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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

Gul Hamid

• Sargodha (Pakistan) 20 novembre 1936. Militare • «Gli analisti occidentali considerano Hamid Gul l’anima nera del Pakistan. Ex generale dell’esercito, ma soprattutto ex capo dei temutissimi servizi segreti pachistani (Isi), Gul è l’uomo che ha creato i Taliban afgani e ha contribuito all’ascesa della stella di Osama Bin Laden. Con i soldi che tramite lui la Cia fece arrivare in Afghanistan fu finanziata la jihad contro i sovietici negli anni ’80; sotto la sua guida gruppi di guerriglieri sperduti si trasformarono in combattenti feroci e determinati. Dopo la cacciata dei sovietici Gul cambiò fronte: attaccò gli ex amici americani fino a dichiarare pubblicamente, nel gennaio 2001, appoggio a Bin Laden. Nemico giurato di Benazir Bhutto - che dopo l’attentato seguito al suo ritorno in patria, nell’ottobre 2007 lo accusò di essere il mandante di quelle bombe - ma anche di Pervez Musharraf, che lo ha fatto arrestare, Gul è uno degli uomini più potenti del Pakistan. E una delle chiavi del suo futuro. [...]» (Francesca Caferri, "la Repubblica" 19/8/2008) • «Ex direttore dei servizi segreti. Testa schiacciata, guance da porcellino, baffetti, camicia nera. Sul tavolo in mezzo al suo salotto c’è un pezzo del muro di Berlino. È un dono con targa di un’altra intelligence, quella della Germania occidentale: “All’uomo che tanto ha fatto per buttarlo giù”. Gli spioni tedeschi si riferiscono alla gigantesca campagna segreta – la guerriglia anti Armata Rossa nel vicino Afghanistan – che stremò l’impero sovietico e accelerò la sua fine. Nel salotto del generale, capo delle spie tra l’aprile 1987 e l’agosto 1991, manca però una targa da parte di Osama bin Laden, anche se il capo arabo ha molte più ragioni per essergli grato. Gul è il generale che ha salvato al Qaida dalla distruzione, per due volte. L’ex direttore dei servizi segreti è un personaggio pubblico in Pakistan e anche nel resto del mondo [...] Anche i servizi americani lo interrogherebbero volentieri, ma lui è troppo noto e temono di provocare il sentimento popolare. Ma è un innamorato dichiarato di al Qaida: “L’occidente ha la Nato, perché il mondo islamico non dovrebbe avere la propria brigata internazionale di volontari?”. Il 20 agosto del 1998 l’America lancia un attacco con missili contro i campi d’addestramento in Afghanistan. Settantacinque missili Tomahawk contro il campo di Zawhar Kili. Più di trentatré tonnellate di esplosivo. Osama bin Laden sopravvive perché riceve una soffiata in anticipo: stanno seguendo il tuo telefono satellitare, spegnilo e scappa. Simon Reeve, ex ufficiale della Cia, sostiene in un libro del 1999 (“I nuovi sciacalli”) che “Bin Laden è stato avvisato per tempo dai suoi sostenitori dentro l’Isi”. L’episodio è controverso. Il New Yorker scrive nel gennaio 2000 che i militari americani avrebbero dovuto avvertire i pachistani soltanto dieci minuti prima del lancio, per evitare equivoci. Il generale americano Joseph Ralston quella sera va pure a cena con il capo di stato maggiore dell’esercito ospite, Jehangir Karamat, per dirglielo in tempo reale. Ma il Pakistan indovina tutto con parecchie ore d’anticipo. “La marina mi aveva promesso che avrebbe lanciato i missili da sotto la superficie dell’oceano – scrive Richard Clarke, ex “zar del controterrorismo” di Bill Clinton, nel suo libro “Against All Enemies” – invece hanno sparato dalle navi di superficie, ed erano presenti anche più navi del necessario perché ogni comandante voleva poter dire di aver partecipato all’azione”. È l’esatto contrario di un’operazione discreta. Inoltre quel giorno 180 diplomatici americani lasciano il Pakistan all’improvviso su un volo charter, per evitare le possibili, tese manifestazioni di piazza. Osama ormai avvertito annulla un summit con gli altri leader di al Qaida e fugge a centinaia di chilometri di distanza. Sotto i missili, però, muoiono due agenti pachistani dell’Isi. Come chiede Christopher Hitchens: che ci facevano in un campo d’addestramento afghano di al Qaida? Nel 2003 Clarke dice al New Yorker: “Ho ragione di credere che è stato un ex direttore dell’Isi a passare ad al Qaida l’informazione sull’attacco imminente”. Il riferimento semiesplicito è contro Gul. Del resto è lui, “il Padrino dei talebani”, a vantarsi in alcune intercettazioni. Un anno dopo l’attacco, nell’agosto 1999, rassicura “i ragazzi” che gli americani non vogliono colpire di nuovo per uccidere Bin Laden: “Vi avviserei in anticipo no? Come la volta scorsa”. Nel novembre 2001 Gul deride sui giornali la Cia, perché nella guerra contro i talebani si affida ai colleghi pachistani dell’Isi. “Chi dipende dall’intelligence altrui, specie da quella di chi se la intende con il nemico, è uno stupido”. Un agente della Cia ammette: “Gli stessi pachistani che hanno fabbricato i talebani ora fanno le traduzioni per noi. Il nostro più grande errore è permettere all’Isi di essere i nostri occhi e orecchie”. Poi arrivano dicembre e gennaio. La leadership di al Qaida in teoria è assediata nei bunker sui monti. Uno dei lati è tenuto dalle forze pachistane che in gran numero sbarrano la strada verso il Pakistan. Ma Bin Laden, il vice egiziano Ayman al Zawahiri e gli altri leader svaniscono nel nulla. Anche il mullah Omar, capo senza un occhio dei talebani, lascia il paese. La leggenda vuole che lo faccia a bordo di una motocicletta. A Dir, Chitral e nel Bajaur, sul confine, non si vede nemmeno un soldato. Yunus Qanooni, ministro dell’Interno afghano, incolpa “elementi dentro l’Isi”: “Hanno coperto la loro fuga”. La Cia accusa di nuovo Gul [...] Il bello del generale Hamid Gul è che sa giocare benissimo sul lato sporco facendo credere di essere su quello pulito. C’era lui l’anno [...] alla testa delle marce di avvocati, a reclamare democrazia contro il generale Musharraf. Ovvio che stava agendo per sbarazzarsi del presidente – uno dei suoi apprendisti quando erano assieme all’Isi – ormai troppo schierato dalla parte degli americani. Quando Musharraf ha liquidato il presidente della Corte suprema lo ha fatto per bloccare i ricorsi ufficiali presentati dalla banda di Hamid Gul contro la collaborazione segreta del Pakistan con la Cia. Ma la mossa gli si è ritorta contro, e in un anno le proteste e la delegittimazione lo hanno portato alle dimissioni. Hamid Gul ha impersonato per tutto il tempo la parte dell’Aung San Suu Kyi, dissidente democratico in lotta contro il dittatore. Quando [...] Benazir Bhutto lo ha accusato di tramare con al Qaida e i talebani pachistani per assassinarla, Gul ha fatto sporgere dal suo avvocato Maqsood Hussain Qureshi una ineccepibile querela “per danni da stress emotivo”: “È incredibile quanto si possa scendere in basso nella competizione politica”. Bhutto è morta con puntualità due mesi più tardi, in un attentato complesso compiuto da sicari a bordo di motociclette e attentatori suicidi» (Daniele Raineri, "Il Foglio" 23/9/2008) • «Tra i nomi menzionati dai Wikileaks che rivelano rapporti segreti dell’intelligence Usa sui legami dei servizi pachistani (Isi) con i taleban, quello che viene fuori più frequentemente è il generale Hamid Gul, direttore dell’Isi dal 1987 al 1989. È citato in otto rapporti: uno lo accusa di aver introdotto in Afghanistan mine magnetiche che dovevano servire ad attaccare le truppe Nato. Un altro descrive il suo complotto per rapire membri dello staff delle Nazioni Unite da scambiare poi con i miliziani pachistani imprigionati. Un documento del gennaio 2009 racconta di un incontro nella cinta tribale del Pakistan tra Gul e i guerriglieri arabi per progettare azioni suicide in Afghanistan. "Non è chiaro se Gul avesse informato l’Isi o agito con il suo consenso", sostiene il rapporto degli americani. "I rapporti sono un’invenzione", replica il generale. "La maggior parte dei documenti si basano su informazioni fornite dall’intelligence afghana, poco preparata e incompetente". In effetti, molti dei documenti sono molto vaghi, pieni di dettagli contraddittori, spesso palesemente falsi. [...] Gul invita a guardare meglio alle "contraddizioni dei rapporti": "Ho lasciato l’esercito pachistano molto prima dell’emergere del movimento taleban. Non ho mai incontrato i loro leader. Invece conosco bene i protagonisti del gioco che li hanno preceduti. Avevo buoni contatti con i leader dell’Alleanza del Nord, una formazione anti-taleban". [...]» ("La Stampa" 27/7/2010).