Elena Lisa, La Stampa 16/9/2010, 16 settembre 2010
SPOSATI, MA DIVISI (NEI SOLDI)
Quando alla vigilia delle nozze, il migliore amico di Harry lo chiama per un parere su un tavolo da salotto a cui tiene molto, e di cui la futura sposina, lapidaria, ha già segnato il destino: «Quell’orrore non entrerà mai a casa nostra», lui, Harry, ancora scottato dalla sua separazione, spiega: «È andata così con Hellen: abbiamo cominciato scegliendo una libreria e concluso azzannandoci per ogni singolo libro». E poi, sempre Harry agli amici lascia un consiglio che assomiglia a un anatema: «Stabilite, oggi, chi è il proprietario di ogni oggetto perché un giorno vi ritroverete a litigare anche per quello stupido, inutile, orrendo tavolino da caffé».
Ora, al di là della delusione che si può provare per il giudizio del migliore amico sul nostro pezzo d’arredamento preferito, sono racchiuse qui, in una delle scene più divertenti del film «Harry ti presento Sally», tutte le paure, i dubbi, le perplessità di chi, oggi, decide di sposarsi e intanto si vede in prospettiva, in tribunale, accanto a un avvocato, durante la sua separazione. Un pensiero che appartiene ai pessimisti, certo, che, dati Istat alla mano, in Italia sono diventati i più: il regime patrimoniale maggiormente scelto dagli sposi è la separazione dei beni. Nel 2008% l’ha preferito il 62,7% delle coppie contro il 56% nel 2004.
Un incremento che ha origini lontane, diventato ragguardevole nell’ultimo quinquennio e che ha portato Giacomo Oberto, magistrato del tribunale di Torino e studioso di diritto di famiglia, a scrivere un libro dal titolo «La comunione legale tra i coniugi» (Giuffrè editore): «La divisione patrimoniale la scelgono soprattutto le coppie che vivono al Nord - spiega Oberto - in Piemonte e in Valle d’Aosta le punte superano il 70%. Al Sud, il fenomeno, è più recente». Causa dell’aumento è l’idea, sempre più rara, del matrimonio inteso come vincolo non solo d’amore, ma anche di solidarietà verso il coniuge più debole. Ma c’è anche il timore di un gran numero di figli di genitori separati che già hanno conosciuto la portata degli scontri in famiglia per la spartizione di tavolini e tazzine da caffè vari. «Per questo - continua il magistrato - è giunto il momento, anche nel nostro Paese, di pensare ai patti prematrimoniali». Non consentiti in Italia, che inevitabilmente fanno venire in mente gli accordi delle star hollywoodiane (ciniche divisioni che prevedono una spartizione al dollaro) ma che regalano certezze. Che, stando agli esperti, non sono garantite, invece, dal nostro ordinamento. Spiega Gian Ettore Gassani, presidente dell’associazione avvocati matrimonialisti: «Sapere subito cosa ci spetta e cosa no, è meno feroce di una separazione netta che oltretutto non risolve il problema delle faide in tribunale».
Oggi, davanti al giudice, le partite non si giocano più sull’assegnazione della casa, della macchina o del cane, ma sul «rincaro» o sulla «diminuzione» della cifra dell’assegno di mantenimento che il coniuge, economicamente più forte non può esimersi dall’elargire a prescindere dal regime di separazione. «Stabilito che l’accordo prematrimoniale debba essere equo e difendere il più debole - continua Gassani - è molto più sano pensare a un patto tra le parti, piuttosto che la possibilità, prevista dal nostro codice, di trasformare, lungo la sua durata, un matrimonio partito in comunione di beni in uno regime di divisione». Non è raro, del resto, che quando uno dei due coniugi esprima all’altro il desiderio di tramutarlo, questo corra subito a chiedere il divorzio.
«SI FA E NON SI DICE»