Massimo Gramellini e Carlo Fruttero, La Stampa 17/9/2010, pagina 88, 17 settembre 2010
STORIA D’ITALIA IN 150 DATE
25 settembre 1967
Anonima Rapine
Stridore di gomme, la porta della banca spalancata con violenza, due uomini mascherati da sciarpe e berretti entrano pistole in pugno: «Tutti a terra, è una rapina!». La scena si ripete a scadenze ravvicinate: a Torino, e Comuni limitrofi, e a Milano. Ogni colpo dura al massimo tre minuti e frutta dai 5 a 10 milioni di lire. L’esecuzione è sempre perfetta e gli inquirenti pensano a una banda di professionisti espertissimi, mentre i giornali citano la parigina «bande à Bonnot» e più ancora Dillinger, il celeberrimo «bank robber» dell’America degli Anni Trenta. Ma dagli informatori della malavita non filtra nessuna informazione, i banditi appaiono totalmente sconosciuti. La loro audacia spavalda fa paura e il terrore cresce quando i rapinatori cominciano a prendere ostaggi e quando infine sparano e uccidono. Quasi a voler deridere gli avversari, portano a termine due, anche tre assalti al giorno, a breve distanza uno dall’altro, e mandano lettere beffarde a «La Stampa», firmandosi Anonima Rapine.
Poi vanno a Milano in pullman di linea, rubano una macchina e tentano una temeraria tripletta. Ma stavolta (la diciottesima) falliscono. Un poliziotto ferisce a un braccio il più grosso di loro, che viene catturato, mentre gli altri fuggono sparando in tutte le direzioni. Una gimkana di sangue che provoca quattro morti e decine di feriti fra i passanti. Alla fine abbandonano la macchina e spariscono nelle campagne. Il ferito dà indicazioni che portano alla cattura di un diciassettenne appena affiliato e rivela i nomi degli altri due. È gente qualunque, senza precedenti penali. Il capo è Pietro Cavallero, ex bigliettaio del tram, che opera dietro la facciata di rappresentante di penne a sfera. È lui che prepara i colpi, lui che studia le vie di fuga e divide il bottino. Centinaia di agenti lo cercano fra Torino e Milano e infine un giovane carabiniere lo scova mentre dorme con il complice Sante Notarnicola in un casello abbandonato della ferrovia, vicino a Valenza. «La guerra è finita» dice e tenta di dare un qualche valore ideologico alle sue gesta da megalomane, sostenendo che svaligia le banche per colpire al cuore il capitalismo. In più di due anni la banda Cavallero ha racimolato 80 milioni di lire, in gran parte persi al gioco. Notarnicola recita la parte del debole traviato, ma inutilmente: per tutti, tranne il diciassettenne, sarà l’ergastolo. In carcere le parti si ribaltano. Cavallero si converte, chiede perdono e chiude la sua vita assistendo bisognosi all’Arsenale della Pace di Torino, mentre Notarnicola diventa un contestatore del sistema carcerario e si dichiara detenuto politico. Scontata la pena, aprirà un’osteria.