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 2010  settembre 23 Giovedì calendario

IO E LUI (INTERVISTA A CARMEN LLERA)


Vent’anni dopo Carmen Llera non ha più il sorriso esagerato e sfacciato di quando camminava a fianco di Moravia sfidando le maldicenze della comunità letteraria. Ma non ha perso i modi irrequieti della giovane spagnola che fa innamorare il più autorevole scrittore italiano (lei 26 anni, lui 73), lo sposa e lo tiene avvinto per dieci anni con un andirivieni di fughe e ritorni che alimentano i pettegolezzi e, forse, la stessa creatività letteraria del marito. Fino a quella mattina del 26 settembre 1990, vent’anni fa appunto, quando Moravia muore d’improvviso e lei, che nel frattempo è diventata scrittrice, lo saluta così: "Ho saputo che eri morto dalla radio, io che ti credevo immortale, e mi sono persa nella nebbia densa che avvolgeva Mogador".
Oggi, con sette romanzi pubblicati e una vita fuori dai riflettori, ricorda per noi l’uomo e lo scrittore attraverso il filtro di quell’unione. È il suo modo di partecipare alle prossime celebrazioni moraviane e contribuire a diradare quel cono d’ombra che ritiene lo stia avvolgendo.
È davvero così? Stiamo dimenticando Moravia?
"Solo in Italia, Paese di non lettori. Le nuove generazioni lo conoscono molto poco. Ho sentito un giovane figlio di amici, che aveva dovuto leggere "Gli indifferenti", dire tranquillamente: "Ho finito quel romanzo del marito di Carmen"".
Un bel rovesciamento. Come spiega questa smemoratezza?
"Penso che Alberto fosse uno scrittore molto fisico. Era sempre presente, interveniva di continuo nella vita degli italiani, imponeva la sua vitalità. Era quello che i francesi chiamano uno scrittore "engagé", come Sartre. Mancata la sua fisicità, non è bastata la sua grandezza letteraria. Almeno qui".
Altrove va meglio?
"Di gran lunga. È letto in tutto il mondo e in Francia è tuttora un culto. I film tratti dai suoi libri, come "Il disprezzo" di Godard, sono considerati pietre miliari della cinematografia. Quando un francese guarda i miei documenti d’identità, dice spesso: "Ah, lei è la figlia di Moravia?"".
Qui marito, là padre... Che cosa fu davvero per lei Moravia?
"Un uomo, punto. Non avevo bisogno di un padre, il mio era persino più giovane di lui. E non è stato neanche un maestro. La nostra relazione è stata da uguale a uguale. Sembrerà arrogante, ma è così".
Non vi ha reso diseguali neanche la differenza d’età?
"Guardi se lo avessi conosciuto quando aveva cinquant’anni non mi sarei neanche accorta di lui. Era uno di quelli che migliorano con l’età. La vecchiaia gli aveva donato una bellezza essenziale e sconvolgente, centrata sulla forza degli occhi. Del resto ancora oggi a me un corpo giovane non dice niente".
Il clan Moravia non l’ha mai veramente accettata. Persino nei necrologi quasi nessuno la nominò. Le ha pesato quell’esclusione?
"Non me ne sono curata. Ci sono state persone che sono volute diventare i vedovi di Moravia? Bene, io non ho questa vocazione. Con le sue compagne precedenti ho avuto buoni rapporti. Sono amica di Dacia Maraini, mentre la Morante, a cui piacevo perché spagnola, un giorno mi disse: "Ma tu che vuoi? Sei troppo bella!". Ma se lui avesse voluto una moglie diversa non avrebbe scelto me".
Invece la scelse. Come andò?
"Lo avevo conosciuto a Sabaudia. Gli chiesi un’intervista su Buñuel per la tesi della mia seconda laurea. Accettò e mi invitò a casa sua. C’era il tè al gelsomino e le ciambelline al vino. Non ci siamo più lasciati".
Che marito è stato Moravia?
"Eccellente, perché mi ha accettato per come sono, senza pretendere di cambiarmi. Avevamo dei riti precisi. Ci svegliavamo entrambi all’alba, lui si metteva a scrivere e io andavo nel mio ufficio alla Bompiani. All’una pranzavamo e poi andavamo al cinema, sua passione e mia. Alle otto, sdraiati sul letto, guardavamo il telegiornale. Subito dopo lui si vestiva e andava a cena con i suoi amici. Io mi mettevo a dormire".
Ma qualche volta lei non c’era più. Era altrove, con qualcun altro.
"Chiariamo questo punto. Io non tradisco mai perché non inganno mai. Quando mi interessa qualcun altro lo dico: se la cosa è accettata, bene, altrimenti me ne vado. Allora, che ero più giovane, ero anche più violenta. Moravia ha convissuto con questo. Del resto, se avesse voluto, avrebbe potuto fare altrettanto. Era un uomo di potere, non credo avesse problemi a trovare altre donne".
E le trovava?
"A casa venivano continuamente belle donne, attrici che dovevano interpretare film tratti dai suoi libri. Ricordo Carole Bouquet, Francesca Dellera... Ma non ho mai controllato".
Si è detto che le sue storie con altri uomini gli servissero da ispirazione.
"Non è una scoperta. Lui stesso lo ha detto e scritto più volte. Del resto è normale che uno scrittore faccia della sua vita di relazioni una fonte di indagine e di ispirazione. Il suo ultimo romanzo, uscito postumo, "La donna leopardo", racconta di un viaggio in Gabon di due coppie con un intreccio di sentimenti e gelosie. Forse lì c’era qualcosa di noi".
Insomma era questa la chiave del vostro rapporto?
"Non lo so, ma è probabile".
Prima di conoscerla Moravia aveva già scritto "Io e lui", un dialogo con il proprio pene che fece scandalo.
"Un libro abbastanza brutto, che piace soprattutto agli uomini. Forse perché nella testa maschile questo dialogo ha qualche senso che mi sfugge".
Il sesso era comunque la cifra costante di tutti i suoi libri. È stato così centrale anche nella sua vita?
"Tra noi c’era una forte intesa anche sessuale, ma Alberto amava dire di sé "sono un casto" e intendeva qualcosa di profondo ed essenziale. Non bisogna confondere la letteratura con la vita. Egli stesso sosteneva che il sesso era per lui ciò che per Balzac era il denaro: un filtro attraverso cui raccontare il mondo. Il problema è che lo raccontava a un Paese cattolico, familista e sentimentale che non ha mai davvero accettato la sua profonda razionalità. Oggi non farebbe il minimo scandalo, ma nell’Italia di allora Moravia era un personaggio scomodo, ritenuto antipatico".
È per questo che non è mai stato candidato al Nobel?
"Dicevano tutti così, ma lui non se ne è mai lamentato. A differenza di altri scrittori, non era ripiegato su stesso a misurare il proprio valore, preferiva sempre i libri degli altri. Credo comunque che l’esclusione dal Nobel fosse legata a motivi politici".
Perché era di sinistra?
"Lo era in un modo personale e rigorosissimo. A un certo punto ha fatto persino il parlamentare europeo, convinto da Berlinguer che però in un certo senso lo "fregò"".
Come?
"Era venuto a cena con la moglie per convincerlo a candidarsi. Moravia non se la sentiva di affrontare i continui viaggi. Si lamentava: "Come faccio, trascino la gamba, non c’è un volo diretto". Berlinguer gli disse: "Non si preoccupi perché l’accompagno io. Viaggeremo sempre insieme". Era il maggio 1984. Il giorno dopo, a Padova, ebbe il malore che lo uccise. A questo punto Moravia accettò lo stesso la candidatura".
Se ne pentì mai?
"No, andava regolarmente a Strasburgo, teneva il "Diario europeo" per il "Corriere della Sera" e si appassionava sempre più al tema del disarmo nucleare. Non solo ne scriveva spesso negli articoli, ma anche i suoi romanzi ne erano impregnati. Aveva l’ossessione dell’atomica".
Che rapporto aveva con il passare del tempo e l’incombenza della vecchiaia?
"Pessimo. Era molto irritato dall’idea della decadenza fisica. Si lagnava di essere claudicante e bisognava ricordagli che lo era da quando aveva 17 anni. Una volta, mentre eravamo a New York, mia sorella che è molto più grande di me, mi disse: "Se un giorno lui finisce su una sedia a rotelle, tu che fai?". Glielo raccontai e lui esclamò: "Ma è una stronza tua sorella, cosa vuole? Ci finirà lei in sedia a rotelle". Per fortuna gli è stato risparmiato un destino all’Antonioni. Una mattina ha fatto una doccia ed è morto".
In questi vent’anni il mondo che Moravia conosceva è completamente cambiato. Come immagina che interpreterebbe il presente?
"Ne sarebbe molto infastidito. Figuriamoci, era già infastidito allora. Moravia non accettava facilmente le cose come sono. Né l’impianto familiare borghese, né la politica che si imbarbariva, né l’omologazione imperante. Credo che non avrebbe sopportato la globalizzazione".
Perché? Si spostava continuamente, amava l’Africa, la Cina, anticipava la centralità di questi mondi.
"Certo, aveva capito che quei Paesi avrebbero presto trascinato il mondo. Ma, quando lo accompagnavo nei viaggi, vedevo già la sua insofferenza per masse di persone tutte uguali che si spostavano ovunque, riempivano tutto, erano le stesse nello Yemen o in Kenya. Facemmo l’ultimo viaggio nell’agosto del ’90 rifugiandoci in Irlanda per non subire i Mondiali di calcio".
Che cosa le manca di più, oggi, di suo marito Alberto Moravia?
"La lucidità. Ma sono quasi contenta che non sia qui a vivere questi anni. Sarebbe troppo penoso per lui". n