla strada. L’ho schivato di poco, altrimenti Moravia non sarebbe più vivo e neanch’io. Ma questo lui non lo sa perchè dopo averlo schivato ho tirato dritto, e comunque allora non lo conoscevo nemmeno» (Edoardo Albinati).

• «Nella tarda mattinata scende al mare: un po’ di sole, qualche libro, una nuotata (si tuffa nell’acqua senza incertezze o tentennamenti) e grandi chiacchierate, magari al centro di un gruppetto di belle ragazze curiose. Sempre circondato da ospiti, non si lascia certo servire: si fanno dei tumi per preparare da mangiare e anche lui fa la sua parte. Pulisce il pesce, lava l’insalata, arrostisce i peperoni. E’ anche bravissimo a lavare i piatti: è velocissimo e pur usando acqua bollente non si scotta mai. Dopo un riposino, lettura di giornali e settimanali, un’altra uscita per le vie di Sabaudia, per l’appuntamento quasi quotidiano col gelato alla frutta (ma i gelati è anche bravo a preparaseli da sé con la gelatiera elettrica). Il programma serale è quello solito: un invito da qualche amico (Laura Mazza, Laura Betti, Lietta Tornabuoni) oppure una cena in casa con qualche ospite. Le discussioni animose e fervorose del dopo mangiato terminano all’ora consueta. A mezzanotte tutti a letto» (Testimoni Vari).

• «Nel ‘68, a Lettere, lo accusarono di scrivere per il “Corriere della sera”, giornale della borghesia imperialistica. Vi furono urla, grida, insulti e Moravia decise di andarsene. All”‘Espresso” pensarono allora di organizzare un dibattito tra gli studenti e lo scrittore. C’era anche Oreste Scalzone. Gli studenti ricominciarono a dire che Moravia s’era integrato nel sistema e fu proprio di fronte a questa ottusa presa di posizione che Alberto scattò in piedi urlando come non l’ho mai sentito urlare: ‘l’unico modo in cui una persona mostra di essere integrata a qualcosa, valori o società che siano, è il linguaggio che adopera, e voi parlate per luoghi comuni, allo stesso modo in cui parla la borghesia burocratica. Mi dispiace dirvelo perché la vostra rivoluzione mi è simpatiea”» (Enzo Sieiliano).

• «Stavamo a casa sua e con le altre del movimento femminista, c’era una discussione accesissima e a un certo punto appare lui sbottonandosi i pantaloni, non si capiva se stava scherzando o provocando. Dacia gli grida: ‘Alberto, ma che fai?’ e lui tutto placido: ‘Ho fame, vorrei un panino’. Era stata una distrazione di sicuro, aveva scambiato la nostra stanza per il bagno» (Edith Bruck).

• «L’impegno è una rottura di scatole. Non bisogna impegnarsi, bisogna esprimersi» (Moravia).

• «Pasolini decise di portarlo per una volta a vedere una partita di calcio e dopo venti minuti Moravia si alzò spazientito dicendo che si trattava di una frescaccia e che non ne poteva più, e s’avviò a fare una passeggiata tra le statue del Foro Italico» (Cesare Garboli).

• «A parte il rapporto con Pasolini, che stava tra l’amicizia e il sodalizio intellettuale, non ho mai attribuito a Moravia capacità di forti sentimenti. Poi un giorno a casa mia incontrò Rodolfo Wilcock e mi sono ricreduto. Wilcock - fatto rarissimo - invitò Moravia nella sua casa di Bagnoregio, Moravia accettò subito e Wilcoek, che viveva solo e nel disordine, si precipitò a riassettare. Mezz’ora dopo arriva anche Alberto. Non so cosa sia accaduto, ma Wilcock mi ha poi detto questa frase di Moravia: “Il sentimento è ridicolo ma sarebbe strano che per questo vi si dovesse rinunciare”. Non credo che Moravia abbia mai sofferto di questo senso del ridicolo, credo piuttosto che sia il pudore a frenare l’espressione dei suoi sentimenti» (Luigi Malerba).

• «In una letteratura di falsi avanguardisti, di ‘damine ricamatrici’, Alberto rimane l’unico vero narratore. Però se guardo l’ideologo, I’uomo politicamente e socialmente impegnato, l’atteggiamento cambia radicalmente. In politica litighiamo sempre. Un esempio granitico della sua suprema sciocchezza? Alla morte di Pasolini pronunciò, tra le altre, queste parole: "La persona di Pasolini non aveva carisma per l’omicida, non aveva quella sacralità che ogni uomo di cultura deve avere". In un paese democratico come il nostro è inaccettabile che un intellettuale rivendichi, davanti alla morte, qualche diritto in più per l’artista rispetto agli altri cittadini. E’ una forma insostenibile di ‘idolatria della cultura’, l’altra faccia di un orientamento ostile nei confronti dello Stato che è in Moravia un retaggio infantile e al tempo stesso un conformismo rovesciato» (Ruggero Guarini).

• «Andammo a trovare Elsa a Villa Margherita, proprio negli ultimi mesi. Lei era distesa con gli occhi chiusi. Moravia si avvicinò, cominciarono a parlare pian piano. Di che parlavano? Di scrittori, di libri. La Morante, con un filo di voce, gli disse una frase che era un testamento: ‘Alberto, tu parli solo di letteratura’» (Lucio Vlllari).

• «L’attaccamento reciproco di Alberto ed Elsa è continuato fino alla scomparsa della scrittrice. Ouando le sirene spezzavano la solitudine dei suoi giomi di malata nella casa di via dell’Oca, lei trasaliva. Il cuore le batteva più forte perchè temeva che le ambulanze potessero essere dirette al lungotevere opposto, quello della Vittoria, dove abitava il suo Alberto. Pochi mesi prima di morire era la morte di Alberto che la angosciava» (Vincenzo Cerami).

• «Anche quando si sono lasciati Alberto ha continuato a provvedere economicamente a lei come un marito. La casa in via dell’Oca, contrariamente a quanto si è detto, era sua; e pochi ricordano che Elsa fino a La storia è vissuta senza preoccupazioni pratiche, firmando assegni sul conto di Moravia» (Elio Pecora).

• «Moravia è abituato a leggere il suo nome sui giomali quasi sempre per questioni pecuniarie, oltre che letterarie e matrimoniali. Alcuni anni fa è scoppiato uno scandalo sulla sua famosa petizione al presidente della Repubblica Sandro Pertini con l’incredibile richiesta d’una pensione speciale per la degenza in clinica dell’indigente sua prima moglie Elsa Morante. La scrittrice era poi deceduta lasciando in eredità ai parenti e alla governante un patrimonio di oltre 650 milioni di immobili. Lo scandalo si è ingrandito quando Moravia, non contento della somma concessa da Pertini per la povera moglie ricca, impugnò il testamento reclamando la legittima di quell’eredità. Così allo scrittore sono andati sei dodicesimi del patrimonio, cioè la metà esatta, e alla governante Lucia Mansi soltanto tre dodicesimi, a Carlo Cecchi e Antonio Ricchezza un dodicesimo ciascuno. Sì, è vero, Moravia è straricco, molto attaccato al denaro, quasi una malattia...» (Sergio Saviane).

• «Sono calunnie. Tutto quello che Elsa ha lasciato ad Alberto è andato alla sorella di Elsa che era stata diseredata. Alberto non ha tenuto nemmeno uno spillo di quell’eredità» (Dacia Maraini).

• «Non lo so, a me quando morì mio padre nel ‘67 capitò questo, che Moravia chiamò Walter Pedullà, che allora era nostro intimo, e offrì il suo aiuto per qualunque cosa servisse. Non lo so se questo è tipico di un uomo avaro, di un uomo egoista» (Antonio Debenedetti).

• «Fece la presentazione di Pratiche innominabili senza chiedere una lira, solo chiese di dettare il pezzo al registratore e di rivederlo poi perchè non aveva tempo” (Riccardo Reim).

• «Il giorno più infausto della mia vita è stato quando i bombardieri americani sganciarono la bomba atomica su Hiroshima. Nel 1982 andai in Giappone e vidi il monumento eretto in memoria di quella data. A un tratto ho capito che il monumento esigeva da me che mi riconoscessi non più cittadino di una determinata nazione, appartenente ad una determinata cultura, bensì in qualche modo zoologicamente ma anche religiosamente membro, come ho detto, della specie» (Moravia).

• «Di Moravia mi ha sempre colpito la costanza, la coerenza, la testardaggine del suo impegno pubblico, la presa di posizione rispetto ai problemi politici e sociali del paese. La sua testimonianza - tipica di un intellettuale del tempo di Sartre e spesso beffeggiata come presenzialismo - io la trovo invece un esercizio ammirevole della funzione dell’intellettuale nella società. Funzione che lui ha sempre svolto con forza ed eleganza» (Lietta Tornabuoni).

• «L’anno scorso, il 18 dicembre 1989, non sapevamo ancora che di lì a poco il muro di Berlino sarebbe caduto, che nello stesso giorno sarebbe stato abbattuto Ceausescu. Moravia se la prendeva con l’attrazione che i russi sentono per il modello americano. “Prendiamo i bluejeans, per esempio. Ancora pochi anni fa, in Unione Sovietica, si dava la caccia ai turisti e ai loro ambitissimi pantaloni...”. E poi aggiunse con un’aria maliziosa: ‘Però la cosa davvero divertente, dopo aver visto il crollo del comunismo, sarebbe di vedere il crollo del capitalismo”» (Thierry de Beaucé, ministro degli Esteri francese).

• «Ho sempre visto Moravia nelle case e terrazze romane, tra le signore che lo ospitano e lo coccolano. L’ho sempre visto sordissimo, elegantissimo, spiritosissimo e molto venerabile sotto ogni profilo. Crede in se stesso e si piace abbastanza per essere decentemente vanitoso, maligno senza cattiveria, distratto senza supponenza o villanie. Non si prende sul serio fino al punto di apparire stupido, ch’è la sorte comune a molti grandi vecchi della cultura europea. Moravia anzi è vecchio in modo incantevole. È nato vecchio, si direbbe, ciò che gli ha consentito di non invecchiare mai. Dice di fare più o meno le cose che faceva da ragazzo e si capisce che da ragazzo faceva più o meno le cose che poi, senza età, ha sempre continuato a fare. Scrive, descrive e non fa troppo il furbo. Non insegna a pensare. Ci ha provato una volta sola, con quella storia dell’atomica e degli incubi atomici, ma è stato il primo a dimenticarsene, passata la campagna elettorale. Diffonde intorno a sè un certo benessere e una certa gioia, altro che incubi: non ricatta, non moraleggia, non prescrive, non segna a dito... Non lo faranno mai senatore a vita, perché sicuramente lo merita. Spero gli diano il Nobel per la letteratura o quello per la pace civile, una dimensione dimenticata della vita pubblica a cui ha molto contribuito” (Giuliano Ferrara).

• «Gli chiesi: ‘Cosa ne pensa dell’imbecillità umana?’. Rispose: ‘E’ qualcosa che dà il senso dell’infinito”» (Giovanni Minoli).

• «“Maestro, dissi, le comunico che ha vinto il premio Internazionale Viareggio-Versilia con le sue Storie della preistoria. Era tutto contento e si informò subito delle modalità per il ritiro, quando era prevista la cerimonia, in che albergo stava. Dopo qualche ora, però, mi chiama di nuovo, era imbarazzatissimo: ‘Potrei venire con una persona, amica?’ ‘Ma certo’ dico io ‘certo, Maestro, ci mancherebbe, le riservo una bellissima stanza con vista sul mare’. Sembrava finita, invece la mattina dopo mi chiama ancora, con la voce sempre più bassa e rammaricata, ‘c’è anche un bambino’, dice. Gli prendemmo un appartamento in albergo e quando arrivò poi con Carmen Llera e suo figlio era ancora timido, come se avesse da nascondere una marachella» (Gabriella Sobrino).

• «Perchè un figlio no? Perchè sei uno scrittore o è stato casuale? “No, è stato soltanto un caso. Li avrei anche voluti, i figli, ma non è successo o per una ragione o per un’altra, esterna, per così dire, a me stesso. Con Elsa, per esempio, ad un certo punto lo avremmo voluto, solo che c’è stata di mezzo la guerra e poi era troppo tardi: ci voleva un amore che, forse, non c’era più a quel punto lì. Con Dacia è stato diverso: lei è stata sposata prima di me e ha avuto una difficilissima situazione in gravidanza" Oggi non ti manca un figlio? “Non mi è mai mancato, perché i figli si fanno per ragioni di immortalità e allora, se uno scrive dei libri, l’immortalità l’ha senza i figli. Il comune mortale vuole prolungare la propria stirpe nel futuro. Infatti i nobili hanno l’albero genealogico mica per niente, ma così sono in qualche modo immortali. Ora, avendo scritto un libro o dipinto dei bei quadri o composto delle belle poesie, come il nostro amico Bellezza, c’è chi sfida il tempo”» (Fiammetta Jori)

• «Non sono uno degli amici di Alberto. Questa parola è diventata troppo spesso sinonimo di profittatore. Non faccio parte della corte di personaggi meschini che gli chiedono sempre favori. Sono qualcosa di più: sono uno di famiglia e aspetto la sua eredità, perchè Moravia mi adora e mi cerca continuamente. Molto più di quanto io non faccia con lui. Non è un grande scrittore anche se è un uomo d’eccezione» (Dario Bellezza).

• «Gli portai questo mio romanzo, Anteguerra, lungo 800 pagine e gli dissi: ‘Lei è il solo scrittore italiano che a me interessa’. Dopo un po’ di tempo lo incontrai di nuovo e lui mi disse di lasciar perdere, quando raccontavo, la terza persona, ‘ormai ha fatto il suo tempo’. Poi disse: ‘Lei ha scritto un romanzo troppo lungo. L’ho fatto anch’io una volta e ho commesso un errore’. Alludeva a Le ambizioni sbagliate” (Alberto Lecco).

• «Una volta mi annoiavo, stavo bevendo da solo in un angolo, Moravia si è avvicinato e mi ha chiesto: ‘Si annoia?’ Gli ho risposto di sì. ‘E’ per questo che beve tanto?’ ‘Sì’. ‘Guardi che bere non serve a nulla”». (Edoardo Albinati).

• «Però gli adulatori non li sopporta, per carità, meglio qualcuno che gli dica onestamente quello che pensa» (Gabriele La Porta)

• «E alla fine della cena disse a me e a Francesca che a un certo punto mentre parlava con noi s’era sentito male, quasi sveniva, però aveva stretto i denti ed era andato avanti, cioè da tutta la vita convive col dolore e questo lo ha reso in qualche modo etemo» (Renato Minore).

• «Rimane sempre il bambino ferito che ha sciupato la sua adolescenza e ha impiegato molti anni della sua gioventù a ritrovare la salute» (Alain Elkann).

• «Perché nei tuoi racconti ogni tanto c’è la frase: ‘Quando tutto è stato detto... “Mah, forse perchè quando tutto è stato detto c’è sempre qualcos’altro da dire”» (Alessandro Gennari).