PIERANGELO SAPEGNO, La Stampa 17/9/2010, pagina 17, 17 settembre 2010
Alberto e Charlene, nozze in piazza - Tra le invitate più in vista alla cerimonia nuziale di Alberto e Charlene ci sarà Pauline Ducruet, figlia sedicenne di Stéphanie e di Daniel Ducruet e grande speranza per il Principato nella disciplina dei tuffi (ma ai Giochi olimpici giovanili di Singapore, a fine agosto, qualcuno è rimasto deluso dal suo dodicesimo posto)
Alberto e Charlene, nozze in piazza - Tra le invitate più in vista alla cerimonia nuziale di Alberto e Charlene ci sarà Pauline Ducruet, figlia sedicenne di Stéphanie e di Daniel Ducruet e grande speranza per il Principato nella disciplina dei tuffi (ma ai Giochi olimpici giovanili di Singapore, a fine agosto, qualcuno è rimasto deluso dal suo dodicesimo posto). Specialista nel tuffo da tre metri, Pauline divide con la zia la passione per le piscine. Per lei è pronto il ruolo di damigella d’onore. Molta attesa anche per un’altra nipote del principe già espostissima ai media: Charlotte Casiraghi, 24 anni, figlia terzogenita di Caroline. Il suo matrimonio, ha detto il principe Alberto chiacchierando con i giornalisti, «non sarà celebrato nella Cattedrale, ma sulla piazza del Palazzo». La data è confermata: 2 luglio del prossimo anno. La sposa pure, ovviamente: Charlene Wittstock, 32 anni, atleta sudafricana, alta e bella. Ma il modo e il luogo sono rivoluzionari. Alle nozze civili, gli invitati saranno una cinquantina appena. Per quelle religiose, «circa un migliaio», dice il Principe, ma in mezzo alla sua gente, davanti alla folla, come se fosse il matrimonio di qualcuno di loro. Il 18 aprile 1956, suo padre, Ranieri III, e l’attrice Grace Kelly si erano sposati, davanti a 30 milioni di spettatori, ripresi in Eurovisione, nella cattedrale, «in stile romanico, imbarocchito e lucidato», come raccontavano le cronache dei giornali, mentre fuori «erano schierati i picchetti dei carabinieri impennacchiati e dei marinai delle 4 marine militari rappresentate», con i secchi comandi che raggiungevano anche gli sposi, dentro, «fin presso l’altare». Gli squilli delle trombe e le marce guerresche si mischiavano stranamente alle musiche di Bach e di Mozart. Ma quello era un matrimonio che rappresentava una favola regale, e quasi la nascita di un Regno: fra i broccati delle poltrone e i tappeti, le signore, per desiderio della Corte, non portavano abiti rossi e bianchi - i colori ufficiali di Monaco - e neppure neri, perché di cattivo augurio. Officiava il vescovo, monsignor Gilles Barthe. Le omelie, lunghissime, furono due: una in francese e una in inglese. «Grace teneva tra le mani un mazzetto di mughetti». Il matrimonio di Alberto sarà l’opposto. C’è in tutto questo, non solo il cambiamento di un principe, ma anche di un’epoca. Se Ranieri di Monaco ha potuto morire sapendo di essere riuscito a trasformare un regno a sua immagine e somiglianza, nel breve spazio di una vita, il suo erede adesso sta cercando di riconsegnare quel regno alla sua gente, di rimodellarlo sulle scansioni della modernità. Quando Ranieri III era salito al trono, l’11 aprile 1950, Montecarlo era solo un appartamento sulla Costa Azzurra, nient’altro che un casinò e qualche austero palazzo Liberty affacciato sopra i tornanti a picco sul mare, un posto da vecchi ricordi e vecchi nobili, che venivano qui a svernare guardando le onde morire sugli scogli. Gli stessi principi di Monaco vivevano a Parigi, comandavano dalla capitale. Lui cambiò tutto, non solo la sua residenza, trasferita sotto la Rocca: nel lampo di un’esistenza appena, costruì e ricostruì tutto, e in questo lembo di terra che poi è più piccolo del Central Park di New York, più piccolo di Lambrate, o più piccolo delle Vallette, ci portò di tutto, barche, miliardi e potenti, cemento e attori, i sogni e i paradisi, anche quelli di equivoca memoria, tutto in questa baia, dai grattacieli all’alta finanza, dai grandi gialli alle fiabe di rotocalchi, trasformando questo posto in un centro di discretissimi e talvolta poco chiari intrighi finanziari, in una capitale di fiere e falò delle vanità, un rifugio di ricchi e belle donne, piloti di F1 e attori, ma soprattutto imprenditori, affaristi, banchieri e faccendieri di mezzo mondo. Il matrimonio con Grace Kelly rispondeva a queste esigenze, alla spinta innovativa della sua epoca. Il 4 aprile 1956 Grace Kelly s’imbarcava sul transatlantico Constitution con 82 persone al seguito e 60 bauli, per approdare a Monaco e non tornare più indietro. A modo suo, anche inconsapevolmente, Grace serviva a quel progetto: richiamava torme di turisti americani, contribuiva a rilanciare Montecarlo e a far arrivare denaro fresco e moneta forte. Quelle nozze favolose con 30 milioni di telespettatori e gli sposi che passavano, uscendo dalla cattedrale, «fra una densa, irrequieta spalliera di militari, di carabinieri, di palafrenieri, di gentiluomini di Corte in frac», come raccontavano le cronache dell’epoca, «con le grida della folla ammassata giù per la discesa», quelle nozze rappresentavano in tutto e per tutto, e non solo simbolicamente, l’immagine che il Principato doveva offrire al mondo in quel momento. Alla stessa maniera, Alberto, oggi, riconsegna alla sua gente il Principato, e annuncia di farlo con la più importante manifestazione pubblica della sua vita privata, scendendo in mezzo a loro per sposarsi e fare festa, uscendo dal Tempio per entrare in una piazza, assieme alla folla. E se poi dovesse piovere e rovinare tutto, «non può piovere su Montecarlo», come dice lui scherzando con i giornalisti. Non adesso, almeno.