Federico Fubini, Corriere della Sera 17/09/2010; Franco Morganti, ibid., 17 settembre 2010
2 articoli - INTERNET SUPERVELOCE GLI UOMINI E GLI OSTACOLI - Le classifiche di rado dicono molto di un Paese, ma magari a volte qualcosa sì: secondo Speedtest
2 articoli - INTERNET SUPERVELOCE GLI UOMINI E GLI OSTACOLI - Le classifiche di rado dicono molto di un Paese, ma magari a volte qualcosa sì: secondo Speedtest.net, l’Italia è al 65esimo posto nel mondo per velocità delle connessioni a Internet. È vero che Milano e Roma, ben cablate a fibre ottiche, alzano la media. Ma il consuntivo sull’insieme del Paese è a 4,27 Megabit per secondo (Mbps), poco sotto il Vietnam e decisamente in ritardo rispetto al Kazakhstan, al Ghana e meno della metà del Kirghizistan (9,33). I nuovi servizi web, dai film in 3D alle reti per le imprese, funzioneranno forse meglio sul Mekong o nel Caucaso che sull’Appennino. Ma i fatti (più o meno) appurati finiscono qua. Quanto invece al resto dei progetti grazie ai quali Internet correrà sulla banda larga a fibre ottiche anche in Italia, la dissonanza è praticamente perfetta. Lo è in modo plateale fra Telecom Italia e i cosiddetti «operatori alternativi», con Fastweb, Vodafone e Wind in prima fila: proprio questa settimana gli sfidanti di mercato dell’ex monopolista, con un colpo teatrale, hanno abbandonato il comitato riunito dal Garante per le comunicazioni (Agcom) per trovare idee comuni sul passaggio al web superveloce. Secondo i capi-azienda di Fastweb Carsten Schloter, di Vodafone Italia Paolo Bertoluzzo e di Wind Luigi Gubitosi, il presidente del comitato Francesco Vatalaro aveva fatto proprie quasi tutte le posizioni attendiste di Telecom e ignorato le loro. L’Agcom ha espresso «rammarico» per il gran rifiuto, e gli sfidanti si sono tirati dietro anche Tiscali, Welcome Italia e British Telecom Italia. Schermaglie di poco impatto, dato che il comitato deve rendere all’Agcom solo pareri consultivi. Ma mettono a nudo la tensione che in Italia circonda ogni progetto di ampliamento della banda larga. Fastweb e alleati vorrebbero accelerare nella diffusione dei cavi a fibre ottiche con un piano di investimenti da 2,5 miliardi su 5 anni e 15 città e con il coinvolgimento nel progetto di Telecom Italia: inevitabile, se si vogliono far quadrare i conti. L’ex monopolista invece non intende lasciarsi mettere addosso alcuna pressione. Proprio ieri l’amministratore delegato di Telecom, Franco Bernabè, ha presentato a un incontro del suo consiglio a Venezia «il quadro di evoluzione dell’infrastruttura della rete sia mobile che fissa». La previsione del gruppo è di continuare a fondare il grosso delle connessioni Internet nel Paese sulla tradizionale rete telefonica di cavi in rame. Probabilmente almeno fino al 2018. Solo a quel punto, dopo investimenti per almeno sette miliardi di euro, oltre metà della popolazione dovrebbe poter avere il collegamento superveloce a fibre ottiche. Il gruppo guidato da Bernabé non vuole fare prima né di più perché, sostiene, la debole domanda per servizi a banda larga nel Paese non giustifica gli investimenti necessari: Telecom sostiene che ad oggi non c’è richiesta per almeno metà delle connessioni superveloci già disponibili. I concorrenti hanno una versione diversa. Telecom intende sfruttare fino in fondo il suo monopolio sulla vecchia rete fissa, ribattono. E osservano a ruota, mai però in via ufficiale, che l’Agcom sembra un arbitro poco imparziale. L’accusa più tagliente riguarda l’aumento deciso di recente dall’Autorità sul canone imposto agli operatori per l’unbundling, il loro transito sulla rete fissa in rame costruita da Telecom quand’era monopolista pubblico. Quel rincaro tariffario (circa il 14% sui prossimi tre anni) imporrà a Fastweb, Vodafone e Wind un sovraccosto di circa 800 milioni: più o meno quanto i tre volevano investire in proprio nella fibra ottica. Telecom ribatte che il canone era sotto la media delle 16 tariffe più alte in Europa. E i colpi di fioretto continuano. Ma su un punto tutti gli sfidanti sono d’accordo: inutile contare sulle risorse pubbliche. I fondi del governo per la banda larga dovevano pesare per 1,4 miliardi, poi sono scesi gradualmente a 800 milioni, 600 e infine a cento milioni. Molti di quei soldi sono finiti nella cassa integrazione straordinaria durante la recessione. Chissà che il Vietnam, che cresce l’8% l’anno, il sorpasso non l’abbia fatto lì. Federico Fubini TROPPE PAROLE PER LA BANDA LARGA NIENTE FATTI PER INTERNET SUPERVELOCE - Nella sua introduzione alla Relazione annuale 2010 dell’Autorità Agcom, il presidente Corrado Calabrò, dopo aver citato il piano Usa di 100 milioni di case connesse a 100 Mbit/sec (la cosiddetta banda ultralarga) e l’agenda digitale Ue, ha detto: «Il ragionamento secondo logiche passatiste, per cui bisognerebbe creare le condizioni della domanda prima di investire in nuove infrastrutture, riduce all’immobilismo. Per le nuove tecnologie, i percorsi di creazione e stimolo di domanda o offerta vanno di pari passo. In un ecosistema ogni singola parte cresce con il tutto; è una visione olistica delle reti e delle relazioni che si sviluppano». Belle parole, ma i fatti di questi giorni vanno in altra direzione. Gli operatori alternativi (Olo) se ne sono andati il 14 settembre dal Comitato Ngn, quello istituito dal Ministero per lo sviluppo per lanciare le reti in fibra di prossima generazione, «non sentendosi rappresentati». La stessa Agcom il 9 settembre ha deciso di alzare le tariffe di affitto dell’ultimo miglio in rame di Telecom Italia, fino al 12% entro il 2012: l’aumento renderà ancor più profittevole il rame (come ammette la stessa Telecom Italia) a scapito della fibra, scoraggiandone l’investimento. L’ultima versione Telecom del piano di cablaggio delle case italiane, non a caso, le dimezza rispetto a quello di sei mesi prima. Degli 800 milioni del piano Romani per colmare il digital divide si sono perse le tracce: il suo obiettivo, ricordiamolo, era portare in tutte le case italiane non i 1 0 0 Mbit americani ma qualcosa meno di 1 Mbit. È questa la «visione olistica delle reti e delle relazioni»? Ci va bene la posizione dell’Italia al 17˚posto nella Ue per quanto riguarda la penetrazione della banda larga? Forse c’è qualcosa di strano, poco decifrabile, nell’atteggiamento del governo: si pensa forse che la banda larga serva solo ai ragazzini per giocare, ai guardoni per stravedere, agli antagonisti per protestare? Invece serve alle aziende per sopravvivere, ai professionisti per lavorare, ai giovani per imparare. Franco Morganti