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 2010  settembre 16 Giovedì calendario

LA GUERRA DEI NARCOS GUASTA IL SOGNO DI GRANDE POTENZA

La più grande celebrazione pubblica della storia del Messico è stata affidata alle mani e alle teste degli italiani. Il concorso internazionale per rappresentare in due ore di sfilate, spettacoli pirotecnici, numeri di acrobati, carri allegorici, maschere musica e danza la storia del Messico è stato vinto due anni fa dalla K-Events-Filmmaster Group, un peso medio del settore, che è riuscita a battere i giganti concorrenti. «Sicuramente la notorietà che ci ha dato l’olimpiade di Torino ci ha aiutato – dice il presidente, il veneziano Marco Balich – ma credo che il Messico volesse qualcosa fatto anche col cuore, come siamo capaci noi italiani». Balich si dice pronto anche ad accettare una sfida ancora più difficile, i 150 anni dell’Unità d’Italia. «Mi stupisce che il nostro Paese sia così in ritardo. Il Messico lavora per questo Bicentenario da tre anni, io vivo a Città del Messico da un anno. Mi hanno messo a disposizione un budget da 40 milioni di dollari. Con la massima trasparenza, con tutti i resoconti pubblicati on line, per evitare il minimo spreco. Da questo punto di vista, ci hanno dato una lezione».1917: viene proclamata la nuova Costituzione (foto) che più o meno è quella di oggi e dà vita al moderno Messico repubblicano e federale. Nel 1920, con il presidente Adolfo de la Huerta, finisce la guerra civile.Que viva Mexico!» l’hanno gridato ieri notte in tre milioni per il Bicentenario dell’Indipendenza e il centenario della rivoluzione nella capitale messicana, che è passata in due secoli da 150 mila a 20 milioni di abitanti. La più grande città latino-americana, la capitale culturale dell’America ispanica, la megalopoli che affianca quartieri borghesi di villette con giardino in stile Los Angeles a favelas che si arrampicano sulle colline come a Caracas. Il presidente Felipe Calderon - l’uomo del centrodestra legalitario del Pan, il partito che a scalzato nell’ultimo decennio il potere cinquantennale del Pri (Partito rivoluzionario istituzionale, contradditorio già nel nome) – li voleva tutti uniti, in un destino diverso, «di crescita, giustizia, sociale, legalità, sicurezza».
Affacciato dal balcone dell’enorme Palacio Nacional, piazza principale, lo Zòcalo, seconda per ampiezza solo a Tienanmen - mentre «Que viva Mexico» rimbombava nel delirio della cinquecentenaria Cattedrale stranamente inclinata su un lato per la cedevolezza del terreno - avrà pensato di avercela fatta, almeno per qualche ora. Calderòn ha puntato tutto sulle liberalizzazioni in economia, la lotta senza quartiere alle mafie dei narcotrafficanti, i narcos, e l’unità nazionalista per cementare la frattura sociale finché la marea della crescita economica globale non avesse sollevato tutte le barche. E tra i carri allegorici cavalcati da indios piumati, le marionette spettrali che ricordavano i guerriglieri contadini di Emiliano Zapata e Pancho Villa (quelli del 1910), il personaggio più applaudito è stato proprio il Colosso, la gigantesca statua in carton-gesso che si levata in piedi a mezzanotte, e simboleggiava il rivoluzionario anonimo dalla spada spezzata ma dall’orgoglio infinito.
Calderòn, dal balcone del palazzo, forse sognava questo per il suo Messico, che conta settemila morti ammazzati all’anno nella guerra tra cartelli mafiosi, gli agenti federali, i militari dei corpi speciali, i civili rapiti per 10 mila dollari di riscatto, i giornalisti zittiti con i fucili e i machete. La guerra infuria al nord, a Ciudad Juarez, al confine con l’ingombrante vicino nordamericano. E la crisi della globalizzazione ha dato una bella botta allo slancio nel salire i gradini dal sottosviluppo al benessere. Pil giù quasi del 6 per cento l’anno scorso, su dell’1,5 quest’anno. Però il Messico, con 107 milioni di abitanti e un reddito pro capite di 10 mila dollari all’anno, resta la prima potenza latino-american, l’undicesima al mondo.
«Entro vent’anni potremmo diventare la quinta potenza mondiale - incalza l’economista Macario Schettino, docente universitario al Tecnologico de Monterrey, ma “chilango”, cioè nato a Città del Messico -. Due recenti rapporti della Goldman Sachs e della PriceWater House indicano che il Messico si trova nel punto più strategico nel nuovo ordine della globalizzazione, perfetto per essere la nuova fabbrica mondiale di beni e servizi per i vecchi Paesi ricchi». Con la popolazione che cresce dell’1 per cento e una classe media che frequenta buone università in patria e negli Stati Uniti, Schettino sogna di scavalcare Italia, Francia e Germania. «Abbiamo già l’uomo più ricco del mondo, Carlos Slim, e multinazionali, come la Cemex, in testa alla classifica del settore, con fatturati vicini ai 10 miliardi di dollari».
Il problema è che l’altra grande multinazionale, quella della droga, della prostituzione, del traffico di essere umani e di armi, quella dei narcos insomma, fattura 300 miliardi di dollari, più di un quarto del Pil ufficiale del Messico. Guillermo Arriaga, scrittore e cineasta, autore di «Amores Perros», e che ha appena presentato a Venezia il suo ultimo cortometraggio «El pozo», non condivide l’ottimismo degli economisti. «L’anno 10 è sempre fatale per il Messico. Nell’Ottocento la guerra per l’indipendenza, nel Novecento quella tra borghesi e campesinos, negli anni Duemila quella tra Stato e l’anti-Stato globalizzato della mafia. Questa di oggi è la peggiore delle violenze, quella che più di tutte potrebbe mettere in pericolo l’unità del Paese».
È la massa di giovani che ogni anno si affacciano sul mercato del lavoro, più di due milioni, a preoccupare Arriaga. «Non è possibile che l’unica alternativa sia quella di emigrare, magari clandestinamente negli Stati Uniti, o unirsi ai narcos».
Calderòn però va avanti nella sua guerra totale. Ha stretto un patto di ferro con le forze armate. Dopo la fiesta allagata dalla tequila al tamarindo, la gente a ballare fino al mattino, è l’ora della parata militare più grande della storia del Messico, trentamila militari. Il presidente ha appena respinto la richiesta di polizia, governatori locali, e partiti di opposizione di ritirare parte dei soldati dispiegati al Nord: «C’è ancora troppa corruzione, nelle amministrazioni locali e nella polizia».
Intervistato da una tv Usa, uno degli artisti più rappresentativi del nuovo Messico, il regista di «21 grammi» Alejandro González Iñárritu riassume il concetto a suo modo: «No, non parlo dei narcos. Dobbiamo parlare di altro. Se continuiamo a parlare di merda non facciamo altro che spargere merda».