Alessandro Calvi, Il Riformista 16/9/2010, 16 settembre 2010
PIETRO ICHINO: «MEGLIO MARCHIONNE O GOMORRA?»
Il governo italiano a tre giorni dall’episodio non ha ancora fornito (speriamo che lo faccia oggi il sottosegretario Stefania Craxi davanti alle commissioni Esteri di Camera e Senato) una ricostruzione degli avvenimenti. Le cose che non sappiamo sono le seguenti: non sappiamo dove è avvenuta l’intercettazione del peschereccio italiano da parte della motovedetta libica, non sappiamo se una volta intercettato il peschereccio abbia avuto la possibilità di spiegare la propria collocazione in mare e i propri compiti, non sappiamo se vi sia stato o no un inseguimento in mare (il comandante del peschereccio sostiene di essere fuggito per cinque ore), non sappiamo la ragione per cui i colpi siano stati sparati ad altezza d’uomo allo scopo di uccidere o di ferire, non sappiamo quale ruolo abbiano svolto durante l’operazione militare i nostri finanzieri che assistevano i libici. Il ministero degli Interni fa sapere che i nostri finanzieri erano sottocoperta come da regolamento. Questo per quanto riguarda i fatti.
Per quanto riguarda le regole di ingaggio non sappiamo quali ordini siano stati dati ai militari italiani imbarcati sulle motovedette libiche e quale comportamento debbano assumere in caso di scontro. Il ministero degli Interni ha fatto sapere ieri che i nostri finanzieri, come da regolamento erano sottocoperta nel momento del fuoco: questo vuol dire che l’ipotesi di un loro coinvolgimento in azioni di guerra è stato previsto e accettato? Non sappiamo, quindi, se negli accordi di cooperazione fra Italia e Libia sia stato previsto l’uso della forza pur di fermare ad ogni costo i vascelli di migranti. Non sappiamo come il governo intende tutelare i nostri pescatori di fronte alla pretesa della Libia di estendere le proprie acque territoriali fino a comprendere spazi internazionali. In pratica non sappiamo niente e temiamo che anche il governo non sappia quel che ha firmato.
Le dichiarazioni dei ministri sollevano anche un’altra questione. Prendendo per buone le due giustificazioni date da Maroni e da Frattini («Il peschereccio sembrava portasse clandestini», ovvero «il peschereccio pescava in acque libiche») sarebbe interessante sapere se i ministri ritengono accettabile che per reazione la Libia decida di sparare.
In verità da quel che si è capito l’attacco libico è avvenuto a freddo. Era evidente che la barca italiana non portava passeggeri, è discutibile che pescasse fuori dalle acque internazionali. Siamo stati probabilmente usati dalla Libia per una manifestazione di predominio sulle acque circostanti. Gheddafi ha voluto in qualche modo compromettere gli italiani per raggiungere due obiettivi. Da un lato coinvolgerci in una gestione atroce dell’azione di contrasto all’immigrazione clandestina, dall’altro ottenere il nostro avallo all’allargamento dei confini in mare della propria sovranità. La situazione, se non fosse tragica, sarebbe ridicola. Saremmo stati posti per la prima volta davanti a due decisioni che non abbiamo preso. La prima è quella di contrastare con l’uso della forza l’avvicinamento di vascelli carichi di immigrati. La seconda è quella di avallare le mire espansionistiche di un paese dirimpettaio.
C’è un aspetto morale in questa storia. Prendiamo per buona la tesi di Maroni. I libici hanno sparato credendo di colpire un’imbarcazione carica di immigrati. È accettabile? Ricordo che quando il 28 marzo del ’97 la nave militare italiana Sibilla speronò nelle acque d’Otranto una carretta del mare carica di albanesi provocando morti e feriti l’opinione pubblica reagì con grande sdegno. E unanime fu la condanna della proposta leghista di bombardare in mare le navi piene di disgraziati in cerca di fortuna in Italia. Numerosi invece sono stati i casi di salvataggi effettuati da pescherecci italiani e da imbarcazioni militari. L’Italia non può accettare che in nome di un trattato bilaterale la Libia con mezzi italiani e in presenza di militari italiani decida di sparare su questa umanità sventurata. Il governo non l’ha detto. Deve dirlo con chiarezza e se la Libia non è d’accordo il trattato va ridiscusso. Del resto alla Libia dobbiamo anche chiedere come mai abbia chiuso l’ufficio dei rifugiati dell’Onu a Tripoli con la conseguenza che chi fugge dalle torture e dalle prigioni non ha più un tutor a cui rivolgersi.
Prendiamo per buona invece la tesi di Frattini. Il peschereccio italiano era in acque di incerta appartenenza. Il governo che fa? Si accontenta delle scuse? Questo governo che difende i truffatori delle quote latte non ha una parola da spendere per i pescatori siciliani? La conclusione che si può trarre da questa vicenda è che il trattato con la Libia ha molti punti oscuri e che la sua gestione si sta rivelando più favorevole a Gheddafi che agli interessi e alla cultura di questa parte del Mediterraneo. L’inerzia del governo, denunciata da monsignor Mogavero, è frutto di una politica estera caotica, spesso indifferente ai principi morali, rivolta all’accondiscendenza verso le pretese dell’amico di turno. Una brutta storia.