Varie, 16 settembre 2010
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Shehata Hassan
• Kafr el-Dawar (Egitto) 19 giugno 1949. Ex calciatore, dal 2004 allenatore dell’Egitto, l’ha condotto al successo in tre coppe d’Africa consecutive (2006, 2008, 2010) e alla vittoria contro l’Italia campione del mondo in carica alla Confederations Cup 2009 • «Devozione e abilità, senza non si viene convocati e anche se Hassan Shehata, il tecnico dell’Egitto, non lo dice mai esplicitamente, la devozione è a senso unico. Per giocare nella sua squadra bisogna essere musulmani. Non era un segreto che la religione per lui dovesse “legarsi allo sport”: l’allenatore soprannominato El Me’alem (il gran capo), prega in panchina e la squadra dopo ogni gol si inginocchia in cerchio per ringraziare. Hassan, che ha sostituito Marco Tardelli in panchina nel 2004, ha sempre chiesto gambe e condotta ma […] sembrava che il requisito morale riguardasse più una generica vita da atleta, i comportamenti saggi, il bando agli eccessi invece […] il ct chiarisce il concetto: “Le mie scelte sono basate su due considerazioni: la bravura e la devozione assoluta e non considero l’una senza l’altra. Non potrei mai basarmi solo sul potenziale di un giocatore, sarebbe inutile. Io chiamo chi ha un buon rapporto con Dio”. […] Hassan si sa muovere, non è uno sprovveduto. Frequenta i politici, Mubarak, il presidente egiziano, lo ha indicato come “persona onorevole ed esempio per la nazione” dopo la vittoria del trofeo continentale nel 2008. Il Grande capo ha resistito anche agli insuccessi, ha mancato la qualificazione al Mondiale sudafricano, in un agitato playoff contro l’Algeria anche quello trasformato in faida […]» (Giulia Zonca, “La Stampa” 15/1/2010) • «Per Hassan Shehata, il passaggio dalla cronaca alla Storia è avvenuto da un pezzo. Almeno dal 7 febbraio 2006, quando il c.t. egiziano, in semifinale di Coppa d’Africa al Cairo, contro il Senegal (100 mila persone, tensione al diapason) sostituisce il mito-Mido, tra boati di dissenso e beccandosi dell’“asino” dal giocatore, salvo poi restituire l’epiteto sotto la curva (con reiterati “chi è l’asino?”) al gol decisivo dell’anonimo sostituto; oppure, dal 18 giugno 2009, quando l’Egitto stende l’Italia in Confederations Cup. […] Nato nel ’ 49 a Kafr elDawar — più o meno a metà strada tra Alessandria e il Cairo — Shehata sembra aver trasferito alla squadra l’arte della filatura della città natale, nota proprio per le seterie e la tradizione tessile. A differenza di tutte le squadre africane, l’Egitto è infatti l’unica a connotarsi per movimenti sincronizzati, fraseggio ravvicinato a palla bassa, possesso paziente e persino tagli offensivi, anche se nell’emergenza non disdegna il libero staccato. […]» (Sandro Modeo, “Corriere della Sera” 31/1/2010).