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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

SE LA TORTA BAVARESE FINISCE IN FACCIA AL BUON SENSO


Ma non è che a forza di raddrizzarlo l’albero si spezza? Il dilemma del federalismo fiscale è tutto qui. Giulio Tremonti ha ragione nel sostenere che l’albero storto del fisco italiano ha bisogno di un asse per riequilibrarsi, ma in uno stato nazionale il sistema tributario è parte del tutto, anche del dibattito politico.
E dal dibattito politico si innesta il ministro Roberto Calderoli (si veda l’intervista di Eugenio Bruno pubblicata martedì scorso) che delinea la ricetta in salsa bavarese per la Lega del futuro: partito al governo nel Nord e felicemente assente dal parlamento nazionale.

Nel dibattito si confronta un sistema d’impresa collocato in gran parte al Nord che, nel mondo dei global-player, guarda sempre più alla Germania e all’Asia piuttosto che al mercato e alla manodopera meridionali.

l ministro Renato Brunetta fa sapere che se non avessimo «il cancro della conurbazione Napoli-Caserta» l’Italia «sarebbe prima in Europa». E ancora: governi e leadership locali tanto forti quanto deboli sono i governi e le leadership nazionali; partiti ridotti a sommatoria di interessi particolari senza visione nazionale, come scriveva ieri su queste pagine Lina Palmerini.

È un contesto fatto di politica, economia, istituzioni. Mondi diversi, oggetto di convegni diversi, raccontati sui giornali in pagine diverse. Eppure, incrociandoli, ci si accorge del comune Dna. Un genoma la cui evoluzione non si sa ancora in che direzione possa andare, e tanto meno che specie possa generare, ma che va seguito con attenzione. Perché il suo evolversi ha a che fare con il destino stesso del paese: con le ragioni della sua unità e del suo essere ancora nazione.

Martedì scorso si è celebrata a Quarto l’ardita partenza di un viaggio che poi è diventato epopea nazionale. Difficile trovarne traccia nel discorso pubblico. C’erano invece Calderoli e Brunetta, c’era la Lega bavarese, c’erano i testi dei decreti legislativi sul fisco e la sanità regionale. Segno di un paese che, per ragioni diverse, guarda altrove.
Questo giornale dà credito al federalismo fiscale. Oggi i governi locali hanno grandi poteri e zero (o quasi) responsabilità fiscale. Decidono molto, ma sono altri a pagare. Dare loro la responsabilità delle leve fiscali significa ripristinare un equilibrio istituzionale alterato dalla riforma del Titolo V e dai nuovi sistemi elettivi locali. Avere governatori che rispondono agli elettori delle proprie inefficienze è un’opportunità per tutti, anche nel Mezzogiorno. Ma quel progetto non si può isolare da una realtà più ampia e dal cauto buon senso. Evocare l’abbandono del parlamento nazionale è qualcosa di diverso dalla responsabilità fiscale dei territori. A voler dar credito a quelle affermazioni, anche prospettare uno scenario di tipo bavarese diventa ottimistico.


Il Nord produce il 54% del Pil del paese: non sta a Roma come la Baviera sta a Berlino. Chi governa il Nord non può sottrarsi alle sue responsabilità nazionali. Altrimenti sarà il Belgio, con i fiamminghi a divorziare dai valloni, non la Germania regina dell’export.

E alle proprie responsabilità nazionali non possono sottrarsi neppure i partiti che sempre di più tendono a rappresentarsi, a scopi elettorali, come paladini delle ragioni del Mezzogiorno. Qui davvero serve uno scatto di reni. Perché se la politica meridionale non saprà riscoprire il senso nazionale che ha ispirato uomini come Gaetano Salvemini o Francesco Compagna, a vincere non saranno i cacicchi di destra o di sinistra, ma le forze criminali interessate al mantenimento dello status quo. Prospettive da repubblica caucasica, altro che Quarto e Marsala.

Avere a cuore le sorti del federalismo fiscale, oggi, significa saper riflettere su questi scenari. Non per perdere tempo, ma per guadagnarne. Perché discutere di Stato federale per poi ritrovarsi senza Stato significherebbe il caos. Conviene allora ascoltare le parole del capo dello Stato, Giorgio Napolitano, che ancora ieri invocava come antidoto a questo scenario la «responsabilità nazionale» e lo «spirito etico e cooperativo» che il paese seppe avere nell’immediato dopoguerra. Lo spirito dei nostri padri che nel 1945 seppero ricostruire le case, le officine, le scuole, le strade di un’Italia distrutta.