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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

UN NERD SFIDA GLI AYATOLLAH

Walid Al-Saqaf è un ragazzo relativamente noto. Ha costruito un aggregatore di notizie online nello Yemen, è stato direttore dello Yemen Times e reporter per il Wall Street Journal. Il suo destino è cambiato un giorno in cui la sua ingenuità ha superato la sua freddezza. «Fui chiamato dal governo per partecipare a un focus group a Sana’a. Ammisi che i lettori del mio aggregatore, YemenPortal.net, preferivano i contenuti critici a quelli favorevoli nei confronti del governo. Pochi giorni dopo il mio sito fu bloccato dalle autorità». Per questo, ha creato Alkasir. Un software per aggirare la censura autoritaria dei siti di informazione. Richiede un’iscrizione e va aggiornato spesso. Ed è consapevole dei vincoli culturali che un software del genere deve fronteggiare nei paesi come il suo: niente pornografia, per esempio.

Una storia diversa da quella di Austin Heap. Il ragazzo californiano è diventato famoso negli Stati Uniti per aver creato a sua volta un software contro la censura, distribuito in Iran per favorire la libertà di espressione in quel paese: una storia raccontata da Newsweek, New York Times e soprattutto dal segretario di Stato americano Hillary Clinton.

Tutto cominciò la sera del 14 giugno del 2009. Il ragazzo, che aveva allora 25 anni, era intento a sparare ai draghi su World of Warcraft, un popolare videogioco. Non badava a quello che il suo amico gli diceva sulla rivolta degli iraniani a seguito delle elezioni che ritenevano truccate. Solo collegandosi a Twitter, più tardi nella notte, vide l’enormità di quello che stava succedendo. E, come ha confessato a Newsweek, pensò: «Ok, accendo il gioco».

La sua prima mossa fu abbastanza banale. La gente nei paesi autoritari riesce a collegarsi liberamente a internet se può usare un proxy server, cioè un computer non censurato che filtra la navigazione e nasconde alle autorità il sito di destinazione finale.
Heap cominciò dunque a pubblicare su un blog gli indirizzi di computer predisposti per questa funzione. Il suo servizio arrivò a 10mila utenti. Ma tra i lettori c’erano anche le autorità iraniane. Heap pubblicava un indirizzo, qualcuno riusciva a usarlo, ma poco tempo dopo veniva bloccato. Era una battaglia impari, ma fu in quel momento che come in ogni videogioco, Heap trovò un tesoro. Un tale che si faceva chiamare Quotemstr, lo invitò a scambiare quattro chiacchiere online. Il tale si rivelò essere un ufficiale iraniano contrario al suo governo e che lo voleva aiutare: gli inviò un manuale sul software usato dalla censura iraniana. Heap sapeva come usarlo. Perché era un programmatore già esperto. E realizzò, in un mese, il software Haystack.

Non era il primo programma in grado di contrastare i censori, visto che c’erano già Tor e Freegate. Ma le autorità li conoscono e possono cercare di intercettarli: se riescono, non trovano la persona che li usa, ma possono bloccare la comunicazione. Haystack invece promette di nascondere non solo la persona ma anche il traffico che genera: in pratica, mimetizza la comunicazione che si vuole mantenere segreta in una nuvola di dati che sembrano del tutto normali.

Non è noto come Heap sia riuscito a ottenere dal governo americano il permesso di esportare il suo software in Iran. Sta di fatto che lo ha ottenuto e che la prima a darne notizia è stata, appunto, Hillary Clinton. Certo è che il governo americano ha sostenuto l’iniziativa. Oggi la distribuzione di Haystack avviene con molta prudenza, dice Heap, concedendone l’uso solo ai dissidenti "certificati" e consentendo loro di distribuirlo ai loro conoscenti fidati.

Certo, la battaglia tra censori e dissidenti resterà interminabile. Nessuno può essere certo, dice ad esempio Evgeny Morozov, dal suo blog su Foreign Policy, che il governo iraniano non sia già in possesso di una copia di Haystack. E ci si potrebbe fidare di più se Heap avesse una maggiore conoscenza del terreno, come, appunto, Walid Al-Saqaf. Sta di fatto che internet ha consentito all’Onda Verde iraniana di farsi vedere in tutto il mondo. Ha forse aiutato il governo iraniano a identificare chi protestava. Ma secondo Ahmad Rafat, giornalista di Voice of America e autore di un libro sulle proteste iraniane, visti i pro e i contro, la rete si è dimostrata fondamentalmente preziosa. Chi la usa può ottenere ottenere un effetto mediatico decisivo. Purché sappia che cosa sta facendo e a quali rischi si espone.