Giovanni Belardelli, Corriere della Sera 17/09/2010, 17 settembre 2010
PORTA PIA, LA BRECCIA CHE NON DIVIDE PIU’
Per i 140 anni dal 20 settembre 1870, la data che segnò l’avvento di Roma capitale e la fine del potere temporale della Chiesa, si terrà domani un convegno che ha già suscitato qualche polemica per il fatto d’essere stato organizzato in collaborazione tra il Comune di Roma e la Santa Sede. Una circostanza, questa, che è parsa a qualcuno come la negazione stessa del carattere laico della ricorrenza. In realtà, quasi un secolo e mezzo dopo, non è poi così strano che il 20 settembre venga rievocato in modo condiviso (seguendo tra l’altro, a quel che si è saputo, un auspicio in tal senso del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, certo non sospettabile di inclinazioni «clericali»). Non è strano, sia perché da tempo la Chiesa ha riconosciuto il carattere «provvidenziale» della fine del potere temporale (così il cardinale Angelo Dell’Acqua nel 1970, in occasione del centenario del 20 settembre). Sia perché sono ormai lontanissimi i tempi in cui la festa rappresentava per il Paese l’occasione di polemiche accesissime.
Polemiche che ci dicono come il 20 settembre, se fu una data di straordinaria rilevanza storica, come festa nazionale del nuovo Stato italiano fu invece una data sostanzialmente sbagliata, appunto perché spaccava profondamente un Paese i cui abitanti erano in maggioranza cattolici, ma che era nato (e non poteva che essere così, vista l’esistenza di uno Stato pontificio) contro la Chiesa. Da una parte degli italiani il 20 settembre era sentito come un giorno di lutto, appunto perché rinverdiva il ricordo di una violenza subita dalla Chiesa. Per un’altra parte del Paese, nonché per la maggioranza della classe dirigente liberale, quella data segnava non solo un momento essenziale nella costruzione dello Stato, ma anche un passo decisivo sulla via del progresso civile grazie all’abolizione del potere temporale dei Papi, «l’ultimo avanzo del feudalesimo politico» come affermò Francesco Crispi alla Camera nel 1889. Nel 1895, per il venticinquesimo anniversario del 20 settembre, fu proprio Crispi a farne una festa civile (dunque con uno status leggermente diverso rispetto alla festa nazionale dello Statuto), incoraggiando le manifestazioni che già si svolgevano da anni in molte località.
Come mostrarono le grandi celebrazioni organizzate a Roma per il 20 settembre 1895, la festa aveva sicuramente un seguito popolare: nel pomeriggio si recarono in corteo a Porta Pia 50 mila persone, organizzate soprattutto dalle associazioni che si richiamavano alla componente democratico-garibaldina del Risorgimento. Furono ben settanta le bandiere verdi dei sodalizi massonici, in un’epoca in cui la sinistra democratica aveva in gran parte un orientamento anticlericale e, appunto, massonico. Si trattava di manifestazioni che per questo loro carattere anticlericale divenivano il pretesto per manifestazioni di segno opposto da parte dei cattolici intransigenti, che non accettavano uno Stato «usurpatore» che aveva strappato Roma al Papa. Ma le manifestazioni e i cortei del 20 settembre non piacevano nemmeno a chi si trovava su posizioni liberalconservatrici.
La linea di divisione era così profonda che poté accadere, sempre nel 1895, che a Roma Raffaele Cadorna, il generale che aveva comandato l’attacco a Porta Pia, si rifiutasse ora di intervenire alla celebrazione ufficiale del 20 settembre in considerazione delle proprie convinzioni religiose, quasi si trattasse appunto di una festa massonica. O che tre anni dopo, a Milano, le autorità ecclesiastiche in occasione della ricorrenza vietassero l’esposizione del tricolore sul Duomo, provocando un’infinità di polemiche. Il carattere divisivo di questa festa, cioè la sua grande capacità di dividere l’opinione pubblica, si vedeva anche da un altro fatto: ogni 20 settembre il fronte stesso di quanti celebravano la data tendeva a spaccarsi. I repubblicani, ma anche le organizzazioni socialiste, non volevano confondersi con i rappresentanti del regime monarchico e liberale, e così organizzavano manifestazioni e cortei alternativi.
Col nuovo secolo, un po’ per l’affievolirsi dell’anticlericalismo, un po’ per il nuovo atteggiamento dei cattolici verso le istituzioni liberali (e viceversa), il 20 settembre cominciò a essere festeggiato in un clima meno segnato dallo scontro. Con l’amministrazione Nathan, l’ex gran maestro della massoneria eletto sindaco di Roma nel 1907, almeno nella capitale lo scontro attorno a quella festa si accese di nuovo. Ma il clima da «guerra di religione» dei decenni precedenti si era in gran parte dissolto.
Per lo stesso Partito popolare di don Sturzo, fondato nel 1919, il 20 settembre non rappresentava più la data infausta e luttuosa che era stata per tanti cattolici dopo il 1870. Sicché, quando nel 1930 il fascismo abolì la festa, questo fu la conseguenza del nuovo clima stabilitosi tra il regime e il Vaticano dopo i Patti lateranensi del 1929, ma anche il portato di uno svuotamento della ricorrenza stessa rispetto a qualche decennio prima. Che Mussolini inaugurasse poi, nel 1932, il monumento al bersagliere di fronte a Porta Pia fu forse un ultimo tributo da parte del Duce all’anticlericalismo delle sue origini socialiste e romagnole.
Nel maggio 1949 si discusse in Parlamento dell’eventualità di ripristinare la festa che il fascismo aveva soppresso; ma dopo il voto del Pci a favore dell’articolo 7 della Costituzione e a un anno dalla grande vittoria democristiana del 18 aprile, della proposta non si fece nulla. Anche per il timore — come affermò un deputato della Dc, Giordani — che in tal modo potessero risorgere vecchi steccati. In anni più vicini a noi sono stati soprattutto (e quasi soltanto) i radicali di Pannella a ricordare ogni anno il 20 settembre, in una chiave decisamente e polemicamente anticlericale.
Una volta Giovanni Spadolini, in un suo volume, avanzò la proposta che il 20 settembre divenisse una festa religiosa, poiché la Chiesa si era liberata proprio grazie alla breccia di Porta Pia del fardello rappresentato dal potere temporale. Il fatto che nel 2010 il comitato organizzatore del convegno romano sia presieduto da monsignor Gianfranco Ravasi, e che il segretario di Stato vaticano monsignor Tarcisio Bertone abbia assicurato la sua presenza a Porta Pia accanto al presidente Napolitano, mostra che quella proposta, per quanto paradossale, pure conteneva un grano di verità.
Giovanni Belardelli