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 2010  settembre 17 Venerdì calendario

E ora gli italiani cercano anche i lavori “da immigrati” - Dunque la novità è questa: colpiti dalla crisi, noi italiani ci siamo rimessi a fare i lavori umili che avevamo sdegnato; e gli immigrati, che per anni hanno tappato i buchi e pure ridotto i costi per le imprese, adesso non servono più

E ora gli italiani cercano anche i lavori “da immigrati” - Dunque la novità è questa: colpiti dalla crisi, noi italiani ci siamo rimessi a fare i lavori umili che avevamo sdegnato; e gli immigrati, che per anni hanno tappato i buchi e pure ridotto i costi per le imprese, adesso non servono più. «Non c’è più lavoro per gli immigrati», era il titolone della prima pagina de La Padania di ieri. «Fanno fatica a trovare lavoro perché gli italiani hanno iniziato a rimboccarsi le maniche?», chiede un giornalista del quotidiano; e il senatore leghista Massimo Garavaglia, vicepresidente della Commissione Bilancio, risponde: «Questo è un aspetto della crisi. Se nel breve periodo i nostri connazionali non ci pensavano, ora sono pronti a fare anche lavori umili». «L’extracomunitario senza più occupazione rischia di diventare ancora di più una persona appetibile al mondo del sommerso», scrive La Padania, che passa quindi dalla diagnosi alla terapia: «Ecco perché la vera sfida che attende la politica e il mondo del lavoro e quello sindacale è di promuovere formule nuove che incentivino gli immigrati senza più lavoro a tornare nel loro paese». Conclude l’articolo: «Contro la clandestinità e l’occupazione in nero ci vuole il pugno di ferro». Il punto di partenza del discorso de La Padania è un dato reale che emerge da uno studio serio: quello della Camera di Commercio di Monza e Brianza. In sintesi. Fino al 2005, ogni tre assunti uno era immigrato. Adesso è immigrato uno ogni sei. Meno ancora dell’intera Lombardia, passata da uno su tre a uno su cinque. Per dare un’idea di quanto sia indicativo il «campione», si tenga presente questo: la provincia di Monza e Brianza è una delle zone più ricche e produttive del Paese – «il Giappone d’Italia», si diceva una volta – la sua Camera di Commercio rappresenta 90 mila imprese con 260 mila occupati e il suo indice di apertura commerciale (tradotto per i non addetti: il volume di import-export diviso il numero delle imprese) è il doppio di quello di Milano e il triplo della media nazionale. Eppure anche qui la crisi s’è fatta sentire: meno trenta per cento nel manufatturiero dal 2008 al 2009. Quanto a prospettive per gli immigrati, Monza e Brianza stanno peggio del resto della Lombardia. In totale, comunque, lo studio annuncia che nell’intera regione «non c’è più lavoro per undicimila immigrati». Renato Mattioni è il segretario generale della Camera di Commercio. Ci riceve nel suo ufficio nel centro storico di Monza, con vista sul Lambro. «Lo sa che cosa mi hanno appena riferito? Che qui a Monza c’è stato un corso per badanti e si sono presentate soltanto donne italiane. Sì, in parte è vero che stiamo ricominciando a fare i lavori che non facevamo più, e che avevamo lasciato agli immigrati», racconta. Tuttavia Mattioni non è convinto che la perdita di posti regolari aumenti automaticamente il lavoro nero: «Gli immigrati – dice – lavorano soprattutto nell’edilizia e nel metalmeccanico. Sono settori che hanno risentito certamente della crisi. E allora, che cosa fanno questi immigrati adesso che c’è meno richiesta? Alcuni tornano a casa, e certamente qualcun altro lavorerà un po’ in nero. Ma la maggioranza apre imprese individuali, soprattutto nell’edilizia; sono ditte che lavorano spesso per subappalto, e guardi che fanno meno sommerso loro di tante ditte italiane, perché sanno di essere nel mirino e temono i controlli». Eppure La Padania ha scritto, a riprova del diminuito bisogno di immigrati, che oltre agli undicimila posti di lavoro in meno previsti in Lombardia «va anche ricordato come solo l’anno scorso abbiano chiuso la propria ditta individuale 5.334 piccoli imprenditori extracomunitari». Un dato che Mattioni conferma ma contesta al tempo stesso: «Ma sì, è vero che hanno chiuso 5.334 imprese individuali di immigrati: ma sono molte di più quelle che hanno aperto». Mostra i numeri dello studio: in Lombardia dal 2008 al 2010 le imprese individuali di italiani sono calate (meno 2,2 per cento le donne e meno 4,3 gli uomini) ma quelle di stranieri sono cresciute: più 16,4 per cento le donne e più 8,8 gli uomini. Insomma che cosa ci aspetta? Un futuro con meno immigrati, come auspica la Lega, o con immigrati che si sono trasformati da dipendenti in piccoli imprenditori? «L’idea di aiutarli nei loro paesi non è sbagliata – dice Mattioni –. Credo però che non ci saranno meno immigrati di oggi. Anche se non torneremo ai livelli pre-crisi».