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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

ADDIO A CATERINA BORATTO FU UNA DIVA DEI TELEFONI BIANCHI —

Caterina Boratto, una delle donne più belle e affascinanti del nostro cinema, è morta lunedì a Roma a 95 anni. Nata a Torino il 15 marzo 1915, ha avuto una vita in melò, avventurosa e una carriera divisa in due, prima da diva del regime ma poi anche chiamata a Hollywood da Louis B. Mayer, il boss della Metro che se ne intendeva di belle canterine e voleva fare di lei una nuova Jannette McDonald. Infine fu riscoperta da Fellini con le indimenticabili apparizioni in 8e mezzo e Giulietta degli spiriti. Il finale è diviso fra tv e teatro, madama Pace diretta da Patroni Griffi nei Sei personaggi di Pirandello, ma qualcuno la ricorderà nel ’91 con Gigi Proietti in Villa Arzilla, o prima nella Anna Karenina di Bolchi o in operetta.
«Allevata» la voce al liceo musicale di Torino, la bionda ed aristocratica Boratto divenne subito star con Vivere di Brignone nel ’37. Era il cinema dei «telefoni bianchi» (gli apparecchi di quel colore erano frequenti in molte scene e indicavano benessere, a differenza di quelli neri, più diffusi). Colpo di fulmine sul set, dove incontrò il famoso Tito Schipa, poi suo compagno. Il film era distribuito dalla MGM che chiamò in America la giovane ammaliante diva con un contratto di 7 anni. Tempi difficili di guerra (gli yankee entrano nel conflitto): il suo fu un debutto rimandato tra cocktail e progetti inevasi e la Boratto tornò in Italia come poi avrebbe fatto anche la Valli. La aspettano film di successo come
Il romanzo di un giovane povero ma anche le amarissime sorprese della guerra: si lega al conte Guidi di Romena che muore in un incidente aereo, mentre due suoi fratelli sono vittime del conflitto, uno da partigiano e uno nell’eccidio di Cefalonia. Intanto nel ’43 fu nel cast del celebre Campo de’
fiori di Bonnard con Magnani-Fabrizi, alla cui scrittura partecipò il giovane Fellini.
Ma dopo le disavventure private, l’algida attrice non se la sente di continuare: ricoverata in una ricca clinica torinese, la Sanatrix, ne sposerà il proprietario da cui avrà una figlia. La carriera passa in secondo piano, un unico titolo nel ’51, Il tradimento di Freda, in cui muore di crepacuore, sempre melò. Per una decina d’anni quella bella donna altera che aveva attraversato con la sua falcata il cinema italiano assieme a De Sica, Nazzari ed altre star, si ritirò a vita privata. A questo punto arriva la sirena felliniana: «Nell’inverno del ’ 62, una mattina — raccontava — vestita con un cappello marrone e una pelliccia di lontra in via del Corso incontro per caso Fellini che mi dice: ma che bella signora, posso avere il suo numero di telefono?». Naturalmente la conosceva, ma è folgorato e dopo due giorni la chiama per avvertirla che la sua parte è pronta. E così Caterina entra di bianco vestita nell’harem del capolavoro 8 e mezzo, in mezzo ai suoi meravigliosi fantasmi; poi è con Masina, la Milo, la Cortese fra le magnetiche presenze femminili di Giulietta
degli spiriti, due folgoranti titoli che la rilanciano. Ecco che tornano Blasetti, Sordi, Risi, Wertmuller, ma anche Fizzarotti (i musicarelli dato che lei nasce come cantante), Bava e tanti altri, compreso Sydney Pollack, Eriprando Visconti, Squitieri di Claretta e lo Scola del Mondo nuovo nei palazzi dei reali in fuga dalla rivoluzione francese. Finché arriva l’altro profeta, Pasolini, che la vuole nelle macabre architetture fasciste di Salò o le 120 giornate di Sodoma, ispirato a De Sade.
Maurizio Porro