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 2010  settembre 17 Venerdì calendario

L’ULTIMO RIVOLUZIONARIO DI PROFESSIONE


Di certi antichi artisti circensi si narra che riuscissero a piegare le sbarre con la sola rabbia dei denti. Questa è la storia di un muratore spagnolo che, con mezzi giusto un po’ meno rudimentali, è riuscito a piegare la più grande banca del mondo. Come? Lucio Urtubia verrà in Italia a raccontarlo: oggi a Bologna, il 22 a Udine.
Adesso ha quasi ottant’anni. Ne aveva dodici quando gli esplose la collera. Siamo nella Navarra profonda del dopoguerra civile. Suo padre sta morendo di cancro, sul letto di casa. Soffre come un cane. « Non avevamo neppure i soldi per comprargli
un’aspirina ». Siccome Lucio è il più spavaldo di sei figli, il vecchio lo scongiura: « Fammi vedere se hai davvero le palle: uccidimi ». Il ragazzino si catapulta in cucina, afferra un
coltellaccio. Ma poi scappa in paese. «C’era un ufficetto della cassa di risparmio. Dentro una sola impiegata. A sera, la potevi vedere attraverso le finestre che contava i soldi. Per due volte mi sono presentato con l’intenzione di portarmi via tutto. Ma non ce l’ho fatta. Se avessi ammazzato quella donna, la mia vita sarebbe andata in tutt’altra direzione. Peggiore».
Da quel momento, Lucio diventa il più disciplinato dei ribelli.
Durante la naja si comporta da soldatino obbediente, magazziniere. Sotto sotto però sgraffigna all’esercito derrate d’ogni tipo e le smercia di contrabbando. Finché non lo pizzicano. Se la svigna in Francia. Ladro e disertore. Impara a fare il muratore. Costruire gli piace un sacco.
I colleghi gli chiedono come la pensi politicamente. E lui : «Sono comunista». Giù risate. «Tu comunista? Ma ti sei visto? Sei un anarchico sputato». E fu così che in Lucio Urtubia s’accese la fiaccola dell’anarchia. A Parigi frequenta i gruppi libertari. L’adesione non è solo sentimentale: tra un cantiere e l’altro rapina banche. A sovvenzionare detenuti e dissidenti. Antifranchisti ma non solo. «Però non ero tagliato per quel lavoro. Mi pisciavo sotto. E non in senso metaforico». La sua vocazione è un’altra : falsario. Assieme a tipografi anarchici sfornano carte d’identità, patenti, passaporti, denaro. Nel 1962, il ministro cubano Ernesto Che Guevara è in visita a Parigi. Lucio lo incontra all’aeroporto. E gli rivela: «Il dollaro non è difficile da falsificare. Abbiamo raggiunto risultati quasi perfetti». Gli propone di trasformare Cuba in un’immensa stamperia di valuta fasulla: «Con un governo alle spalle, possiamo far fallire l’America». El Comandante lo ascolta
con gelido sconcerto. Riparte senza una parola.
Magari non l’America, ma per piegare la più potente delle sue banche è solo questione di anni. Tra fine 70 e inizio 80, Lucio e gli altri del mucchio mettono in circolazione una marea di Traveller Cheque della First National City Bank, impeccabilmente imitati. Ne spacciano in mezzo mondo. Senza il minimo problema. La banca allerta tutte le filiali ma niente da fare. Partoriti da matrici perfette, gli assegni sono identici a quelli veri. A incassarli sono «compagni » travestiti da turisti.
Quando le perdite sforano i venti milioni di dollari, la City Bank perde le staffe. Vengono mobilitati i servizi segreti francesi. Lucio comincia a sentirsi pedinato. Lo è. «Al volante, per capire se un’auto mi seguiva, im- boccavo un senso vietato. Se la macchina continuava a tallonarmi, signiicava che erano sbirri». Però la sua doppia vita è perfetta, come quelle matrici. I flics non hanno nulla su di lui. Devono cambiare strategia.
«Un giorno alcuni compagni mi presentarono un nordamericano. Tipo in gamba. Conosceva tutti i focolai rivoluzionari della terra. Voleva comprare Traveller Cheque. Era
pieno di dollari. Non mi fidavo. Ma, tra mille precauzioni, organizzai un primo scambio. Filò liscio, ma era un’esca». Nel luglio 1980 Lucio Urtubia si presenta al caffè Les Deux Magots con una valigetta imbottita di falsi cheques. In pochi secondi i flics gli sono addosso. «Mi portarono al ministero degli Interni. Alcuni di loro mi fecero i complimenti per il lavoro svolto. C’era da capirli. Quei falsi erano d’una tale bellezza. Avrebbe
dovuto vederli» dice con un groppo di commozione.
Gli investigatori lo hanno in pugno ma lui non parla. Ha scaltri avvocati gauchisti. Decorrono i termini di carcerazione. Lucio torna fuori in libertà vigilata. E subito si dà alla macchia. Al giudice invia una lettera in cui, con estrema cortesia, spiega
perché non intende tornare in cattività. Ma i legali lo convincono ad affrontare il processo. La City Bank lo vuole in galera. Però il muratore anarchico è in posizione di forza: in quei mesi, lo spaccio di assegni falsi è andato avanti a pieno ritmo. Un dissanguamento silenzioso, devastante. Per fermarlo basterebbe una parola di Lucio. Che alla fine propone: «Metteremo fine al traffico. E vi consegneremo le matrici. Ma in
cambio di soldi». E tanti. Sessanta milioni di vecchi franchi, in contanti. Che dalle casse della banca finirono tra le braccia della rivoluzione. In che modo? Sarà Lucio Urtubia a spiegarvelo. In Italia o se lo andate a trovare a rue des Cascades, un frammento di Belleville dove Parigi sembra ancora un villaggio. Casa sua è sempre aperta. Ne ha trasformato un pezzo in centro sociale/culturale. Intitolato a Louise Michel, la pasionaria della Comune parigina. Lucio ci vive con la moglie
francese. Pensionato sereno ma non domo, di esplosivo, ormai, conserva solo le memorie. Compreso il mancato rapimento di Michel Platini. Fatevi raccontare pure quello. È altra materia da romanzo.