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 2010  settembre 17 Venerdì calendario

MESCOLARE LE MATERIE E FARE I TEST. COSI’ LO STUDENTE RENDE AL MEGLIO —

Trasformare un figlio svogliato in uno studente zelante (o almeno da media del sei) è il sogno settembrino di ogni genitore. E poiché le ansie parentali sono intercontinenta-li, ecco comparire s ul New York Times un articolo che spiega quali sono le ultime teorie scientifiche per migliorare il rendimento scolastico.
L’autore, Benedict Carey, parte con la premessa che bisogna accantonare le classiche indicazioni tipo: scegliersi una stanza appartata per fare i compiti, seguire un piano settimanale, stabilire obbiettivi e limiti, evitare di offrire ricompense materiali se non in caso di necessità. Ma delle tecniche che funzionano a quanto pare esistono, e sarebbero valide per adolescenti e adulti/scolari di ritorno. A parità di impegno, farebbero imparare di più.
Il primo comandamento è logistico, e va contro la tradizione dell’isolamento che concilia la concentrazione. Secondo il dottor Robert A. Bjork, psicologo della University of California di Los Angeles «cambiare stanza quando si studia aiuta l’apprendimento perché il cervello, che automaticamente associa le nozioni a qualche particolare dell’ambiente esterno, costretto a cambiare immagine, memorizza più facilmente». La seconda regola consiste nello studiare in modo variato. Ossia: senza insistere sulla stessa materia o esercizio, ma alternando almeno le modalità. Leggere, ripetere, scrivere. Messo davanti allo stesso tipo di quesiti, il cervello si impigrisce.
E siamo al terzo caposaldo. Meglio studiare a rate, non fare la classica 24 ore prima dell’interrogazione. Un po’ oggi, un po’ dopodomani, ripasso tra una settimana. «Non sappiamo perché, ma in questo modo i concetti restano più a lungo» aggiunge il professor Nate Kornell, un altro autore dello studio. «L’idea è che dimenticare aiuta, perché il cervello è costretto a imparare di nuovo rinforzando la conoscenza». Un quarto suggerimento sta nel sottoporsi a continui test, assicura il dottor Henry Roediger III, psicologo alla Washington University di St.Louis. «È uno degli strumenti più potenti che abbiamo. Non solo misura la conoscenza ma la cambia». E più difficili sono meglio è. «Perché più è faticoso ricordare qualcosa, più sarà anche dimenticarlo».
Scarta subito il primo suggerimento la professoressa Anna Oliverio Ferraris, ordinario di Psicologia alla Sapienza di Roma. «L’ambiente esterno conta poco, è meglio darsi una regola interna, sapersi organizzare. Ognuno deve studiare dove si sente più a suo agio, e mi pare assodato che tv, computer e telefono disturbino lo studente». Ma non sta qui il punto, secondo lei. «Conta studiare con intelligenza. Una sessione di lavoro può durare dai 20 ai 40 minuti. Al termine è bene ricapitolare, farsi uno schema, per aiutare la memorizzazione». Su questo perciò concorda con i colleghi americani. «L’importante è mettere a fuoco i punti fondamentali di ogni argomento». Bene anche il punto 3: «La cosa migliore poi è saper cercare i collegamenti tra le materie o le applicazioni concrete di ciò che si è imparato».
Più scettica Patrizia Vermigli, ricercatrice dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Cnr: «Questi metodi li aveva già scoperti negli anni ’50 don Milani che, alternando materie e insegnamenti, riusciva a tenere occupati i ragazzi anche 12 ore di seguito. I giovani, se una cosa interessa, sono bravi a informarsi ed imparare. Il problema è che la scuola, così com’è, li interessa poco, il libro di testo è superato, c’è bisogno di un salto di qualità».
Postilla unanimemente condivisa: lo studente deve essere motivato. Deve farsi venire la voglia. Altrimenti non c’è regola che trasformi un asino in un secchione.
Giovanna Cavalli