Arturo Zampaglione, la Repubblica 16/9/2010, 16 settembre 2010
IL GIAPPONE VENDE YEN PER DIFENDERE L’EXPORT. ORO, L’ALL’ARME DI SOROS: «È LA NUOVA BOLLA»
NEW YORK - Per bloccare l´apprezzamento dello yen, che aveva raggiunto i massimi degli ultimi quindici anni sul dollaro, ostacolando le esportazioni e la ripresa economica, Naoto Han, appena rieletto primo ministro del Giappone, ha varato ieri un intervento massiccio sui mercati valutari. Dopo aver avvertito i partner internazionali, la banca centrale di Tokyo ha venduto yen e comprato dollari a più riprese, per un ammontare complessivo valutato dai 3,6 ai 6 miliardi di dollari.
Gli operatori sono stati colti di sorpresa: era dal 2004 che le autorità giapponesi non intervenivano sui cambi. E la mossa ha avuto l´effetto sperato, almeno per il momento, con un indebolimento dello yen del 3 % rispetto al dollaro e con effetti positivi sulle quotazioni dei grandi gruppi esportatori, come Sony e Toyota, oltre che sull´intero indice Nikkei, salito del 2,3%.
Secondo il finanziere George Soros, Tokyo ha fatto bene ad agire così (e al tempo stesso il patriarca degli speculatori ha lanciato l´allarme sulla nuova bolla che si è formata attorno all´oro). Ma analisti e investitori non sono convinti che il governatore della banca centrale Masaaki Shirakawa sia in grado di sostenere a lungo, e da solo, questa strategia sui cambi. Nel 2003-04, il Giappone tentò la stessa strada, bruciando 35mila miliardi di yen, senza effetti duraturi.
L´intervento valutario di Tokyo ha caratterizzato la giornata finanziaria, che coincideva con il secondo anniversario del fallimento della Lehman Brothers. Nel settembre 2008 il mancato salvataggio della banca da parte del governo americano (su cui continuano accese polemiche) portò Wall Street e le altre borse mondiali sull´orlo del collasso. L´implosione non c´è stata, ma ancora adesso l´economia americana batte la fiacca condizionando i mercati e l´intero clima internazionale. Proprio ieri Washington ha pubblicato i dati di agosto della produzione industriale che mostrano da un lato il proseguimento della crescita (in tutto 12 mesi sugli ultimi 14), ma dall´altro un suo rallentamento. Il mese scorso la produzione manifatturiera negli Stati Uniti è aumentata di appena lo 0,2 per cento, rispetto allo 0,7 per cento di luglio e allo 0,3 delle previsioni. In buona parte la frenata è dovuta alle case automobilistiche di fronte ad un ammorbidimento della domanda. Intanto, il grado di utilizzazione degli impianti americani è sceso dal 74,8 al 74,1 per cento: valori molto lontani dal 80,6 per cento della media registrata dal 1972 in poi. Il sospetto degli analisti è che i consumatori stentino ad alimentare la "ripresina" avviata dal settore industriale.
Così gli indici borsistici restano fiacchi, senza una vera direzione di marcia: Londra ha perso lo 0,2%, Francoforte lo 0,1%, Parigi lo 0,3% e Milano lo 0,6%. Le quotazioni dell´oro sono rimaste invece sui valori record, in parte perché - con il venir meno dello yen come valuta rifugio - molti speculatori si sono diretti verso il metallo giallo. "Ma ricordatevi che non è un investimento sicuro e che il boom non durerà per sempre", ha avvertito Soros in una intervista alla Reuters.