Luca Pakarov, Rolling Stone settembre 2010, 16 settembre 2010
ATENE BRUCIA, IL MONDO TACE
Exarchia, ultima fermata. Dopo il 24 giugno, giorno dell’uccisione di un funzionario del ministero degli interni per un pacco bomba, i controlli intorno al quartiere Exarchia di Atene sono aumentati. Si noti bene intorno, non dentro. Già, perché qui la polizia per intervenire deve essere scortata dai Mat, gruppi speciali antisommossa noti alle cronache per i loro metodi poco ortodossi, che si addentrano solo quando il governo sollecita arresti mirati, di solito i giorni successivi alle grandi manifestazioni che ormai si ripetono settimanalmente. Le deflagrazioni in Grecia negli ultimi mesi si sono moltiplicate, molti credono che siano il trampolino per una nuova strategia di lotta, un passo in più verso uno scenario che nessuno si azzarda a chiamare guerra civile ma che, da come mi descrivono il prossimo futuro alcuni ragazzi del giardino autogestito fra via Trikoupi e Metaxa, non è troppo dissimile. Uno studente del politecnico che dice di chiamarsi Evgenios si spinge più in là e parla di armi, armi rubate alla polizia, armi arrivate dalla frontiera, sia come sia, armi che sono nel quartiere e di certo non custodite nella teca di un collezionista.
Settembre ottobre. In ogni chiacchierata avrò sempre la stessa conferma, settembre ottobre, come termine ultimo di questa mezza tregua con il potere, settembre ottobre come termine primo di quella rivolta che ha però la sensibilità di non compromettere l’unica azienda funzionante, quella del turismo. Inteso che ciò garantirà ai dimostranti un appoggio maggiore degli isolani.
L’Exarchia è il quartiere dove circa un anno e mezzo fa è stato ucciso il quindicenne Alexis Grigoropoulos, è il quartiere che molti media si sforzano di definire il più caldo d’Europa. L’Exarchia la puoi riconoscere anche dalla polizia appostata nei crocicchi alberati che ne delimitano il perimetro, poco fa i Mat erano in via Asklipiou, a gruppi di tre, con la loro divisa verde, il fucile per i lacrimogeni e lo scudo antisommossa. C’è anche un furgone blindato da cui gli agenti salgono e scendono. Chiedo a un edicolante se sia normale. E’ normale, le provocazioni dei Mat sono all’ordine del giorno, mi dice, il quartiere vive in pace ma se volessero fare anche solo una multa dovrebbero intervenire in dieci. E non ne uscirebbero.
La scena ricorda alcune foto degli anni ’70, sotto il regime militare, che si possono scorgere fra le migliaia di manifesti con cui sono tappezzati i muri del quartiere e che sembrano avvisare una deriva che se molti temono, altri si auspicano. Da un lato e dall’altro. Già perché arrivati a questo punto c’è da aggrapparsi a qualcosa e la sommossa, anche se può uccidere, è fede e gioia, dal momento che il presunto benessere non annovera la pace fra i suoi valori fondanti. Da qui si capisce che siamo spacciati, tutti, visto che autentici piani d’emergenza non ce ne sono.
Per le strade regna la calma, si gioca a scacchi, alla dama, al tris, in alcune vie ci sono tavoli da pingpong, nella piazza Exarchia c’è un canestro dove si sfidano un capellone contro due ragazze con sandali, gonnellino e leggings scuri. Il tutto all’ombra rassicurante di un cameratismo sentimentale, da compagni di scuola. Al quartiere vorrebbero tappare la bocca, ci hanno provato con la perizia balistica sul proiettile che ha colpito Alexis, di rimbalzo, per difesa hanno detto. Curioso è il fatto di come un figlio della ricca borghesia ateniese (la famiglia di Alexis possiede una nota gioielleria a Kolonaki e vive in uno dei quartieri esclusivi della città) sia diventato il simbolo di un movimento anarcorivoluzionario.
In pochi mesi ha scioperato ogni tipo di lavoratore, pescatori, contadini, piccoli imprenditori, impiegati, professori, ospedali, banche, uffici pubblici e via dicendo. Racconto a Georgios, attivista di uno dei mille gruppi anarchici della città, che tempo fa su l’Unità ho letto l’intervista a uno scrittore greco che li definiva “figli degeneri senza progetto ed idealità”. Georgios mi risponde che oggi non servono ideali o progetti insurrezionalisti per dar fuoco a banche o a case di politici. Si cerca di farli passare per una manica di svitati ma poi, quando ti siedi solo in un bar, poco a poco vieni inglobato da una tavolata numerosa, in cui non manca un professore universitario, un ricercatore, uno appena tornato dall’India. Vogliono sapere come va da noi, si gioca a ribasso sulle scempiaggini dei rispettivi governi. Prostituzione e corruzione, potere e clientelismo, ma il piatto se lo aggiudica l’omicidio di stato, argomento granitico di ogni buon greco dell’Exarchia. Oh, sia chiaro, anche da noi viene praticato continuamente, ma è difficile render conto del motivo per cui non mettiamo a ferro e fuoco una città. Almeno che non ci sia il calcio di mezzo.La miccia è accesa e il suo folle scintillio lentamente si avvicina a settembre ottobre.