Paolo Panerai per Milano Finanza - dagospia, 16 settembre 2010
Come al solito, Ambrosoli era sorridente e con il volto sereno, nonostante lo stress del lavoro di 16 ore al giorno
Come al solito, Ambrosoli era sorridente e con il volto sereno, nonostante lo stress del lavoro di 16 ore al giorno. «Ho qualcosa da mostrarti», mi disse Giorgio. «Visto che loro alzano il tiro, è giusto che la verità emerga». E mi mostrò la lista cosiddetta dei 500 perché conteneva i nomi e i conti cifrati di 500 italiani presso la banca svizzera di Sindona, la Finabank di Ginevra. «Ma voglio che tu ti trascriva un solo nome: eccolo». Il martedì dopo, giorno di chiusura de Il Mondo, di cui ero diventato direttore, passai in tipografia una finta copertina a colori. All’ultimo minuto, prima che iniziasse la stampa, passai la foto del presidente della Repubblica, Giovanni Leone, con lo strillo «Lista dei 500 - C’è anche lui». La lista dei 500, che nessuno aveva voluto vedere (il vicepresidente del Banco di Roma, Ferdinando Ventriglia, era addirittura fuggito quando gliela volevano mostrare), dimostrava inequivocabilmente la profondità dei rapporti politici di Sindona, non solo negli Usa ma anche in Italia, e anche oltre al noto legame con Andreotti. Ma nessuno di questi rapporti era così stretto come quello con il pluripresidente del Consiglio. Andreotti fece di tutto per salvare Sindona anche dopo il crack, quando Ambrosoli ne metteva a nudo le malefatte. Il salvataggio doveva essere fatto attraverso Mediobanca e le minacce pesanti a Cuccia avevano sortito i loro effetti, appunto sino a spingere il capo di Mediobanca a recarsi a New York per incontrare Sindona. In sostanza, doveva avvenire una sorta di concordato stragiudiziale per rimettere le banche in bonis. Un’operazione impossibile, alla quale Ambrosoli si oppose fin dal suo delinearsi. E fu proprio questo rifiuto che lo condannò.