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 2010  settembre 17 Venerdì calendario

IL DESTINO DI ROMA: LA DOPPIA CAPITALE NAZIONALE E RELIGIOSA

Solennizzare i centoquarant’anni della presa di Roma nel momento in cui una importante forza di governo non propone ancora il trasferimento della capitale al Nord (Salò?), ma sostiene almeno quello di buona parte dei ministri e della amministrazione pubblica, appare veramente paradossale. E proprio quando, grazie anche all’impegno dei sindaco di Roma Gianni Alemanno, sta per essere approvato il decreto legislativo che attua la legge 42 del 2009 in materia di ordinamento di «Roma Capitale», disciplinando gli organi di governo, l’Assemblea capitolina, la presenza del sindaco al Consiglio dei ministri per le questioni inerenti la città, lo status degli amministratori.
Per non dire che sminuire il ruolo nazionale della città — che nel 1870 aveva collegato il Nord e il Sud —, riducendola, come si vorrebbe, a «capoluogo regionale», significherebbe indebolire anche quello della Roma papale, che convive positivamente e non più solo «di fatto» con quella italiana dal 1929 e che sarà rappresentata per la prima volta a Porta Pia il giorno 20 settembre dal cardinale Tarcisio Bertone, capo del governo di Sua Santità, accanto al presidente Giorgio Napolitano, dimostrando che non si vuole certo, nei Sacri Palazzi, ritornare alla città del Papa.
Del resto già Giovanni XXIII nel 1961 aveva parlato dell’Unità d’Italia, in occasione del centenario, come di un «motivo di esultanza sulle due rive del Tevere» e il cardinale Giovanni Battista Montini, l’anno dopo, della Provvidenza che il 20 settembre aveva «tolto al Papato le cure del potere temporale perché meglio potesse adempiere la sua missione spirituale nel mondo».
Solo tre anni fa la rivista del senatore Giulio Andreotti «30 Giorni» aveva proposto di proclamare quel giorno «festa nazionale del Risorgimento unitario», come aveva fatto il capo del governo italiano Francesco Crispi nel 1895, e si erano ricordate su queste colonne le resistenze opposte da Benito Mussolini di fronte alle richieste di Pio XI di abolire la solennità civile dell’anniversario di Porta Pia e alla minaccia di pubbliche proteste, con relativa riapertura della questione romana chiusa soltanto un anno prima. Nel dicembre del 1939 l’11 febbraio, anniversario della Conciliazione, sostituirà però, tra le festività, quello del 20 settembre.
Porta Pia non fu un’impresa politicamente facile e ancora alla fine della Grande guerra il Vaticano — che con Leone XIII aveva formulato più di sessanta proteste — continuava a rimproverare agli «usurpatori» del 1870 gli «affronti al Papa e la persecuzione dei cattolici». Già l’anno successivo alla breccia, però, la Legge delle Guarentigie (1871) era riuscita a stabilire un equilibrio fra Stato e istituzioni ecclesiastiche che superò le difficoltà della Prima guerra mondiale e che la Santa Sede finì per accettare se, nel 1924-25, cercò di ottenere dall’Italia una revisione della legge stessa in senso più favorevole alla Chiesa.
La Seconda guerra mondiale mise, invece, alla prova i Patti del Laterano e la città, dopo l’8 settembre 1943, fu certo più del Papa che dei Savoia, i quali, nell’ormai lontano 1871, si erano insediati al Quirinale, con Vittorio Emanuele II, quasi a malincuore.
Solo qualche anno fa la Consulta ha enucleato dalla Costituzione della Repubblica il principio «supremo» di laicità dello Stato, lo stesso principio che, pur con alcune contraddizioni, aveva informato la legislazione ecclesiastica postunitaria dello Stato liberale. E, diversamente dal centenario del 1870, che coincise con l’introduzione del divorzio e con l’inizio della crociata referendaria dei cattolici, questa centoquarante-sima ricorrenza consacra il positivo equilibrio fondato sulla separazione costituzionale degli «ordini» e consolidato dai nuovi accordi concordatari del 1984 — fra uno Stato stretto tra l’integrazione europea e il federalismo, confuso ma incalzante, e una Chiesa indebolita in Italia dalla diminuzione del clero e della pratica religiosa e dalla crisi dell’obbedienza ai precetti morali, ma certamente molto autorevole nel mondo e rafforzata dalla capillare azione caritativa nella società — favorita anche dal meccanismo di finanziamento dell’8 per 1000 concordatario — e dalla forte difesa degli «ultimi» che si vorrebbero espellere o chiudere in nuovi lager «nordisti».
Milano capitale e Roma città del Papa, dopo quasi un secolo e mezzo dalla breccia di Porta Pia? Varrebbe la pena ricordare Bisanzio, la «Nuova Roma», elevata a capitale dell’Impero da Costantino nel 330 e conquistata dai turchi nel 1453, e mettere in guardia contro il rischio che, una volta esauditi gli auspici islamici del colonnello Gheddafi, il duomo di Milano (IV Roma) possa fare la fine della grande basilica di Santa Sofia, eretta da Costantino e ricostruita da Giustiniano. Basterebbe aggiungere, come a Istanbul, qualche minareto e sostituire la Madonnina con la Mezzaluna.
Francesco Margiotta Broglio