Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 17/09/2010, 17 settembre 2010
LA PRESIDENZA BUSH UN BILANCIO PROVVISORIO
In Iraq ci si avvia verso una vita democratica senza il sanguinario dittatore Saddam e in Afghanistan forse è lo stesso, senza il barbarico regime prima imposto dai talebani. Nel contempo Al Qaeda non sembra più in grado di proporre grosse minacce al mondo. Ma allora non si dovrebbe riabilitare politicamente la figura di George W. Bush a cui si deve questo miglioramento? Certo si sono avuti migliaia di morti innocenti, ma si dice sempre che in guerra e nelle rivoluzioni il risultato paga sempre, o quasi, sul prezzo. Che sarebbe avvenuto se Bush non avesse agito?
Fabrizio Logli
Fabrizio.logli@alice.it
Caro Logli, i bilanci sono possibili quando tutti gli eventi hanno prodotto i loro effetti e richiedono quindi lo sguardo lungo degli storici. Sulla presidenza Bush possiamo fare per ora soltanto un bilancio provvisorio, inevitabilmente colorato dalle simpatie e dalle preferenze dell’autore. Quello che segue è il mio.
In Iraq il ritiro di una parte del contingente americano ha coinciso con una nuova serie di attentati particolarmente sanguinosi. Dalle elezioni politiche sono passati ormai più di 5 mesi, ma i due maggiori contendenti — il premier uscente Al Maliki e il vincitore, sia pure per una incollatura, Al Malawi, non sono ancora riusciti ad accordarsi sulla composizione del nuovo governo. Gli americani suggeriscono che le grandi questioni, fra cui quella curda e quella dei rapporti fra sunniti e sciiti, vengano delegate a speciali comitati governativi: una formula che ridurrebbe i poteri del Consiglio dei ministri. Non esiste ancora un governo, ma non esiste neppure per certi aspetti, a 7 anni dall’inizio del conflitto, uno Stato iracheno.
In Afghanistan, dove gli americani hanno rafforzato il loro contingente con l’invio di 30.000 soldati, le operazioni degli alleati nelle regioni meridionali del Paese hanno avuto l’effetto di sguarnire il Nord, dove i talebani sono ormai presenti anche in aree diverse da quelle in cui possono contare sulla tradizionale amicizia e complicità delle tribù pashtun.
In Pakistan le regioni occidentali, ai confini con l’Afghanistan, sono in parte sfuggite al controllo del governo centrale e il terrorismo è ormai endemico. Le spaventose alluvioni delle scorse settimane, nel frattempo, hanno reso ancora più drammaticamente evidente l’impotenza delle autorità centrali.
L’Iran è molto più forte e spavaldo di quanto fosse prima dell’inizio della guerra irachena. Gli americani lo hanno sbarazzato di due nemici (Saddam in Iraq, il regime talebano in Afghanistan) e gli hanno permesso in tal modo di esercitare una considerevole influenza su tutte le comunità sciite del Golfo Persico, a cominciare da quella irachena.
Al Qaeda ha ora due campi di battaglia, in Iraq e in Afghanistan, in cui può reclutare e indottrinare molto meglio di quanto potesse fare in passato. Non sembra essere in grado di organizzare nuovi attentati nelle città dell’Occidente, ma questo si deve soprattutto all’efficacia delle polizie e dell’Intelli-gence in Europa e negli Stati Uniti. Ciò che è accaduto dimostra in altre parole che la minaccia si combatte soprattutto con le forze di sicurezza e che la «guerra contro il terrorismo» è stata, oltre che inutile, dannosa.
Sergio Romano