Lettere a Sergio Romano, Corriere della Sera 16/09/2010, 16 settembre 2010
DE STEFANI, IL MINISTRO FASCISTA CHE SALVÒ IL BANCO DI ROMA
Lei certamente conosce l’opera di Alberto De Stefani, importante uomo politico e studioso tra le due guerre. Io ne ho sempre sentito parlare perché cugino di mia suocera, ma per motivi che nulla avevano a che fare con il suo lavoro. So che dopo averlo sostituito col conte Volpi come ministro delle Finanze, Mussolini lo mandò in Cina da Chang Kai Shek, e di quel periodo abbiamo avuto dei resoconti divertenti, ma non sappiamo molto della sua opera in quel lontano Paese. Dato che ora si parla molto di politica finanziaria ma con pochi raffronti con il passato, penso che bisognerebbe tracciare un suo ritratto.
Riccardo Valente
valente.riccardo@tiscali.it
Caro Valente, Alberto De Stefani non è mai stato dimenticato. Gli storici della politica e dell’economia sanno che l’economista veronese ebbe una parte decisiva, fra il 1922 e il 1925, nel risanamento dei conti pubblici dopo la Grande guerra. Ridusse la spesa pubblica e la disoccupazione, rinnovò il sistema tributario, condusse una riuscita battaglia contro l’inflazione, cercò di stroncare la speculazione di Borsa e creò le condizioni per un considerevole aumento del prodotto interno lordo. Si era iscritto al partito fascista nel 1920, ma apparteneva all’ala nazional-liberale del movimento e non piaceva né alla sua componente social-sindacalista né agli industriali protezionisti. Dopo la sua sostituzione con Giuseppe Volpi nel 1925, fu commentatore di economia per alcuni giornali (fra cui il Corriere), professore universitario, accademico dei Lincei e vicepresidente dell’Accademia d’Italia. Ma fu anche membro del Gran consiglio del fascismo e votò l’ordine del giorno Grandi nella seduta del 24 luglio 1943: un gesto che gli valse la condanna a morte in contumacia del tribunale fascista di Verona. Dopo la guerra continuò a scrivere e a pubblicare.
Insieme alla consulenza economica per il governo cinese nella seconda metà degli anni Venti, questi sono i fatti per cui Alberto De Stefani è maggiormente ricordato. Meno conosciuta invece è la sua partecipazione a una vicenda che fu, agli inizi del fascismo, particolarmente interessante: il salvataggio del Banco di Roma.
Alla fine della Grande guerra la maggiore banca cattolica italiana, creata nel 1880 da esponenti dell’«aristocrazia nera», era in pessime condizioni finanziarie. Anziché trarre vantaggio dall’enorme giro d’affari provocato dalla guerra, il Banco, secondo De Stefani, si era impegnato «in una catena di operazioni speculative temerarie o truffaldine e in forniture militari respinte in fase di collaudo». Il capitale era stato svalutato da 200 a 75 milioni e si scoprì che «una parte del capitale (40.000 azioni) non aveva avuto effettivo collocamento mentre si era lasciato credere fosse di appartenenza delle Congregazioni religiose». Quando andò al potere, Mussolini decise di salvare il Banco. Lo fece nella speranza di una migliore intesa con le forze cattoliche e per preparare il terreno agli accordi che sarebbero stati stipulati con la Santa Sede nel 1929. De Stefani fu il regista dell’operazione, a cui Mussolini prese parte personalmente, e raccontò la vicenda in un libro pubblicato dalle Edizioni del Borghese nel 1960, intitolato «Baraonda Bancaria». Gliene consiglio la lettura.
Sergio Romano