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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

DA RE DELLA MARIJUANA A SUPERMANAGER

«Mi chiamavano king of pot, il re dell’erba, ero il più grande contrabbandiere di marijuana colombiana e thailandese degli anni 70». Nonostante i nove anni passati in prigione per contrabbando e spaccio, è con un pizzico di orgoglio che l’imprenditore Bruce Perlowin parla del suo movimentato passato alternativo davanti al suo stand alla "Fiera dell’erba" di Los Angeles. Per l’occasione lo scintillante Convention Center che ospita le più importanti esposizioni commerciali in California si trasforma in un bazaar per coltivatori, consumatori, distributori e rivenditori di marijuana medicinale. Quest’anno l’aria che si respira a Hempcon (abbreviazione di Hemp conference, conferenza della canapa) è più effervescente che mai: se il 2 novembre passerà il referendum per la legalizzazione della marijuana per uso personale in California (quella medica è legale dal 1996), questo stato di 38 milioni di abitanti diventerà l’Olanda d’America, l’unico stato d’Oltreoceano dove il possesso, il consumo e la coltivazione di marijuana in piccole quantità sarà legale per chi ha più di 21 anni.

Gli occhi azzurri di Bruce Perlowin, ormai a un soffio dai 60 anni, brillano al pensiero di quanti soldi potrà guadagnare la sua Medical Marijuana Inc, la prima società produttrice di "erba" quotata in Borsa (al Nasdaq) con il simbolo MJNA. «Oggi la mia azienda fattura 13mila dollari all’anno, non genera profitti, ma ha un valore di mercato di 29 milioni di dollari, e sa perché? Perché nel momento in cui la marijuana diventa legale, e i sondaggi paiono confermarlo, il mio business esploderà» dice Perlowin. Il suo business è duplice: offre servizi allo stato della California sul controllo della qualità della merce (dopo tutto può vantarsi di essere uno dei maggiori esperti d’America) e funge da distributore per i piccoli coltivatori che vendono agli spacci di marijuana per usi medici. Perlowin è un imprenditore nato, era già famoso quando spacciava erba al liceo, e all’epoca - i primi anni 70 - l’uso della marijuana era così diffuso da essere considerato normale: forse non in Texas e in Arkansas, ma in California indubbiamente sì. «A quei tempi, quando importavo 250 tonnellate di erba all’anno, eravamo convinti che la marijuana sarebbe diventata legale in America nel giro di cinque anni al massimo» racconta. Invece il clima è cambiato, sono arrivati Ronald Reagan, gli yuppies, la destra religiosa. L’idea della marijuana libera è stata seppellita e il riflusso ha costretto tanti figli degli anni 60 a rinnegare il passato, come Bill Clinton quando ammise di avere provato la marijuana ma giurò di non avere aspirato. Ironicamente, proprio ora che i figli dei fiori stanno festeggiando uno dopo l’altro i 60 anni, il sogno della marijuana legale potrebbe finalmente avverarsi. Secondo il più recente sondaggio di Survey Usa, il 47% dell’elettorato californiano è favorevole alla depenalizzazione e il 43% contrario, anche se il margine di errore è troppo ampio per prevedere con certezza l’approvazione del referendum. Le argomentazioni a favore della legalizzazione sono sempre le stesse di un tempo: la marijuana è meno pericolosa dell’alcool e non dà assuefazione, la legalizzazione indebolisce gli spacciatori e combatte la criminalità, la depenalizzazione fa risparmiare allo stato centinaia di milioni di dollari spesi in arresti, processi e incarcerazione di decine di migliaia di piccoli consumatori. La legalizzazione, oltretutto, aumenta il gettito fiscale di ben 1,4 miliardi di dollari all’anno se si dà credito alle stime dei fautori dell’iniziativa popolare; questa è l’argomentazione più convincente di tutte per i cittadini di uno stato come la California, da due anni sul lastrico, costretto a chiudere gli uffici pubblici un giorno alla settimana ed accorciare di tre settimane l’anno scolastico perché mancano i soldi per pagare impiegati e insegnanti.

«Indipendentemente dalle argomentazioni, è ora che la California la smetta con il proibizionismo e renda legale un prodotto che non è dannoso e che usano tutti» dice il quarantenne Shawn Jones il cui padre - racconta come fosse la cosa più normale del mondo - era il più grosso spacciatore di Santa Cruz quand’era bambino. Anche Shawn Jones, la cui società Green Grown vende polline, pappa reale e altri prodotti di erboristeria, è arrivato all’Hempcon per prendere contatti con coltivatori di marijuana e distribuire cannabis quando verrà il giorno. All’Hempcon gira voce che anche grosse società del tabacco e dell’alimentare, come Philip Morris e Procter & Gamble, stanno comprando campi e serre destinabili alla coltivazione di cannabis con l’obiettivo di conquistare il mercato (interpellata, Philip Morris ha risposto che «la società vende i prodotti legali di tabacco negli Usa»). Il mercato ha indubbiamente un grande potenziale se si pensa che già oggi il business della marijuana medica fattura 14 miliardi di dollari all’anno. «Siamo stati i primi a legalizzare la marijuana per usi medici quindici anni fa e 14 stati ci hanno imitato, vedrà che ora la California diventerà il primo stato a legalizzare la cannabis per usi ricreativi» dice Shawn Jones, consumatore occasionale di erba da quando aveva 12 anni. E ora che ha 40 anni quanto fuma? «Scherza? Non tocco uno spinello da dieci anni, ho bisogno di avere la mente lucida per gestire il mio business» dice. Kelby Miller, all’Hempcon per pura curiosità, dice la stessa cosa: «Lavoro al ministero dei trasporti dove siamo tutti soggetti ad analisi delle urine senza preavviso - dice - Non posso rischiare di farmi licenziare».

Non fuma più nemmeno il re dell’erba Bruce Perlowin, beve solo qualche tè quando gli fan male le ossa. Non fuma più nemmeno Jerry Brown, ex-governatore hippy della California negli anni 70, oggi in corsa per conquistare ancora una volta la poltrona di governatore alla scadenza del mandato di Arnold Schwarzenegger questo novembre. «Dobbiamo fare i conti con la Cina - afferma Brown, oggi ultrasettantenne - se siamo tutti stonati, come faremo a tenerle testa?».