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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

NEWMAN, «SANTO RILUTTANTE» AVVERSARIO DEL RELATIVISMO

Il dibattito su John Henry Newman (1801-1890) si è riaperto nel mondo anglosassone per la visita di Benedetto XVI. Sabato scorso sul Financial Times un estratto del saggio di John Cornwell (dedicato al «santo riluttante») non esitava a evidenziare le riserve dello stesso Newman sull’infallibilità e sul fatto che nessuno possa contraddire il Papa. Sono poi emerse vecchie questioni sull’omosessualità del religioso anglicano poi convertitosi al cattolicesimo, nonché altri dettagli che ne alterano l’immagine. Di contro, alcuni interventi su The Wall Street Journal, a partire dal 10 settembre, sostengono tesi opposte. Tra le quali ne spunta una che vale la pena riferire: la beatificazione del cardinale Newman «passa» perché fu un avversario del relativismo. E questo senza contare le solite polemiche sul costo della visita papale e quelle dei religiosi che non la apprezzano, circolate tra l’altro sul Times e sul Guardian.
Ma niente è nuovo sotto il sole. Newman cominciò a suscitare polemiche nel 1846, un anno dopo aver pronunciato l’abiura e un anno prima di essere ordinato sacerdote: l’americano Browson vide nei suoi scritti un « virus protestantico» pericoloso per l’organismo cattolico. Né gli anglicani stettero in silenzio. Ancora vivente Newman, che sarà cardinale nel 1879, Thomas Mozley (1878) e Andrew M. Fairbairn (1885), per citare due teologi del tempo, denunciarono la sua attività intellettuale come una «sinistra manovra dell’oscurantismo dogmatico», di quel genere a sfondo fideistico contrario alle conquiste di scienza e ragione. Da parte opposta, la polemica fece perno sul gesuita Thomas Harper (1870), che sottolineava lo iato tra quanto sosteneva il neocattolico e il pensiero della Scolastica. Il suo motto: «O San Tommaso o Newman».
In realtà, oltre simili baruffe, l’ex anglicano resta una figura chiave per la cultura cattolica moderna. Come pochi altri seppe mettere in luce il rapporto tra l’umano e il divino nella sua concretezza, inoltre avvertì con decenni di anticipo il carattere evolutivo di ogni realtà cosmica. Intese la coscienza come «primo vicario di Cristo», capì che il rinnovamento della teologia passava dalle fonti bibliche e patristiche. Ancora: il rapporto tra fede e scienza diventava un’esigenza, così come il confronto con la cultura del tempo. Certo, avversò i nipotini di Hume, che si erano fatti sempre più scettici ed erano caduti in un utilitarismo poco elegante; ma fornì linfa a quei pensatori come Blondel, nonché a coloro che perseguirono una logica del concreto. La sua influenza? Tanta e, per comprenderla, si possono fare due nomi distanti: Wittgenstein e Guitton. I suoi riferimenti in filosofia furono soprattutto Aristotele — del quale utilizzò l’immagine di Dio come «motore immobile» anche in talune prediche — e pilastri della tradizione inglese quali Joseph Butler, che gli ispirò la teoria della coscienza morale.
Newman è studioso ancor oggi capace di commuovere. Chi legge l’Apologia pro vita sua, scritta per rispondere ad accuse calunniose, si rende conto che è una delle più belle autobiografie di tutti i tempi, paragonabile in certe pagine alle Confessioni di Agostino: ora è disponibile da Jaca Book, editore che sta pubblicando le sue opere (uscì nel 1970 anche da Vallecchi, come primo e unico volume di un’integrale mai continuata). E che dire del Quaderno filosofico, tradotto per la prima volta nel ponderoso tomo degli Scritti filosofici (Bompiani 2005)? Pagine nelle quali il suo percorso interiore si mostra nella formidabile preparazione. C’è anche un paragone con Manzoni per le riflessioni su storia e provvidenza (lo fa Giovanni Velocci nel saggio Incontrando Newman, Jaca Book). E tutto questo va aggiunto alle opere cosiddette maggiori, quali la Grammatica dell’assenso (Jaca Book), pubblicata nel 1870, l’anno del Concilio Vaticano I. In essa l’ermeneutica elaborata ha un solo referente: la verità della conoscenza, radicata nell’originaria evidenza della realtà che si manifesta in tutta la gamma delle possibili forme dell’esperienza e del pensiero.
Sulla sua tomba c’è scritto: « Ex umbris et imaginibus in veritatem »; ovvero: «Dall’ombra e dalle apparenze alla verità». È la sintesi della sua ricerca.
Armando Torno