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 2010  settembre 17 Venerdì calendario

L´ITALIA PERDE TUTTE LE POLTRONE ECCO IL DECLINO DALL´ONU ALLA UE - MILANO

Quattro sconfitte in quattro partite. L´Italia esce (ancora una volta) con le osse rotte dall´ultima tornata della Champion´s League della diplomazia internazionale. Massimo D´Alema, lanciatissimo verso il titolo di Mister Pesc, è stato superato sul filo di lana dall´inglese Catherine Ashton nella corsa al ministero degli esteri Ue. Mario Mauro, candidato tricolore (e dato favorito dai bookmaker) come presidente del Parlamento europeo, è stato battuto dall´outsider polacco Jerzy Buzek. Giulio Tremonti, vista la mala parata, si è ritirato in "zona Cesarini" dalla corsa al vertice dell´Eurogruppo. E, nei giorni scorsi, l´ultimo schiaffo: nella girandola della riorganizzazione degli ambasciatori Ue, Roma è uscita con le ossa rotte: due sedi conquistate (Albania e Uganda) su 29, contro le 5 della Spagna e i pezzi più pregiati (Cina e Giappone) finiti a Germania e Austria.
Un eccezione? No, purtroppo è la regola. «Siamo nel punto più basso della nostra diplomazia degli ultimi 65 anni», dice amaro Pino Arlacchi, dal ´98 al 2002 vicesegretario generale dell´Onu.
Certo l´Europa si è allargata, il G-7 è stato rottamato dal G-20, ci sono più paesi a contendersi le stesse poltrone in tutti gli organismi internazionali. Ma mentre la concorrenza qualche vittoria di bandiera la porta a casa, l´Italia no. E quando ha candidati a 18 carati (come Mario Draghi per la Bce o il Fondo monetario) provvede a silurarli con il fuoco amico. A cavallo del millennio avevamo Romano Prodi al vertice Ue, Mario Monti ed Emma Bonino seduti sulle poltrone più pesanti di Bruxelles, Renato Ruggiero numero uno del Wto, l´organizzazione del commercio mondiale, Arlacchi responsabile della guerra alla droga per le Nazioni Unite. Oggi a Bruxelles abbiamo Antonio Tajani con un portafoglio molto più magro (l´industria) al Wto siamo a secco, all´Onu abbiamo appena perso la poltrona che fu di Arlacchi prima e Costa poi (passerà a un russo). «La sommatoria di direttori, vicedirettori generali e posti nei gabinetti Ue degli italiani è invariata», ama ripetere il ministro degli Esteri Franco Frattini. Anzi, secondo alcuni calcoli, sono addirittura aumentati rispetto al Duemila.
Peccato che le poltrone in diplomazia internazionale, come avrebbe detto il numero uno di Mediobanca Enrico Cuccia, si pesano e non si contano. «E´ vero, le nostre posizioni a livello aritmetico sono rimaste invariate - conferma Paolo Magri, direttore dell´Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) e docente a Pavia di organizzazioni internazionali - . Ma la verità è che il peso specifico dell´Italia in queste istituzioni è calato di molto. I direttori Ue hanno portafogli con budget ridotti o marginali rispetto a quelli di dieci anni fa. All´Onu dall´epoca di Giandomenico Picco siamo ridotti all´osso. L´unica consolazione è che teniamo la posizione tra i giovani e i quadri, grazie al lavoro di formazione degli ultimi 20 anni».
I motivi della débacle? «Sono due - dice Magri -: primo è che da due decenni presentiamo sempre gli stessi candidati per le poltrone apicali. Poi che l´immagine del paese all´estero è obbiettivmaente deteriorata». Morale: «L´Italia è marginalizzata nei posti chiave europei», come ha ammesso il ministro delle politiche comunitarie Andrea Ronchi dopo la trombatura di Ettore Sequi a inizio anno come inviato Ue in Afghanistan (Bruxelles ha scelto un lituano), ruolo che aveva coperto con grande capacità organizzativa riconosciutagli da tutti e per il quale la riconferma pareva scontata.
L´Italia, per fortuna, tiene botta nelle grandi organizzazioni economiche. Lorenzo Bini Smaghi ha sostituito Tommaso Padoa Schioppa nel comitato esecutivo Bce. Il dipartimento fiscale del Fondo monetario è ancora in mano a Roma grazie a Carlo Cottarelli. Abbiamo perso la vice-presidenza Bers ma il segretario generale Enzo Quattrociocche ha un ruolo importante nell´organizzazione e in Banca Mondiale con la direzione finanziaria a Vincenzo La Via siamo ben rappresentati. Peccato che alla partita più importante dei prossimi anni, quella per la nomina del numero uno della Banca centrale europea nel 2011, l´Italia rischia di collezionare la quinta (e questa volta pesantissima) sconfitta. Abbiamo un candidato la cui autorevolezza non è in discussione, Mario Draghi.
Un governo che a parole lo sostiene ma che nei fatti (forse per il rapporto non proprio idilliaco tra il governatore della Banca d´Italia e Tremonti) pare più che altro impegnato a mettergli i bastoni tra le ruote favorendo la candidatura di Axel Weber. Il rischio è che finisca come al solito: un asse franco-tedesco che finisca per garantire a Bonn e Parigi l´ennesimo posto in prima fila nella stanza dei bottoni dell´economia Ue. Noi ci consoleremo con qualche strapuntino in piccionaia.