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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

TUTTI CONTRO WEST

Vietato non toccare. È la parola d’ordine davanti alle sculture di Franz West, artista che vive e lavora a Vienna dove è nato nel 1947 e che espone sette grandi opere alla Gagosian Gallery e una installazione a piazza di Pietra. Ieri mattina la «Room in Rome», come ha chiamato l’opera in alluminio smaltato e in dimensioni monumentali, svettava già al centro della piazza. «West, alla ricerca di un confronto tra il suo lavoro e il pubblico - si legge nel comunicato stampa - spinge quest’ultimo ad interagire con le sue sculture, creando delle relazioni/reazioni che completano e connotano l’opera d’arte come realtà attiva». Più semplicemente, West crede che la propria opera viva e si trasformi in arte soltanto grazie al comportamento dell’osservatore, il quale viene perciò invitato a toccarla, a passeggiarvi dentro, a sdraiarsi ai suoi piedi, a indossarla come se fosse un vestito. Lui asserisce: «Ciò che conta riguardo all’arte non è come si presenta, ma come viene usata».
Ieri mattina, verso le undici, le reazioni del pubblico a piazza di Pietra non erano forse come West se l’aspetta. Passa un gruppo di turisti veneti, proseguono dritti lanciando appena un’occhiata di disapprovazione verso le tre costruzioni bitorzolute e dipinte con rosa, grigi e gialli torbidi. Uno di loro non resiste, si volta e inveisce: «Ma varda te, se in mezzo a una piazza così bella devono mettere queste...». Pausa, alla ricerca del termine più adatto. E poi sputa: «Fogne». E lo ripete due volte ai compagni di viaggio. E alla moglie, che si è attardata a leggere il cartello: «È possibile sedersi sulla piattaforma e sulle sculture», grida. «Ndemo va’, che te frega de quea roba là».
Arrivano dei ragazzi con gli album da disegno, si siedono sul lato più corto della piazza, davanti alle sculture e si accingono a disegnare. Il professore che li accompagna dà istruzioni in inglese. Si chiama Richard Piccolo, è arrivato, insieme ai suoi studenti dall’università Notre-Dame, Indiana. Per ritrarre le sculture di West? «No - spiega secco in italiano - sono architetti, devono sentire lo spazio. Se ci fosse stato, che so, il Marco Aurelio, allora sì che avrebbe fatto parte del prospetto. Questa cosa qui no, non mi dice niente». Si avvicina il portiere dello stabile di fronte: «Lei è una giornalista? Per favore scriva che i residenti sono furibondi, hanno fatto anche un esposto al Comune. Sono venuti alle due di notte con dei camion enormi, hanno dissestato i sanpietrini, hanno svegliato tutta la piazza, hanno lasciato chiazze d’olio sul selciato, senza che ci fosse un vigile a controllare. Li abbiamo anche chiamati ma non si è presentato nessuno. E ora ci dobbiamo tenere per un mese un monumento che non si capisce. Sarà pure di un artista internazionale, ma non era meglio metterlo a Villa Pamphilj?».
Chissà se andrà meglio in Galleria. Qui Caino e Abele, che l’autore spiega essere ritratti nell’attimo precedente l’aggressione, accolgono nell’atrio i visitatori. Sono due blocchi informi in resina variopinta nei soliti colori caramellosi, due bozzoli giganteschi di rabbia che sta per esplodere. Nella sala ovale della Gagosian, sette grandi totem in cartapesta, macigni che si innalzano da piedistalli minuscoli e instabili, fatti con barattoli di vernice, valigie sovrapposte, secchi dell’immondizia. Si possono toccare, far ruotare su se stessi. Si possono osservare anche stando seduti, su poltrone e divanetti che West stesso ha costruito. In realtà ci si siede un po’ diffidenti, ricordando certe sedie e panchine che West produsse nei primi anni Ottanta per le strade di Vienna, fabbricate con fogli metallici che nascondevano angoli taglienti. Non a caso la sua carriera artistica ha inizio negli anni Settanta con l’invito alle performance di Otto Muehl e Hermann Nitsch, i quali mettevano in scena azioni sadomasochiste e automutilanti, rappresentazioni orgiastiche di sesso e sangue spesso interrotte dalla polizia.
Lauretta Colonnelli