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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

LIBERA FOLLIA IN LIBERA TV

Ai tempi belli e insensati in cui il sole della rivoluzione era filtrato dall’ovale di Mao (e tutti in fila, marziali, in una commistione di idealismo, cialtroneria e ingenuità) e si ascoltava il verbo dell’omologo italiano del dittatore cinese (Aldo Brandirali) il militante di “Servire il Popolo” Fulvio Abbate era lontano dall’immaginare una televisione domestica. E nemmeno che i nemici di allora, i “fasci”, un giorno gli avrebbero dedicato un elogio sul giornale di partito. Palinsensto da monolocale: un non luogo dedicato a un eroe anarchico della guerra civile spagnola, Buenaventura Durruti, da irradiare tra mura amiche, a costo zero, con il massimo tasso di provocazione possibile. La web cam da 40 euro, le grida della figlia, le massime della madre, il telefono che squilla e il primo pensiero che attraversa l’amministratore unico e solo dell’impresa che diventa realtà poi veicolata da Face-book e Youtube. Quarant’anni dopo il maoismo all’amatriciana e qualche lustro dopo aver strappato a suon di “vaffanculo” la tessera del Pci, festeggiando il superato decennio di un esperimento orgogliosamente solipisista, Abbate continua ad agitare le proprie visioni. Colte, eccessive, egotiche con la cifra della provocazione tatuata sul cuore e il verbo libero di colpire in ogni direzione: offendere è l’unica maniera di preservare la propria solitudine. Abbate se la prende con tutti.

L’antagonismo

iconoclasta

DIRETTORI di giornali, politici di destra e sinistra, sedicenti scrittori, conduttori televisivi, partiti. Non si contiene e non di rado cerca la pugna anche en plein air, come accadde con Mino Fuccillo, ex capitano di una breve stagione del quotidiano fondato da Gramsci, concuiAbbate,sfioròilcorpoa corpo davanti alla statua di un altro eretico, Giordano Bruno, tra i tavolini vacui di Campo de’ Fiori. “Mi hai rotto i coglioni, Fulvio”, “Vediamoci fuori” e nell’imbarazzo generale, tra i turisti che sciamavano ignari, li dovettero effettivamente dividere. L’altro giorno, arrotando la erre (falsa, moscissima solo per vezzo) ha aggredito Fassino: “Ho visto in televisione un signore di nome Piero. Mi sono chiesto a che titolo parlasse, chi fosse, se ci potesse finalmente liberare dalla sua presenza”. Poche ore dopo, in accappatoioblu(solounodeimille travestimenti in bilico tra il burlesque e il nudismo totale) sbeffeggia l’incolpevole Curzio Maltese: “In quest’ora del mattino, mi dedico a raggiungere il bagno per cagare, attività normale e porto con me questo giornale”. Agita il Venerdì di Repubblica, legge estratti del duro articolo del giornalista su D’Alema e Bersani, irride il velato endorsement teso a perorare il ritorno di Veltroni (bersaglio tra i preferiti) e chiude soave: “Auguri a tutti, torno al cesso”. Sempre così, sette volte alla settimana. Se solo Abbate avesse saputo far di calcolo, oggi sarebbe editorialista prìncipe in uno di quei fogli rispettati e temuti, in cui la noia rincorre il conformismo. Invece Fulvio (che, indossata una parrucca verde, può diventare Fulviainunamen)anneganella bolla casalinga di Teledurruti, ospitata in una stagione, gloriosa e lontana, negli studi della romanissima Teleambiente. E assieme a lui, nell’Arca del delirio, gatti, nonne, figlie urlanti, eredi di nobili casate, netturbini, poeti del nulla, colleghi, delinquenti, imputati importuna-ti con compiacimento per strada.

L’articolo

del Secolo

LA CONTAMINAZIONE è la sua droga, fin da quando con una tesi sovversiva su Céline nel 1981, questo palermitano logorroico spiazzò professori e relatori. All’epoca, sostenere che Louis Ferdinand l’antisemita, fosse il più grande scrittore del pianeta non era ancora di gran moda, ma nuotare controcorrente, già all’epoca, era l’attività preferita da Abbate. Fulvio e il suo carro di pittori, artisti , ubriaconi, sante e puttane maledette (il fratello acquisito Schifano, Dario Bellezza, Tano Festa, Klein e altri nomi dispersi in una memoria di frontiera). Fulvio e la passione per i francesi e poi, senza più distinguere profili, confini e ambiti di competenza, incarichi alla Biennale, cattedre e una teoria di collaborazioni (dalla Stampa aNuoviArgomenti)regolarmente saltate all’improvviso, per una bizza, una riga di troppo, un salto nel vuoto. Così stupisce relativamente che a questo maestro del situazionismo, proprio ieri abbia dedicato un elogio l’ex tana dei camerati del Secolo d’Italia, trasmutata forse in omaggio alla Patafisica (la scienza delle soluzioni immaginarie) tanto amata da Abbate, da voce della fogna ad araldo di ipotesi estreme e moderne, trattate con garbo. È il mondo che si è rovesciato, non le distanze che si sono ridotte. E non è un caso che gli stessi ex fascisti che lo avrebbero inseguito con la roncola ai tempi in cui il trotskismo era una religione distante dal laicismo e Guy Debord un faro esistenzialista, lo omaggino oggi gridando al genio dell’artista incompreso, cacciato senza colpa, censurato a ripetizione. Abbate, l’unico sul suolo patrio insieme a Berlusconi,aparlarediséinterza persona, promette dal minuscolo schermo di Teledurruti cambiamenti epocali.

In lascivo Kimono blu-elettrico , assicura sul filo dell’assurdo che d’ora in poi si occuperà solo di se stesso. “Costruirò una cattedrale, ci saranno molte guglie con il volto di Fulvio Abbate(...)Hocommessofinoadora l’errore che gli altri potessero essere oggetto d’attenzione. D’ora in poi solo automitologia”. Mostra Ecce homo di Nietzsche, vaneggia, esonda. Oppure si imbuca al Premio Strega costringendo alla precipitosa fuga i letterati di regime o incontra casualmente l’oggetto di tanti strali, la deputata Pd Marianna Madia appoggiata a una sdraio, in una situazione molto hemingwaiana a Dro. Con la scusa di farsi perdonare, la blandisce bastonandola: “Marianna, sembri un ritratto del Parmigianino, dolce e semplice, non appari come pensavo fossi: una stronza ambiziosa”.

Complimenti

e non

E POI, subito, senza offrire tempo di reazione: “I miei telespettatori diranno: questo idiota, davanti alla figa non capisce più nulla”. In effetti, il sesso in tutte le sue declinazioni è una delle ossessioni di Abbate. In mezzo ai libri di pregio, alle guideirritualidiRomaeairomanzi di valore, il poeta siciliano che ha in orrore le conventicole, gira con la telecamera per Roma per una rubrica sobriamente intitolata:“Cazziperl’estate”.E riprende, iperrealista, falli di ogni dimensione dipinti sui muri per rabbia, noia, esibizionismo. La locuzione, insieme a ‘scopata’, gli piace immensamente. La si ritrova in tutta la sua poetica. Da Facebook: “Diciamo la verità, Fb serve esclusivamente a farsi i cazzi degli altri”,adAvatar,bollatodiignominia con un’epigrafe tombale: “Il film ha già rotto il cazzo” e poi giù, perché a un termine adorato, se ne può come è noto semprelegareunaltro.Èlacontraddizione di Abbate: potrebbelegittimamenteoccuparsidi Pessoa,masibuttaregolarmente su ciò che scandalizza di più. InSessoescoregge,fulgidoesempio di televisione monolocale senza censure, dispensa consigli su come “evitare che i coni d’aria”, turbino l’alcova e l’amante. Si va dallo sciacquone da tirare contestualmente al peto, per giungere ad altri altri abissi, veleggiando nello scatologico, perché si può essere aristocratici, ma alla fine si parla anche a chi non ti avrebbe mai ascoltato. La giustificazione equilibristica: “A Teledurruti si può anche discutere di questi temi”. Domani, ancora in onda.