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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

L’idea di Occidente non è morta e, alla fin fine, gode di una salute ben maggiore di quanto si potrebbe pensare a scorrere le pagine dei giornali di questi ultimi dodici mesi

L’idea di Occidente non è morta e, alla fin fine, gode di una salute ben maggiore di quanto si potrebbe pensare a scorrere le pagine dei giornali di questi ultimi dodici mesi. Per lo meno questo è ciò che le opinioni pubbliche di Europa e Stati Uniti sembrano pensare. Anche quest’anno è stato reso pubblico il Rapporto «Transatlantic Trends», che, grazie alla collaborazione del German Marshall Fund degli Stati Uniti e della Compagnia di San Paolo, dal 2002 misura lo stato delle relazioni transatlantiche, attraverso un’indagine campionaria che ha visto la realizzazione di 1000 interviste in 13 Paesi. Il Rapporto mostra come cresca la consapevolezza dell’importanza dell’Unione e la previsione di un suo ruolo maggiore, ma non l’affetto verso di essa. L’euro, peraltro, gode di universale sospetto. Americani ed Europei condividono le preoccupazioni sui principali temi della sicurezza (dall’Afghanistan all’Iran) e la fiducia nella Nato, ma hanno ricette come al solito diverse: più bastone oltre oceano, più carota sul Vecchio continente. Infine, la Turchia si allontana dall’Europa, anche e soprattutto nelle percezioni della stessa opinione pubblica turca, che guarda al Medio Oriente con crescenti interesse e partecipazione. L’Occidente si rinsalda. Per quest’anno, le conferme prevalgono nettamente sulle sorprese e i trend rilevati denunciano forti elementi di continuità col passato. America ed Europa continuano a condividere gli stessi valori, anche se le scelte politiche che adottano sulle singole questioni possono riflettere opinioni e atteggiamenti diversi. Le divergenze di valutazione, come nella migliore tradizione transatlantica, vengono più facilmente superate, o quantomeno governate, se i leader dei rispettivi Paesi si muovono alla ricerca di posizioni di sintesi e di mediazione, evitando aut-aut muscolari e defezioni irresponsabili. In questo senso il magic touch di Obama non fa che rendere più agevole il ripristino del normale stato dell’arte. Il tasso di approvazione della politica estera di Obama in Europa è molto superiore (78%) a quello che si riscontra in America (52%), anche se poi, sulle singole politiche, gli entusiasmi europei si ridimensionano e il tasso di approvazione cala sensibilmente (in particolare su Afghanistan e Iran, 49%), mentre la freddezza americana si stempera (61% di approvazione per la politica di Obama verso la Russia e 54% per l’Afghanistan). Nonostante aumenti la stanchezza per il conflitto afghano (soprattutto in Europa: il 64% degli intervistati vorrebbe il ritiro o la riduzione delle proprie forze militari), e parimenti diminuiscano le speranze di una sua vittoriosa conclusione (il 51% degli americani crede ancora in una stabilizzazione del Paese contro solo il 23% degli europei), l’Alleanza Atlantica è considerata insostituibile sulle due sponde dell’Oceano (circa 60%), e la maggior parte degli europei (62%) e degli americani (77%) pensa che debba poter operare senza particolari restrizioni di area. Il mondo che verrà. Gli europei insistono nel considerare positiva e necessaria la leadership degli Usa (55%) e sia gli americani (72%) sia gli europei (78%) credono, in larghissima maggioranza, che la Ue possa avere un ruolo internazionale di primo piano. Gli americani però prevedono che, insieme a Usa (90%) ed Ue (84%), Cina (91%), India (74%) e Russia (71%) avranno un peso maggiore entro i prossimi cinque anni e giudicano tutto sommato favorevolmente questo trend, ritenendo possibile un’intesa con Pechino anche sui valori (53%). Gli europei invece sembrano molto più scettici riguardo all’emergere della potenza cinese (68%) e indiana (41%) o al ritorno russo (53%); e soprattutto, appaiono ancora convinti, o forse speranzosi, che la governance del mondo possa restare un discorso a due, tra Usa (81%) ed Ue (75%). Complessivamente, però, al di là della forte diffidenza europea sulla compatibilità dei propri valori (29%) e persino dei propri interessi (39%) con quelli cinesi, né gli americani né gli europei vedono la crescita della potenza cinese come una minaccia per la loro sicurezza, anche se questo non si trasforma in un giudizio completamente positivo sulla politica estera di Pechino: meno del 20% di europei ed americani, infatti, ritengono che la Cina abbia finora giocato un ruolo positivo sulla lotta ai cambiamenti climatici, contro la povertà nel mondo e per la risoluzione dei principali conflitti internazionali. L’Unione europea e l’euro. Mentre aumenta costantemente il disamore per l’euro (Francia 60%, Germania e Spagna 53%, Italia 48%), la partecipazione all’Unione è vista in tutti i Paesi europei come un fattore strategico positivo per le economie nazionali anche in tempi di crisi (63%). Non solo: le opinioni pubbliche europee sembrano nutrire una salda fiducia in uno sviluppo del libero mercato (72%), regolato però dall’intervento statale (78%) e ipotizzano, tra gli effetti della crisi, la spinta verso la costruzione di un’Unione più forte (57%). La Turchia: da ponte tra Europa e Asia a perno di un nuovo Medio Oriente? La Turchia sembra allontanarsi sempre di più dall’Occidente. La percentuale di turchi che ritengono che il governo di Ankara debba agire di concerto con gli altri governi del Medio Oriente è raddoppiata, in un anno, passando dal 10 al 20%. Contemporaneamente è scesa dal 22 al 13% quella di chi valuta importante un coordinamento con i Paesi Ue: uno switch di testa e di cuore, se si osserva che mentre nel 2004 il 73% dei turchi giudicava positiva l’adesione alla Ue, oggi la percentuale è scesa al 38%, e addirittura il 63% considera improbabile che la Turchia entri mai davvero nell’Unione. Anche la fiducia nella Nato ha subito un tracollo analogo: se nel 2004 il 53% dei turchi vedeva l’Alleanza come indispensabile per la sicurezza nazionale, oggi una simile opinione è condivisa da meno di un turco su tre. E se il 30% dei turchi pensa di possedere valori compatibili con quelli europei, il 48% li considera del tutto diversi.